Sardegna Che fare? Rimarremmo nella nostra fortezza Bastiani in attesa dei Tartari? Intervento di Salvatore Melis, Rossomori
Assistiamo allo sbando dell’economia nel suo complesso.
E’ in crisi profonda l’agricoltura. I pastori sono sempre più poveri e indeboliti nelle relazioni commerciali. Sulla questione pastorizia è sempre più chiara l’incapacità della politica di imporre regole in grado di dare prezzo al latte e quindi dignità alla categoria e forza all’economia rurale. In questi ultimi anni è mancata la volontà di favorire una giusta ed equa redistribuzione del valore aggiunto prodotto dalla vendita dei formaggi. Non di meno è in crisi il settore cerealicolo e ortofrutticolo, il quale senza una nuova politica agricola, risulta non concorrenziale rispetto all’offerta determinata dall’apertura del commercio internazionale Europeo e nordafricano.
E’ in crisi l’edilizia. Lo studio presentato da CNA nei mesi scorsi lascia poco spazio alle interpretazioni. L’edilizia è al settimo anno consecutivo di crisi con l’erosione del 36% del mercato. Calano i mutui sia per le abitazioni (-42,3% nel 2011 e -55,2% nel primo trimestre 2012) sia per i fabbricati non residenziali (-32,9% e -55% negli stessi periodi). Nonostante una crisi così lunga (iniziata ben prima della crisi finanziaria del 2009), s’insiste testardamente sulle stesse politiche. L’edilizia è ancora tutta concentrata sulla costruzione di case e palazzi, come se la Sardegna fosse in grande espansione demografica. In realtà, il continuo edificare non ha mai avuto una valenza economica, bensì speculativa. Il risultato è che la grande quantità di invenduto fa vacillare l’intero sistema del credito. Aumenta, infatti, l’insolvenza. Gli stessi fondi di garanzia (pagati con soldi di tutti i sardi), potrebbero trovarsi nella condizione di incapienza e mandare in sofferenza l’intero sistema bancario regionale. Eppure, non sarebbe difficile affrontare il tema della riqualificazione, specie se consideriamo il fatto che il 35% del patrimonio edilizio ha più di 50 anni.
E’ in crisi il settore ittico. Basta dire che il caro carburanti ha portato al ritiro dall’attività di oltre il 25% dei pescherecci (fonte CREL). Contemporaneamente è cresciuta la pesca abusiva ed è aumentato l’importato a scapito del pescato sardo (Il 60% del pesce venduto in Sardegna è importato). 1840 km di costa dovrebbero far pensare ad una economia ittica fortissima. La Sardegna dovrebbe essere esportatrice di pesce, invece ha una situazione economica al collasso e i sardi al mercato comprano il pesce che trovano, sempre più greco e spagnolo.
E’ in crisi l’artigianato. Oltre 40 mila imprese abbandonate al quotidiano. I numeri della crisi del settore artigiano sono impressionanti, da uno studio della Cna si rileva che negli ultimi cinque anni il fatturato è diminuito di oltre il 40%, con gli utili calati del 55%.
E’ in crisi il turismo. 5% di calo fra 2010 e 2011 (fonte Istat) e (i dati non sono ancora confermati) sembrerebbe che la stagione 2012 si stia concludendo con un -20% di presenze e -30% di fatturato.
E’ in crisi il commercio. Nel primo trimestre 2012 (fonte ADOC) il saldo fra nuove iscrizioni e cancellazioni è pari a -817 con 618 iscrizioni a fronte di 1234 cancellazioni. La perdita di posti di lavori nell’ultimo biennio è di 1800 unità.
Non funzionano i servizi. La mobilità interna non fa passi avanti, il sistema ferroviario sardo non cresce di un metro, la continuità territoriale non trova assetti di medio periodo. I collegamenti via mare sono gestiti con estemporaneità e il progetto sulla flotta sarda, buono nell’idea, è gestito in modo dilettantistico, con il rischio di una procedura d’infrazione da parte dell’Europa e la debacle politica in Consiglio Regionale. La sanità continua ad essere gestita in funzione del potere e non del cittadino. La formazione è sparita dall’agenda politica. L’università si limita a dispensare lauree e non è in alcun modo affiancata allo sviluppo economico.
