LAUDATO SI’: un grande progetto ecologico e sociale
Laudato si’ per sora nostra matre Terra. Francesco, il santo, nel suo Cantico delle creature propone un apparente ossimoro e definisce la Terra nostra sorella e madre. Curioso, vero? Solo fratello è il Sole. E solo sorelle sono la Luna e le stelle. Ma la Terra no, è sorella e madre. Sorella perché, come noi e il Sole e la Luna e le stelle condivide la stessa casa comune, l’universo, ed è nata da un medesimo genitore. Ma è anche madre perché – a differenza del Sole, della Luna e delle stelle – la Terra ci ha generato. Fisicamente generato. E ci nutre e ci governa.
Siamo fratelli e figli della Terra. Francesco, il papa, ribadisce l’apparente ossimoro di Francesco, il santo e nella sua recente enciclica Laudato si’ ritorna fin dall’inizio sulla metafora (che non è solo una metafora) della Terra, sorella e nel medesimo tempo madre dell’uomo.
Non siamo i dominatori della natura, esseri speciali posti da Dio sul trono del creato. Siamo parte della natura. Siamo terra. Siamo figli della Terra, dice Jorge Mario Bergoglio.
Ecologia integrale
Questa prospettiva da Francesco (dai due Francesco) che ci vuole figli della Terra e fratelli e sorelle delle altre specie che la popolano è chiaramente di tipo evoluzio- nistico. Noi uomini siamo il prodotto, appunto, di un processo evolutivo. Dell’evoluzione biologica.
È in questa prospettiva evoluzionistica – in questa cornice storica – che Francesco, il papa, pone il rapporto, qui e ora, tra l’uomo e l’ambiente terrestre. Un rapporto ora più che mai centrale, decisivo non per la sopravvivenza dell’umanità e tantomeno della biosfera, ma per la qualità della vita, umana e non. Ecco cosa ha voluto dire papa Francesco a tutti, cattolici e non: il rapporto con l’ambiente è il paradigma principale in questa fase storica dell’evoluzione umana.
Ma la prospettiva evoluzionistica è, di conseguenza, anche sistemica. Come la scienza moderna dimostra e come Francesco ricorda in natura – nella casa comune terrestre – tutto è connesso. Tutto è in relazione a tutto. La biosfera è un sistema complesso con una dinamica quasi sempre non lineare: basta un battito d’ali di una farfalla in Amazzonia, diceva e constatava sul suo computer il climatologo Edward Lorenz già nel lontano 1963, per scatenare una tempesta imprevista sul Texas.
Da tutto ciò consegue quello che papa Francesco chiama l’ecologia integrale. C’è una specie – Homo sapiens, la nostra specie – che più di ogni altra perturba l’equilibrio ecologico. Che è sì, un equilibrio dinamico, destinato a un perenne mutamento. Ma in questo equilibrio l’uomo introduce delle «fluttuazioni enormi», dei salti che possono portare a una profonda ristrutturazione del sistema. Non è la prima volta che la Terra va incontro a «fluttuazioni enormi», anche più grandi di quelle oggi causate dall’uomo. Basti pensare agli organismi fotosintetici che, circa due miliardi di anni fa, hanno letteralmente arrugginito la Terra, provocando l’«olocausto dell’ossigeno», la morte di un’enorme quantità di organismi niente affatto in grado di sopportare la presenza della velenosissima molecola grazie alla quale noi oggi respiriamo. O basta ricordare le cinque grandi estinzioni di massa, con la morte di almeno il 60% delle specie viventi, che ha punteggiato la storia della
vita animale nell’ultimo mezzo miliardo di anni. A tutte queste catastrofi la biosfera – l’insieme degli organismi viventi e dell’ambiente che li ospita – è sempre sopravvissuta, riprendendosi e ripartendo più florida che mai.
Anche se l’uomo si comporta, per l’ambiente terrestre, come una catastrofe, non rappresenta una novità. Tranne che per un aspetto. Sa di esserlo. Possiede una «coscienza enorme». È questo che lo rende responsabile. È questa coscienza enorme – che a ben vedere è anch’essa un fattore di perturbazione che altera la «normale» evoluzione dell’ambiente terrestre – che gli impone di cercare di costruire un futuro desiderabile, per sé e per l’intera biosfera.
