“Transatlantic Trade and Investment Partnership”. Cos’è il “TTIP” e perché dobbiamo occuparcene
Cos’è il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” e perché dobbiamo occuparcene (seconda parte).
di Vanni Tola
Completiamo la presentazione della trattativa in corso per la realizzazione dell’accordo commerciale internazionale tra gli Stati Uniti e i Paesi Europei meglio noto come TTIP. Nei giorni scorsi in alcune delle principali città europee e negli Stati Uniti si sono svolte diverse manifestazioni per chiedere il blocco o la soppressione “tout court” del trattato TTIP. Al momento ci interessa principalmente completare il quadro d’insieme relativo alla trattativa in corso introdotto col precedente articolo pubblicato su Aladinpensiero (https://www.aladinpensiero.it/?p=40855). Robuste argomentazioni sostengono l’importanza e le potenzialità del Trattato. Una di quelle maggiormente diffuse preannuncia un prevedibile incremento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, stimato intorno al 28%, circa 187 miliardi di euro. Altro argomento a favore del Trattato è rappresentato dalla riduzione e, in prospettiva, dalla eliminazione dei dazi nei commerci tra Stati Uniti ed Europa che, benché notevolmente più bassi di quelli applicati nei commerci con altre aree del mondo, rappresentano comunque un notevole “freno” all’ulteriore sviluppo degli scambi commerciali. L’applicazione del Trattato TTIP dovrebbe far registrare un aumento del PIL mondiale tra lo 0,5 e l’1%, qualcosa come 120 miliardi di euro e, naturalmente, aumenterebbe anche quello degli stati contraenti il patto, stimato in 550 euro/anno per ciascuna famiglia europea. Altri vantaggi descritti dai sostenitori del TTIP deriverebbero poi dal fatto che si attiverebbe nell’area oggetto del Trattato una maggiore concorrenza e generali benefici sull’innovazione e il miglioramento tecnologico delle diverse produzioni. Un ultimo e importante elemento positivo dell’applicazione del Trattato sarebbe poi rappresentato dalla semplificazione burocratica e dalle nuove regolamentazioni riguardanti gli scambi commerciali. All’accordo prospettato con la trattativa per la realizzazione del TTIP, si oppongono numerose organizzazioni internazionali e una nutrita rete di associazioni (compresa Slow Food) con le loro delegazioni presenti in diversi paesi e una consistente schiera di esperti ed economisti. Una delle maggiori critiche alle trattative il corso è rivolta al fatto che le stesse si svolgano in forma segreta e i contenuti oggetto degli incontri restino confinati nei ristretti gruppi di negoziatori rappresentanti le parti contraenti. La poca trasparenza relativa al confronto è, di per sé, fonte di preoccupazione e sospetto. Altra fonte di preoccupazione è rappresentata dal fatto che uno dei più importanti studi a favore del TTIP sia stato realizzato da un Centro Studi di Londra finanziato da grandi banche internazionali (Center for Economic Policy Research). Gli aspetti positivi del Trattato descritti in tale studio non rappresenterebbero, a parere degli oppositori, una stima dei risultati affidabile perché riferiti a tempi abbastanza lunghi e anche per il fatto che una infinità di variabili potrebbero, in tempi cosi dilatati, vanificare, o quantomeno modificare, le stime di previsione. Altre possibili conseguenze negative riguarderebbero la circolazione di farmaci meno affidabile, l’aumento della dipendenza dal petrolio, la perdita di posti di lavoro per la scomparsa delle norme sulla preferenza nazionale in materia di forniture pubbliche, l’assoggettamento degli stati a un diritto fatto su misura per le multinazionali. - segue - Il concetto fondamentale dei critici esprime la preoccupazione che l’armonizzazione delle norme relative alle produzioni nei diversi paesi sarebbe stata orientata, piuttosto che a vantaggio dei consumatori, in difesa degli interessi delle grandi aziende produttrici. Altri aspetti critici riguardano, per esempio, le normative dell’Onu riguardante il lavoro. L’UE le ha adottate integralmente, gli Stati Uniti soltanto in piccola parte (due norme fondamentali su otto). E’ evidente che una omogeneizzazione poco accorta delle norme riguardanti tale argomento, potrebbe rappresentare una minaccia per i diritti fondamentali dei lavoratori. Un altro effetto negativo dell’applicazione del Trattato potrebbe derivare dall’eliminazione delle barriere che regolano i flussi di merci poiché ciò favorirebbe nuove localizzazioni delle produzioni principalmente in funzione dei costi sociali del lavoro (le delocalizzazioni che bene conosciamo). Qualche preoccupazione è riservata pure ai destini delle imprese agricole (in gran parte frammentata in milioni di piccole