Oggi mercoledì, mercuris, 11 marzo 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Terra, Lavoro, Pace, Solidarietà, a Serdiana, La Collina venerdì 13 marzo..
- Oggi alle ore 18 alla Biblioteca Lussu di Monte Claro: Parole simboli narrazioni tra scritture e neuroscienze – Anime rubate.
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Da La Nuova Sardegna, martedì 10 marzo 2015
Economia e politica
E rispetto alle politiche del lavoro anche il sindacato deve uscire dalla sua arcaicità
I tempi sono cambiati e i lavoratori sono più avanti dei loro rappresentanti.
di Andrea Saba
La prima fase della crisi volge verso il termine e cioè verso un lieve incremento del Pil derivante dalla buona tenuta dell’export italiano e dalla azione della Bce con l’audace manovra dell’acquisto di buoni del tesoro dei paesi euro. Il primo aspetto è molto interessante. L’industria italiana, delle cui caratteristiche peculiari si parla poco, ha consentito di mantenere la bilancia commerciale italiana in attivo durante tutta la crisi, anche nei momenti più bui. È ora in atto una progressiva trasformazione assai positiva: le piccole imprese stanno aumentando la loro presenza sui mercati esteri anche su quelli extra europei. Questa è una delle condizioni su cui si baserà il futuro della economia italiana. La produzione di altissimo livello qualitativo sia nel campo manifatturiero che in quello agroalimentare, si sta aprendo un varco sempre più ampio nei mercati mondiali, specie nei paesi di recenti sviluppo. Protagoniste sono nuove imprese, spesso create da giovani intraprendenti che utilizzano tecnologie avanzate; ma anche importanti sono le nuove forme di organizzazione fra gruppi di imprese per affrontare il mercato internazionale. Ora se grazie al “quantitative easing” messo in atto dalla Bce che consente una progressiva facilitazione del credito, ed al Job act (Uffa! Ma non possono parlare in italiano? Se rompe le palle a me, che sono laureato a Cambridge, figuriamoci all’italiano medio) che rende più flessibili le relazioni industriali, si segnala un incremento della produzione industriale, una opportuna riduzione del carico fiscale potrebbe consolidare la ripresa. Queste politiche hanno tempi molto diversi. La politica monetaria di Draghi, promettendo a dicembre di procedere all’acquisto di buoni del tesoro dell’eurozona, ha determinato immediate aspettative che hanno fatto calare lo spread e ridotto la quotazione dell’euro, cioè ha avuto un effetto positivo prima che i provvedimenti si verificassero. Il secondo strumento, la modifica delle regole sul lavoro dipendente (job act) invece avrebbe avuto bisogno di un tempo molto maggiore se non si fosse verificato un esempio assai significativo: la vicenda Fiom a Melfi. La Fiat di Melfi, di fronte ad una richiesta fortissima di auto Panda (e questo sì che è positivo) ha chiesto agli operai la disponibilità – pagata ovviamente – di poter lavorare anche il sabato. La Fiom di Landini ha immediatamente proclamato uno sciopero. Hanno aderito alla sciopero cinque operai mentre mille e quattrocento hanno accettato la proposta di Marchionne. Di fronte a questo risultato Landini avrebbe dovuto dimettersi e dedicarsi al giardinaggio. Questo episodio clamoroso dimostra come il sindacato sia arcaico e inutile. Di fronte a qualsiasi problema economico e sociale è totalmente incapace di formulare proposte risolutive a vantaggio dei lavoratori. L’unica cosa che è in grado di dire è soltanto “sciopero”. Sono lontani i tempi in cui il centro studi della Cgil con Giuliano Amato e altri studiosi della sinistra in utilissimo dialogo con i rappresentanti sindacali potevano formulare nuove indicazione di politica economica. Forse la stessa composizione degli iscritti ha ridotto ormai il grado di rappresentatività :il 52% della Cgil sono pensionati, il 30% statali. In realtà solo il 18% sono la gloriosa classe operaia. I dirigenti vivono nella abbondanza grazie alle quote di iscrizione dei pensionati; i bilanci non sono pubblici e non se ne parla, le liquidazioni, almeno quella di Bonanni di 340mila euro, mi è sembrata un tantino esagerata per un difensore dei diritti di lavoratori che vivono con 1.200 euro al mese. È evidente che il sindacato deve autoriformarsi se vuole riavere un ruolo utile e fondamentale nella conduzione politica e nella soluzione dei problemi sociali, dato che è nato per questo. Queste due politiche non bastano: più fondi disponibili e maggiore flessibilità risolvono due questioni importanti, ma gli ostacoli di una burocrazia pletorica ed inefficiente, una eccessiva pressione fiscale, una carenza nelle infrastrutture, dalla banda larga ai trasporti, sono ancora un ostacolo grave per un flusso continuo di investimenti per una ripresa consistente.