Il grido della terra e il grido dei poveri
La coscienza enorme è la responsabilità di costruire un futuro desiderabile impongono all’uomo di analizzare la cause prossime e, soprattutto, remote che rendono Homo sapiens un attore ecologico globale, capace appunto di perturbare i grandi cicli biogeochimici del pianeta di cui è parte. Papa Francesco le analizza queste cause, con un rigore scientifico da autentico esperto. E le affronta con uno sguardo ampio. Cerando di tenere insieme quella che Gregory Bateson chiamava «la struttura che connette». Ed ecco che il papa coglie la questione di fondo non della (sola) economia ecologica, ma dell’intera economia umana e dell’intera economia della natura: il nesso inscindibile tra ambiente e società umana. L’ambiente è anche la società umana. E la società umana è nell’ambiente. Una verità semplice, che tutta- via l’economia moderna semplicemente ignora.
Di qui il progetto. Il futuro desiderabile non può che essere un futuro sia socialmente che ecologicamente sostenibile. Degrado ambientale e degrado sociale si sovrappongo e si alimentano l’uno dell’altro. Non è possibile, dunque, risolvere i grandi problemi della società umana – maxime, la disuguaglianza – senza risolvere i grandi problemi ambientali. E viceversa. Non è possibile costruire un ambiente bello e sano senza che vengano rimosse le ingiustizie più macroscopiche. Bisogna ascoltare il grido della Terra – dice papa Francesco – e il grido dei poveri. Bisogna ascoltare il grido della Terra che è anche il grido dei poveri.
Il modello di produzione e i diritti
Certo, questo approccio non è nuovo. È alla base del rapporto che, nel 1987, la Commissione Brundtland consegnò alle Nazioni Unite e che divenne, a sua volta, il fondamento della Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992. E tuttavia Bergoglio ha inserito l’in- tima e inestricabile connessione tra am- biente e società umana in un quadro teo- rico molto più organico e coerente. Un quadro raramente ricostruito fuori dalla cerchia degli esperti.
Ma papa Francesco, in questa organica ricostruzione, non si limita all’analisi del più grave problema che l’umanità si trova ad affrontare in questa fase della sua storia. Un problema che nei cambiamenti climatici come nell’erosione della biodiversità trova due tra le sue massime manife- stazioni. Indica anche una possibile soluzione. O, almeno, una strada lungo la quale è possibile trovare una soluzione: il modello di produzione. Occorre sostituire quello oggi imperante, che si fonda su un mito – il mito della crescita illimitata – e su un comportamento indotto, quello della bulimia da consumo: la necessità, indotta appunto, che ci spinge a consumare famelicamente quanti più prodotti è possibile. In questa denuncia Francesco è molto netto e indica anche alcuni colpevoli per nome e cognome (per esempio, alcune grandi aziende multinazionali). Occorre creare, dice papa Francesco, un nuovo modello che non sia di crescita, ma di autentico progresso. Non è facile. Non ho la ricetta, sostiene. Ma certo questo nuovo modello deve saper riconoscere i beni comuni (il clima come la biodiversità, per esempio, sono beni comuni) e preservarli dalle logiche di mercato e da chi cerca di ridurli a beni privati. La strada verso la sostenibilità, che o è ecologica e sociale o non è, deve saper riconoscere e preservare i diritti. Ed ecco un esempio specifico: quello dei migranti ambientali. Decine di milioni di persone che già oggi sono costretti a lasciare le loro case a cause dei cambiamenti ambientali.
Questi migranti non sono tutelati da nessuna legge internazionale. Sono lasciati soli, con le loro immense sofferenze. Occorre che l’umanità si faccia carico di queste persone, anche perché, ci dicono gli scienziati che studiano i cambiamenti del clima, il loro numero è destinato ad aumentare nel prossimo futuro.
Ma la ricerca di un nuovo modello di produzione non può essere regressivo. Non possiamo – non dobbiamo – proporre a tutti di stare un po’ peggio. Al contrario dobbiamo saper riconoscere i fattori di autentico progresso. In questa ricerca e nella costruzione di un futuro desiderabile uno strumento utile è proprio la scienza, ovvero quella dimensione che ha reso e che rende la catastrofe uomo dotata di coscienza enorme e quindi in grado, se lo vuole, di controllare se stesso. La scienza non è sufficiente a risolvere i problemi dell’uomo. Ma certo è necessaria. E, dunque, quella che Francesco prefigura è una società democratica della conoscenza in cui la scienza, come diceva Francis Bacon, non è a vantaggio di questo o di quello, ma dell’intera umanità.