aziende). L’eliminazione delle barriere doganali realizzate a protezione delle loro produzioni, potrebbe indebolirle ulteriormente, per non parlare poi della spinosa questione dell’impiego degli OGM (Organismi Geneticamente Modificato) che sono da sempre oggetto di divisione tra Usa e Unione Europea e potrebbero entrare a fare parte delle trattative segrete in corso. Più in generale ci si preoccupa anche per i destini di tante piccole e medie imprese dei più disparati settori produttivi che, all’interno dell’area del Trattato, si troverebbero a dover affrontare una maggiore concorrenza da parte delle multinazionali. C’è poi la questione della protezione dei consumatori. In Europa, a tale proposito, si applica il principio di precauzione, cioè si stabilisce l’impiego di un prodotto dopo una valutazione del rischio rappresentato dal suo utilizzo. Negli Stati Uniti invece, per numerose produzioni, vige un criterio esattamente opposto. La valutazione del prodotto è fatta successivamente alla diffusione dello stesso con la garanzia che i produttori si assumeranno le conseguenze negative di eventuali problemi derivanti al consumatore dall’impiego del prodotto stesso. Sotto quest’aspetto rientra la questione degli OGM già richiamata, l’impiego dei pesticidi in agricoltura, l’obbligo di etichettatura del cibo, l’impiego del fracking per estrarre il gas dal sottosuolo, la protezione dei brevetti farmaceutici e altri settori nei quali, le norme in vigore in Europa sono molto più rigorose delle corrispondenti normative degli Stati Uniti. Ma le ragioni degli oppositori al TTIP non finiscono qua. Nelle negoziazioni in corso pare emergere, per quanto è dato sapere, un marcato orientamento alla privatizzazione dei servizi pubblici fino alla loro progressiva scomparsa. In pratica la messa in discussione del welfare, la privatizzazione di acqua, elettricità, educazione e sanità il cui utilizzo potrebbe essere affidato alla libera concorrenza nel mercato con conseguenze prevedibili. Un’altra annosa questione, oggetto di grande attenzione, è quella riguardante la protezione della proprietà intellettuale e industriale. Nuove norme potrebbero minacciare la libertà di espressione (internet e media in genere) e la diffusione delle opere dell’intelletto (brevetti, programmi artistici ecc). Ultimo ma non meno importante argomento avanzato dagli oppositori al Trattato riguarda la cosiddetta clausola ISDS (Investor-State Dispute Settlement). Una clausola della quale sentiremo parlare spesso. Essa prevede la possibilità per gli investitori di ricorrere a tribunali terzi, in caso di violazione, da parte dello Stato destinatario dell’investimento estero, delle norme di diritto internazionale in materia di investimenti e futuri profitti. Le aziende che investono in altri stati, dice chi critica la clausola, potrebbero opporsi alle politiche sanitarie, ambientali, di regolamentazione della finanza o altro attivate nei singoli paesi, reclamando interessi davanti a tribunali terzi, qualora la legislazione di quei singoli Stato determinasse la limitazione della loro attività o i loro interessi. Una conseguenza potrebbe essere che ciascuno degli Stati dell’area sottoposta al TTIP, potrebbero vedersi chiamare in giudizio di fronte ad un tribunale terzo, ogni qualvolta una normativa di un determinato paese mette in discussione la formazione del profitto di una impresa che ha investito nel paese medesimo. Una pesante ingerenza delle imprese nelle attività legislative degli Stati. Fin qui le principali argomentazioni critiche degli oppositori al Trattato TTIP. Un’ultima nota per concludere questa esposizione riguarda il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Nel recente incontro con il Presidente Obama Renzi ha auspicato che il 2015 sia “l’anno della svolta per il Trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti” esprimendo una posizione abbastanza netta. Il TTIP, per il Presidente del Governo, è una priorità. Cosi facendo Renzi posiziona l’Italia come il Paese Ue più favorevole a questo accordo commerciale assumendo una posizione abbastanza azzardata considerato il dibattito ancora in corso sull’argomento in Europa e nel mondo. Renzi avrebbe affermato che il TTIP rappresenta: “un grande obiettivo, come governo stiamo spingendo con grande determinazione, non solo perché abbiamo tutto da guadagnare ma anche perché se gli Usa fanno accordi commerciali con tante parti del mondo è fondamentale avere lo stesso rapporto con gli Usa”. Una posizione che evidenzia l’isolamento del nostro Paese e del PD all’interno del consesso europeo progressista che sta assumendo sull’argomento posizioni molto critiche.
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