in giro con la lampada di aladin… sui fondi europei
- Paci: “Da Ue 2,7 miliardi. Programmiamo bene, spendiamo meglio”.
Repetita iuvant - Creare nuovo lavoro. I fondi europei a questo devono prioritariamente servire. Ma ci sono alcuni ostacoli da rimuovere. Franco Meloni su Aladinews del 19 agosto 2014
I dati impietosi rilanciati dalle associazioni degli enti locali sui trasferimenti dello Stato a Comuni e province, lasciano poco spazio all’immaginazione: negli ultimi due anni, in Sardegna c’è stata una flessione di ben 316 milioni di euro. Sono gli effetti della revisione della spesa (oltre 253 milioni), ma non solo. Nel conto ci sono anche i tagli per assicurare la necessaria copertura agli 80 euro in busta paga di Renzi e le sforbiciate al Fondo unico per gli enti locali. Insomma, un mezzo disastro. Eppure c’è un capitolo che gli amministratori locali non hanno finora sfruttato appieno: sono i fondi dell’Unione europea. Anche per questo l’assessore regionale alla Programmazione Raffaele Paci lancia un messaggio chiaro ai Comuni: “Mi pare che abbiano riconosciuto come, anche in tempi di crisi, i finanziamenti regionali siano stati mantenuti. Ora lavoriamo insieme per ottimizzare la spesa e la programmazione dei fondi Ue. Capiamo che per un Comune sia molto più semplice mettere a correre i fondi regionali, ma anche nell’ambito dei corposi finanziamenti Ue noi assicureremo il nostro contributo perché facciamo parte dello stesso sistema”.
Innanzitutto, ci sono ancora a disposizione 396 milioni da qui al 31 dicembre 2015. E occorre spenderli in fretta, visto che in caso contrario tornerebbero a Bruxelles. “Stiamo facendo tutto il possibile per evitare questa eventualità – dice il vicepresidente dell’esecutivo -. Intanto, non dobbiamo ripetere gli errori fatti in passato. Uno su tutti? Gli uffici che hanno lavorato spesso a compartimenti stagni. La cabina di regia che abbiamo appena varato serve proprio a questo”.
E poi c’è la partita del settennio 2014/2020. Con una cifra da capogiro: oltre 2,76 miliardi di euro suddivisa tra Fondo sviluppo regioni (933mila euro), Fondo sociale (444mila) e Fondo per l’agricoltura (1,3 miliardi). “Perché ci troviamo, ancora nel 2015, a programmare i fondi del periodo 2007/2013? Perché abbiamo ereditato ritardi enormi, dopo anni e anni in cui non si è speso niente – specifica l’assessore Paci -. Colpa della burocrazia, certo, con il conseguente blocco dei fondi da parte di Bruxelles per quasi un anno, da marzo 2014, e lo sblocco pochi mesi fa. Ma è stata colpa anche dell’assenza di una programmazione unitaria, ovvero l’unione dei fondi a disposizione”.
Per rendere meglio il concetto, un semplice esempio. “Se una cooperativa sociale è interessata a rilevare un terreno e fare agricoltura – dice Paci – è chiaro che posso usare non solo le risorse del Fondo sociale, ma anche quelle del Fondo di sviluppo regionale e pure quelle del Fondo per l’agricoltura. Ad oggi invece, questo modello non è mai stato attuato. E questo cosa comporta? Ritardi, burocrazia, intoppi nelle procedure. Come nel caso delle ‘irregolarità’ certificate da Bruxelles, quelle che hanno portato allo stop dei fondi: nessun riferimento a gestioni poco trasparenti, ma burocrazia bella e buona”.
Rientra in quest’ottica la creazione di una cabina di regia che nelle ultime settimane ha riunito intorno allo stesso tavolo parte politica, parte tecnica e portatori di interessi, dalla cultura al lavoro, dall’agricoltura all’istruzione fino all’imprenditoria. Tema privilegiato: la programmazione unitaria, con un ordine di spesa ‘gerarchico’ che parte, appunto, dai fondi europei perché “non possiamo più permetterci di restituire a Bruxelles decine di milioni di euro come troppe volte è accaduto in passato”, conclude l’assessore alla Programmazione.