Tre fattori fondamentali
L’enciclica di Francesco è molto più ricca e variegata di quella che abbiamo descritta. Parla anche in maniera specifica ai cattolici. Ma nella parte che parla a tutti è un grande progetto sociale ed ecologico, condiviso dalla gran parte delle persone che si occupano del rapporto tra uomo e ambiente e della centralità che ha assunto. Su un aspetto molti esperti potrebbero non essere d’accordo. Papa Francesco fa della demografia una sorta di variabile indipendente. Certo, il numero di abitanti del pianeta non è il solo fattore e neppure il principale dell’impronta umana sulla Terra divenuta insostenibile. Ma è uno dei tre fattori da prendere in considerazione. Insieme all’affluenza (il consumo medio pro-capite) e al parametro tecnologico (l’impatto ambientale per unità di consumo). D’altra parte proprio perché tutto, nella biosfera è connesso, come potrebbe il numero di uomini che la abitano essere indifferente a sora nostra matre Terra?
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* Pietro Greco, da Rocca n. 15 del 1° agosto 2015
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Vandana Shiva a Nuraghe Losa
di Antonello Murgia**
Venerdì 28 luglio si è tenuto, presso il Centro servizi del Nuraghe Losa (Abbasanta), il V° Workshop Nazionale sulla Salute Globale organizzato da ISDE Sardegna, Associazione Medici per l’Ambiente. Ospite d’eccezione Vandana Shiva l’attivista e ambientalista indiana, leader dell’International Forum on Globalization e Presidente dell’associazione Navdanya International. Ha fatto gli onori di casa Vincenzo Migaleddu, radiologo sassarese e leader sardo dell’ISDE, il quale ha condiviso la tribuna con Vandana Shiva con una relazione anch’essa molto apprezzata dal numerosissimo pubblico presente. Per consentire a tutti di ascoltare le relazioni, è stato allestito un maxischermo esterno: gli organizzatori hanno parlato di circa 2000 spettatori.
Vandana Shiva è conosciuta in tutto il mondo per il suo impegno contro le multinazionali che impongono gli OGM, il brevetto sui prodotti agricoli, le monoculture. L’attivista indiana ci ha ricordato che il nostro tempo è segnato dall’economia del petrolio che condiziona non solo i trasporti, ma anche molti altri settori economici: gran parte dei pesticidi, per esempio, è prodotta da derivati del petrolio. Vandana Shiva dice che ciò che ha imparato negli ultimi 40 anni è che l’economia lineare basata sul petrolio per imporsi, deve necessariamente dire bugie sulle conseguenze che essa comporta.
Per sollecitare la trasformazione dell’economia lineare in economia circolare, Navdanya International ha creato il progetto “Terra viva” che ha una sua articolazione anche in Sardegna. L’economia lineare consuma territorio, lo distrugge, estrae risorse dalla terra e le consuma producendo infine una spaventosa quantità di rifiuti. Essa si basa sul concetto di disponibilità illimitata di risorse; concetto che tutti sappiamo essere falso in quanto procedendo di questo passo avremmo risorse disponibili solo per qualche decennio. L’economia circolare, invece, si preoccupa di risparmiare risorse recuperando e riciclando i prodotti. L’economia lineare uccide persone con l’inquinamento e aggredisce la democrazia, come sta accadendo per la Grecia. Vandana Shiva nella sua vita ne ha visto di tutti i colori e ciononostante è rimasta assolutamente esterrefatta davanti al tentativo del capitale finanziario e delle istituzioni europee (v. il 3° memorandum) di imporre provvedimenti come il divieto per la popolazione greca di accesso al latte fresco: parlano di debito, ci dice l’attivista indiana, ma in realtà stanno parlando di colonizzazione. Vogliono impedire la libertà e l’autodeterminazione, reprimere qualsiasi voce non sostenga i loro progetti: “questa non è economia, è un disturbo psichico, perché solo chi ha un disturbo psichico può cercare di distruggere la vita e la libertà”.
Economia ed ecologia hanno la stessa radice che è la parola οἶκος, che vuol dire la nostra casa: l’economia sarda dovrebbe prendersi cura della Sardegna come della propria casa. Perciò la Sardegna non può essere il luogo di estrazione di risorse o di stoccaggio di rifiuti, ma deve avere un’economia ecocompatibile. A questo proposito, illuminanti i due esempi presentati da Migaleddu: perché continuare a sostenere l’attività estrattiva dell’alluminio (v. Alcoa), dai costi elevatissimi, quando il riciclo dell’alluminio delle lattine ha una resa enormemente superiore, riduce i rifiuti e soprattutto riduce enormemente il consumo di risorse? E ancora: perché è stato finanziato il termovalorizzatore della Sardegna centrale che consente un risparmio energetico di circa il 20% quando la produzione di granulato di PET avrebbe non solo consentito un risparmio di circa l’87%, ma anche fornito materia prima alla vicina azienda produttrice di bottiglie di PET?
I contadini che amano il loro territorio e ne conoscono tutte le piante, che vogliono salvarlo e trasmetterlo alle generazioni successive migliorate, sono stati definiti barbari e allora lo slogan per questi tempi, dice Vandana Shiva, è “Dobbiamo essere barbari!”