E, dulcis in fundo, l’industria sarda è al collasso. Stiamo assistendo alla presa d’atto della fine dell’industria chimica. Quella che era la nervatura economica industriale sarda ha dato i segni chiari del cedimento da almeno un ventennio. In questo tempo la politica, governi di centrosinistra e di centrodestra, non hanno saputo innescare nuovi processi. Si è protetto un modello industriale già fallito. Non si è voluta affrontare la sfida del futuro. Tutto l’impegno della politica, tutto lo sforzo sindacale e l’intero sistema Sardegna, hanno sprecato le risorse nel tentare di salvare ciò che non era salvabile. Non si è riusciti e non si è voluto costruire una nuova prospettiva economica per la Sardegna. Un modello economico con radici sarde, capace di dare valore a quello che la Sardegna è: una terra antica, ricca di storia, caratterizzata dal più grande patrimonio boschivo d’Italia, dispone di 1840 km di coste con spiagge bellissime e paesaggi unici al mondo, con la tipicità eterea dei suoi 377 comuni, con il più grande patrimonio ovino italiano (50% è in Sardegna), con sole, vento e sottosuolo geotermico sufficienti a produrre energia rinnovabile sino a poter trasformarsi in isola a emissioni zero e consegnare valore aggiunto a tutto ciò che è prodotto in Sardegna. Che dire della posizione geografica nel centro del mediterraneo, adattissima a fare un HUB internazionale, senza parlare del sistema portuale, che se accompagnato da una Zona franca potrebbe far si che Cagliari divenga il vero HUB del traffico merci proveniente dall’Atlantico e che le rotture di carico significo creazione di industria manifatturiera nella free zone..
Lo stesso Statuto Sardo è rimasto inattuato perché chi governava era avvinto da un modello economico calato dall’esterno e tenuto in piedi in Sardegna solo dalla possibilità che l’industriale di turno aveva di godere di agevolazioni e della possibilità di abusare dell’ambiente senza essere chiamato a rendere conto. Uno Statuto che poteva essere lo strumento per un governo di sovranità, specie dopo la riforma del titolo V della Costituzione, con la quale la Sardegna aveva gli strumenti ideali per costruire solidità economica e autogoverno.
Quello descritto sembra un bollettino di guerra. Una catastrofe pur non essendo catastrofismo. Magari potesse il mio essere solo un giudizio politico. Haimé questi sono i numeri della realtà!
Che fare?
Dobbiamo aspettare che qualcuno da fuori arrivi e ci prenda ancora una volta per fame? Magari aspettiamo l’arrivo di un sultano qualunque, disposto a fare grandi investimenti a patto che si lasci mano libera all’occupazione di suolo sardo?
Dobbiamo aspettare che chi è classe dirigente in Sardegna da almeno 30 anni, possa improvvisamente diventare capace di smettere di autoreferenziarsi, di riconoscere di avere goduto di rendita senza costruire futuro e prospettiva e, quindi, possa diventare autrice del nuovo di cui la Sardegna ha bisogno?
Oppure siamo convinti che qualcuno prenda in mano il proprio solido potere e lo imbocchi gratuitamente alle nuove generazioni affidando a queste il complito e il ruolo di fare la Sardegna nuova?
Nulla di questo accadrà. E allora rimane solo una mossa da fare. Si tratta di assumerci la responsabilità di guidare la Sardegna. E se questo non può avvenire per passaggio naturale, sia il frutto della contrapposizione e del conflitto. Democratico s’intende!
Se rimarremo ad espettare, rinchiusi nella nostra fortezza Bastiani, la nostra vita risulterà sprecata in attesa dei Tartari.
Le nuove generazioni hanno questa responsabilità. E’ finito il tempo dell’omissione. E’ tempo di lottare.
* Segretario Nazionale Rossomori
———
Intervento ripreso dal sito web del partito dei Rossomori
Per connessione: Intervento di Guido Melis (relazione)
Lascia un Commento