P. S.
SardiniaPost
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- http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_274_20150312120935.pdf
- Delibera per la costituzione dell’unità di progetto per i fondi FESR e FSE
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Creare nuovo lavoro. I fondi europei a questo devono prioritariamente servire. Ma ci sono alcuni ostacoli da rimuovere
- Ripubblichiamo un intervento del direttore del 19 agosto 2014
di Franco Meloni
Non possiamo che associarci con convinzione al “grido di dolore” di Pietro Borrotzu e Mario Medde, lanciato come associazione “Carta di Zuri”. Ancora una volta denunciano l’insostenibile situazione della Sardegna rappresentata, dati alla mano (che rinviamo alla lettura del documento) in un “quadro di impoverimento complessivo, di forte disoccupazione e precarietà, di deficit formativo”. Una risposta prioritaria e obbligata è costituita da adeguati investimenti “nel lavoro, nelle competenze, nella formazione e istruzione e in tutta la filiera della conoscenza”. Dunque è tempo di attuare politiche attive del lavoro e della formazione “per sostenere una nuova fase dello sviluppo e per ridurre in tempi rapidi la disoccupazione e la povertà; in primo luogo quella derivante dalla disoccupazione giovanile”. A questo riguardo Borrotzu e Medde sostengono che “la gran parte dei Fondi europei deve essere destinata in via prioritaria a questi obiettivi”. E non vedono particolari ostacoli per fare ciò: “La Regione è in grado, se lo vuole, di garantire efficienza, efficacia e tempestività. La politica è in grado, se lo vuole, di garantire una burocrazia al servizio del lavoro e dello sviluppo. La buona politica dunque è la prima condizione per invertire il senso di marcia, promuovere la crescita e il lavoro, incentivare la ” vita buona”. Proponiamo dunque che le risorse dei fondi europei 2014-2020 vengano spese in tempi rapidi nelle competenze e nella conoscenza, in un piano per il lavoro che consenta a migliaia di giovani di impegnarsi in attività di valorizzazione, risanamento e tutela dell’ambiente e dei beni culturali, archeologici e identitari della Sardegna, in programmi di intervento sociale a favore delle famiglie, degli anziani e dei non autosufficienti”. Il documento continua con una serie di ulteriori raccomandazioni di carattere strutturale. Citiamo la necessità di “politiche di settore e territoriali in grado di rafforzare le imprese, riducendo o eliminando le diseconomie esterne al processo produttivo (energia, trasporti, assetti idrici, servizi alle imprese e lacci e lacciuoli della pubblica amministrazione), intervenendo anche come Regione sull’eccessivo carico fiscale e tariffario, avviando una strategia di livello regionale sul credito e sul rapporto con il sistema bancario. (…)”. Tutte questioni di enorme importanza che vanno affrontate in un approccio complessivo alla situazione sarda. Ma, in questa sede, se volete un po’ riduttivamente, vogliamo soffermarci su una sola questione evidenziata da Borrotzu e Medda, precisamente l’utilizzo dei fondi europei in via maggioritaria e prioritaria per sostenere il lavoro e la formazione dei sardi, a partire dai giovani, ma senza fermarsi ad essi. Delimitando il campo vogliamo essere ancor più mirati, a costo quindi di perdere in complessità, ma con la convinzione di fare ragionamenti utili e concreti. Innanzitutto crediamo che occorra disporre di maggiori informazioni sull’utilizzo dei fondi europei e di più efficaci strumenti di monitoraggio della loro spendita in relazione all’obbiettivo occupazionale e formativo. Per quanto riguarda l’occupazione occorre disporre di una precisa contabilità dei posti di lavoro (o, più genericamente, di tutte le opportunità lavorative) che possono generare l’utilizzo dei fondi. Al riguardo per economia di discorso mi permetto citare un mio precedente intervento su Aladinews, laddove, partendo dalla considerazione che la gran parte dei fondi che verranno stanziati nei prossimi mesi/anni in funzione anticrisi saranno pubblici e affidati alle pubbliche amministrazioni, auspicavo che sulla base degli impegni assunti, i relativi programmi e progetti avessero tutti ben evidenziati insieme alle risorse dedicate e ai tempi di attuazione, l’elenco dei posti di lavoro che attendibilmente genereranno. Soprattutto di questo abbiamo bisogno, perchè la crescita deve essere sinonimo di lavoro, di mantenimento e aumento dei posti di lavoro. E allora, vorremmo che ogni pubblica amministrazione rendesse conto dei programmi e progetti che gestisce o gestirà, dando conto di questa contabilità, in fase di previsione e di effettiva attuazione di detti programmi/progetti. Facciamo un esempio, tanto per capirci: ogni Ente locale, ogni Camera di Commercio, ogni Università, ogni… titolare di progetti finanziati dallo Stato piuttosto che dall’Unione Europea o da altre fonti, dovrà fornire l’elenco dei posti di lavoro (o comunque delle occasioni di lavoro, in tutte le tipologie) che l’attuazione del programma/progetto affidato andrà a generare. Questi dati dovranno essere resi pubblici e sottoposti a periodici monitoraggi, di cui come è ovvio dovranno farsi carico in primo luogo le Organizzazioni sindacali. E i media devono fare la loro parte!