In California i mandorli sono tutti uguali e per la loro coltivazione vengono usati così tanti pesticidi che non c’è più un’ape. Per impollinare le piante sono costretti a trasportare le api da uno Stato all’altro. Il sistema liberista è basato anche sulla schiavitù: vengono reclutate grandi quantità di poveri del 3° mondo, come i messicani delle coltivazioni di mandorli o i migranti che vengono raccolti in mare e praticamente sequestrati per utilizzarli nella pesca con retribuzioni molto basse e diritti assenti.
Nonostante l’industrializzazione dati da alcuni secoli e sia abbastanza aggressiva, secondo l’ultimo rapporto della FAO il 70% degli alimenti proviene ancora da agricoltura prodotta con metodi tradizionali in piccole aziende. Questo 70% consuma il 25% delle risorse impegnate nella produzione alimentare, mentre il restante 30%, prodotto con metodi industriali, consuma il 75%. Il modello industriale anche in agricoltura si sta diffondendo grazie al mito del poco costoso: in realtà è un metodo così costoso che non potremmo neanche permettercelo e che sopravvive grazie a ingenti sussidi. In Europa, ad esempio, si spendono ogni anno 400 miliardi di $ a sostegno dell’agricoltura. E l’altro problema del sistema agroindustriale è che il 50% della produzione viene sprecato. Ancora: in un sistema agricolo sano il 50% circa del ricavato dovrebbe tornare ai produttori e invece con l’agricoltura industriale torna ai produttori solamente l’1%.
La Coca Cola rappresenta un ottimo esempio di economia lineare. Nel 2001 ha costruito uno stabilimento in India e ha cominciato ad estrarre grandi quantità di acqua (per ogni litro di Coca Cola vengono consumati 10 litri d’acqua) e ad inquinare il territorio con metalli pesanti utilizzati nella sua produzione.. E le donne sono state costrette ad andare a prendere l’acqua sempre più lontano finché le distanze erano così proibitive che si sono ribellate ed hanno chiamato Vandana Shiva. Dopo 3 anni di lotte e di ricorsi in Tribunale, finalmente è stato riconosciuto che l’acqua è un bene comune e la Coca Cola è stata costretta a chiudere lo stabilimento nel 2004.
Così è anche per le sementi che con artifici vengono poste sotto brevetto ed i contadini sono costretti ad indebitarsi per acquistarle. Da quando è stato introdotto in India un OGM del cotone con relativo brevetto, il prezzo dei semi del cotone è cresciuto dell’80.000% (ottantamila per cento). Il sistema è così gravoso che i piccoli contadini alla fine non riescono a pagare i debiti e vengono espropriati della terra: e così, da quando è arrivata la Monsanto in India, più di 300.000 (trecentomila) contadini si sono suicidati per disperazione.
E ancora, i determinanti di salute dipendono dai servizi sanitari solo per il 10%, mentre il 90% dipende da fattori genetici comportamentali, ambientali e socio-economici. Eppure la quasi totalità dell’intervento sanitario riguarda solo quel 10%.
Insomma, quello lanciato da Vandana Shiva e da Vincenzo Migaleddu è un grido di dolore, ma è anche la proposta di invertire la tendenza al suicidio insita nell’economia liberista, di concepire modelli economici che siano al servizio delle collettività invece di prefiggersi di renderle schiave e di implementare programmi di tutela della salute che affrontino le cause delle malattie in modo più eziologico possibile.
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** Antonello Murgia anche su Democraziaoggi
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Sulla stessa tematica. L’INTERVISTA. Vandana Shiva: “L’Isola diventi il cambiamento che vuole”. Intervista a Vandana Shiva di Sardinapost. La foto di Vandana Shiva in testa all’articolo di Antonello Murgia è tratta dal sito di SardiniaPost. Le altre foto dell’evento di Abbasanta sono tratte dalla pag. fb di Giacomo Meloni.
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Una notizia correlata (10 ago 2015)
Il Papa istituirà la “Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato”.
“Desidero comunicarvi che ho deciso di istituirla anche nella Chiesa Cattolica e, a partire dall’anno corrente, sarà celebrata il 1 settembre, così come già da tempo avviene nella Chiesa ortodossa”, ha scritto Bergoglio in una lettera inviata al cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, e al cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
“Condivido con l’amato fratello, il Patriarca ecumenico Bartolomeo, le preoccupazioni per il futuro del creato – ha aggiunto il pontefice – e accolgo il suggerimento del suo rappresentante, il Metropolita Ioannis di Pergamo”.
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