La comunicazione: c’è molto da cambiare. Ad esempio quella prevalente sull’Islam non ci aiuta a conoscere e capire, facendo prevalere le devianze terroristiche rispetto a quanti nel nome dell’Islam ricercano pace e fratellanza
Mai come in questi giorni il detto “la forma è sostanza” dovrebbe preoccupare gli operatori della comunicazione e tutti noi fruitori di notizie. Il riferimento è alle comunicazioni che si riferiscono a recenti fatte di cronaca. Una sedicenne, a Roma, in pieno giorno, è attirata in un tranello da un uomo e violentata. La polizia arresta il presunto violentatore nel volgere di poche ore. In un’ipotetica scheda segnaletica, come quelle che siamo abituati a vedere nei film polizieschi trasmessi dalle nostre televisioni, il presunto autore dello stupro sarebbe descritto cosi: “Uomo bianco di nazionalità italiana, giovane, militare della Marina, ecc”. La notizia è rimbalzata per un po’ nei giornali e notiziari ma senza particolare clamore. Il fatto, naturalmente, è condannato ma con pochissima enfasi. Non si sentono Salvini e la Santanchè minacciare misure straordinarie per tutelare l’ordine pubblico, non ci sono assembramenti di cittadini indignati davanti alla stazione di polizia per tentare di dare una sonora lezione al presunto violentatore, non si invocano la pena di morte o la castrazione chimica com’è avvenuto in altre occasioni analoghe. Poche considerazioni sul fatto che il presunto protagonista, giovane e italiano, in quanto militare delle forze armate italiane, avrebbe dovuto tenere un comportamento ancora di più rispettoso, oltre che dalla morale comune, anche delle leggi vigenti. Qualcuno sui media si domanda, non senza ragione, cosa sarebbe successo a Roma se a commettere lo stupro fosse stato un immigrato, magari di colore e di religione islamica. La religione islamica, l’Islam ci induce a riflettere anche in merito a un’altra notizia di queste giornate. Una giovane donna italiana sposa un islamico, si converte all’islam, convince se stessa e perfino i propri familiari a sposare la causa del cosiddetto califfato islamico (i taglia teste, quelli delle pulizie etniche e delle crocefissioni di uomini, quelli che sparano ai bagnanti sulle spiagge di località turistiche che loro considerano “i bordelli degli infedeli”) e decide, la nostra compatriota, di andare ad addestrarsi per la pratica terroristica nelle zone di guerra. Anche in questo caso, i cronisti che raccontano i fatti, non dedicano grande attenzione all’aspetto che rende particolare la notizia. La protagonista della vicenda è una donna italiana di un tranquillo paesino della Campania. Potrebbe essere in futuro autrice o organizzatrice di atti terroristici e barbari a casa nostra, che poi era ed è anche casa sua. Perché, è bene ricordarlo, che la maggior parte dei terroristi individuati come responsabili di stragi e attentati in Europa, sono cittadini europei, persone che fino a pochi anni fa hanno vissuto, lavorato e studiato tra noi, nelle nostre scuole e nelle nostre città. E’ difficile parlarne sui mezzi di comunicazione perché, messa in questi termini, la notizia fa poca “audience” e pone non pochi problemi a tutti noi occidentali che tanta parte abbiamo nell’aver determinato le cause del malessere internazionale che ha generato profondi cambiamenti dei quali l’immigrazione, le guerre, e perfino il terrorismo, sono diretta conseguenza. Pochissimi comunicatori si soffermano sulla stupidità di legare il comportamento di pazzi criminali alla religione islamica che è notoriamente religione di pace e fratellanza. Fa più effetto accomunare la religione islamica agli altri fattori che generano terrorismo, utilizzarla per creare diffidenza verso tutti gli islamici, per generare paure infondate. L’origine del terrorismo internazionale, la genesi e i proliferare delle centrali del terrore hanno altre motivazioni, altre cause, perseguono e praticano strategie politiche internazionali per molti di noi quasi sconosciute. Non possiamo fare molto se non indignarci. Possiamo però pretendere una comunicazione e un’informazione obiettiva, questo sì. Diamo meno spazio sui mezzi di comunicazione ai predicatori dell’odio razziale e più spazio agli storici, agli studiosi dell’islam, agli esperti di geopolitica internazionale. Abbiamo bisogno di conoscere e capire per agire in maniera adeguata.
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