Ecco. Per fare tutto ciò non occorrono molte risorse organizzative in aggiunta a quelle di cui la Regione già dispone, ma occorre attivare una metodologia di monitoraggio e controllo, in tutte le fasi della vita dei programmi/progetti: dalla ideazione, alla progettazione, all’esecuzione e alla valutazione. In argomento, consentitemi ora una considerazione per la comprensione della quale occorre usare qualche tecnicismo. Si tratta di questo: uno degli ostacoli alla creazione di nuove opportunità di posti o semplicemente di occasioni di lavoro attraverso i fondi europei è costituito dalle politiche di accapparramento di risorse da parte degli enti beneficiari (per la definizione di “beneficiari” si faccia riferimento all’apposito glossario dell’europrogettazione). Questi tendono a fare “improprie sinergie” con i fondi europei ai fini di risolvere propri problemi di bilancio. Comportamento legittimo, ma solo in certi limiti. E mi spiego. E’ legittimo rappresentare (e recuperare) una parte dei costi della struttura e del personale strutturato tra i “costi ammissibili” dei progetti, ma questo “recupero” non deve andare oltre un documentato ristoro dei costi sostenuti dagli Enti. Insomma non deve andare a discapito dell’assunzione (in tutte le forme consentite) di nuova forza lavoro. che costituisce uno degli obbiettivi più rilevanti dell’utilizzo dei fondi strutturali (in particolare FSE). Cè pertanto da stabilire opportuni limiti. Soprattutto c’è da esercitare precisi controlli da parte degli uffici regionali deputati alla governance degli interventi. Controlli che devono essere anche sanzionatori, della serie “O ti comporti correttamente, rispettando le direttive europee e non ostacolando gli investimenti in nuovo lavoro, o non puoi essere assegnatario di fondi”. Quanto detto qui comporta anche un adeguamento dei regolamenti regionali (Vademecum vari) e di quelli delle organizzazioni pubbliche che vogliono gestire programmi europei, ma, soprattutto, richiede diversi orientamenti e comportamenti dei vertici degli enti. Nel caso tali organizzazioni non vogliano o non possano adeguarsi occorre cambiare i gestori. Al riguardo vale quanto detto in altra occasione sulle ragioni della scarsa spendita dei fondi europei (e non solo): “una delle ragioni dell’incapacità di ideare e realizzare buoni programmi, sta nel fatto che richiedono adeguate professionalità. Spesso invece molti soggetti “beneficiari” ignorano la complessità dei progetti, banalizzano i problemi e combinano pasticci che rallentano tutto. Tra le iniziative da assumere senza dubbio l’organizzazione da parte della Regione di attività di informazione/formazione per i vertici delle amministrazioni pubbliche che vogliono attuare progetti europei. Sono loro infatti tra i maggiori responsabili del rallentamento della spesa, e, aggiungiamo, della mancata creazione di nuovo lavoro, specie quando insistono a voler fare cose non compatibili con quanto programmato e concordato con la Commissione europea.
Torneremo sulla questione.
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