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Da La Nuova Sardegna di mercoledì 11 marzo 2015
Si unisce la cultura della spending review e quella di un rinnovato centralismo che rendono più agevole il controllo da parte della classe politica
di Marcello Madau
Unificazione delle Soprintendenze archeologiche, eliminazione delle Direzioni regionali, istituzione dei Poli museali. Non ho visto documenti ufficiali, né ci sono state almeno parvenze di percorsi condivisi con le nostre comunità, così direttamente convolte dal cambiamento. E’ un fatto grave. Tra le ombre (molte) e alcune luci della riforma Franceschini, l’unificazione delle Soprintendenze sarde fa temere un indebolimento della tutela. Una misura analoga era stata operata nel 2007 dal ministro Rutelli. Si uniscono la cultura della Spending Review e quella di un rinnovato centralismo grazie a misure coerenti con la tendenza in atto nel paese; si leggono analogie non casuali con l’idea dell’unica Università sarda, delle Accademie di belle arti di eccellenza (e le altre a sparire, o regionalizzabili), l’idea di cancellare (o unificare) i piccoli comuni, e tanti altri processi. Una conseguenza importante, e forse un motivo non secondario, sarà il più agevole controllo del sistema da parte della classe politica. Certo, se il parametro è il numero di cittadini, e non la funzione sociale, in Sardegna siamo effettivamente pochi consumatori. Peccato che la nostra isola abbia un numero impressionante di monumenti archeologici, il più alto in Italia e forse nel mondo (oltre ventimila, nelle varie epoche e tipologie), ciò che suggerirebbe una territorializzazione degli uffici, e non una loro unificazione; un maggiore equilibrio degli stessi, e non una singola centralità, in questo caso cagliaritana. Il nostro paesaggio ha necessità specifiche, e la sua tutela merita approfondimenti, innovazioni anche in questo campo così essenziale: mi sarebbe piaciuto, ad esempio (razionalizzare per razionalizzare), vedere una possibile unificazione fra Soprintendenze archeologica e architettonica; ma a poco serve razionalizzare se non si assume personale, se si tagliano fondi, se la distanza fra gli uffici decisionali ed i luoghi diventa forte. Problema di relazioni territoriali anche nel “sistema musei”: spero che la nascita del Polo museale regionale sappia stabilire relazioni virtuose fra la rete dei musei civici, a competenze primaria regionale, connessi alle aree archeologiche, e quelli nazionali, il complessivo meccanismo di valorizzazione e promozione. Sarà un processo assai delicato, soprattutto per la possibilità di un consolidamento della nostra rete con i luoghi rispetto alle logiche dell’apparire a prescindere da essi. L’impressione che ho è che il modello nazionale della tutela, che nel secondo dopoguerra generò, dal dicembre del 1974, il Ministero dei Beni culturali e ambientali (da quello della Pubblica Istruzione), stia concludendo la sua vicenda storica. L’origine centralista della sua storia (l’articolazione territoriale in Uffici periferici era in tutta evidenza un modello che partiva dal centro, e non di autonomia territoriale)viene a razionalizzarsi, e forse accresce il suo potere, ma la tutela perde forza. D’altra parte la Regione non sembra sostenere un piano territoriale alternativo. Eppure bisogna leggere e vedere le prospettive di altre dinamiche possibili e provare a interpretarle e costruirle. L’evidenziarsi della personalità dei luoghi, la vastità di un patrimonio che non è solo “grandi scoperte” e il recente riconoscimento dei professionisti dei beni culturali indica una strada nuova che non solo può bilanciare e risarcire la crisi irreversibile di questo sistema, ma indicare – magari a fianco di leggi e uffici pubblici di qualità scientifica e rigorosa deontologia – un più avanzato realizzarsi della pianificazione territoriale. Con una rete reale di attenzione e tutela che potrebbe collegarsi e dare nuova (e più razionale) risposta alla crisi del vecchio sistema, provando a leggere il passaggio storico da bene pubblico a bene comune.
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