Università della Sardegna. Quale Architettura in Sardegna? Dalla situazione di Alghero alla questione più ampia
Seguiamo la “vertenza” di “AAA Architettura Ad Alghero”, che ci ostiniamo a voler vedere risolversi nella costruzione della “Scuola di Architettura della Sardegna“, sotto l’egida dell’Università della Sardegna (vedasi il nostro editoriale del primo marzo). Diamo conto di ulteriori sviluppi della vicenda, attraverso il servizio odierno de La Nuova Sardegna, accompagnato da un bell’articolo di Giampaolo Cassitta sul perché non deve chiudersi Agricoltura Ad Alghero.
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Dopo le dimissioni (respinte due volte) del direttore Cecchini, gli universitari vogliono chiarezza sul destino della facoltà
Gli studenti: ora il confronto col rettore
di Gianni Olandi
ALGHERO Per gli studenti della facoltà di Architettura alle prese con una situazione abbastanza complicata, forse in via di soluzione, ma al momento sostenuta soltanto da parole e impegni generici, sono giornate caratterizzate da uno stato di assemblea permanente. Incontri vengono svolti ormai quotidianamente per prendere atto degli ultimi aggiornamenti e individuare azioni da assumere. – segue – Come quella svolta recentemente a Cagliari quando in oltre 200 hanno raggiunto la sede del consiglio regionale per manifestare le proprie preoccupazioni ma anche le tante perplessità per un atteggiamento complessivo dell’istituzione che non sembra eccessivamente attenta ai problemi della facoltà, e soprattutto a quelli riguardanti le risorse economiche con le quali affrontare l’ordinaria amministrazione. Gli studenti del Dadu (Dipartimento di architettura, design e urbanistica) sono alle prese con un ulteriore problema emerso nel corso dell’assemblea svolta nell’ex asilo Sella lunedì sera. Problema che riguarda la nuova presentazione delle dimissioni dall’incarico del direttore Arnaldo “Bibo” Cecchini. Dimissioni respinte in prima istanza e ora ripresentate e respinte ancora una volta dal rettore Massimo Carpinelli, secondo quanto riferito dagli studenti in assemblea. Gli studenti hanno interpretato la decisione del rettore «come un’apertura al dialogo con l’assemblea» e auspicato che Carpinelli sia disponibile per un incontro. Nel corso dell’affollata assemblea dei futuri architetti non sono mancate considerazioni poco positive sull’atteggiamento complessivo da parte dell’istituzione regionale che non sembrerebbe tenere conto dei risultati raggiunti dalla facoltà, del ruolo svolto e del grande interesse che sta ormai rivestendo in ambito nazionale e internazionale. Forse con un po’ di esasperazione dei concetti, peraltro anche comprensibili vista la situazione ancora non definita, da qualche parte è stato manifestato il timore che questa sorta di indifferenza sia figlia legittima proprio di quei risultati che sulla facoltà hanno acceso riflettori troppo forti. «Qualcuno è rimasto accecato»: è una battuta raccolta tra le tante voci tipiche di una assemblea studentesca che per la tematica in discussione non poteva che essere vivace e condita anche da tratti polemici. Il clima, pur tra le perplessità, è comunque ancora improntato verso la fiducia: «Sarebbe del tutto incomprensibile – dicono gli studenti – istituire una facoltà, farla crescere in buona salute e poi indebolirla per condizionarne un ulteriore sviluppo».
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Regione
Trecentomila euro solo per un anno
Lo stato attuale del ragionamento in corso tra Regione, Comune e Università di Sassari prevede per Architettura la concessione di 300mila euro per un anno che potrebbero non ricadere sui fondi dell’ateneo sassarese. Ma il fronte è aperto anche per una sistemazione concreta per le annualità future in modo da eliminare quell’incertezza finanziaria che oggi sta creando non pochi problemi alla facoltà. Problemi che riguardano contratti, personale, servizi, quella che abitualmente viene definita come “ordinaria amministrazione”. Ordinarietà senza la quale si rischiano di bloccare procedure e attività essenziali per architettura. (g.o.)
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- Da La Nuova Sardegna, mercoledì 4 marzo 2015.
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FACOLTA’ A RISCHIO
Architettura, perché non bisogna cancellare le buone speranze
di Giampaolo Cassitta su La Nuova Sardegna.
Quelle curve, gettate quasi per caso verso il cielo, erano diventate il suo incubo felice, la soglia paradossale della creatività. Avrebbe voluto rincorrerle per comprenderne il senso e per impararne la sinuosità. Lui, che nella vita aveva sempre percorso solo vie diritte e veloci. Poi quei sorrisi facili, quella falsa felicità, si trasformò in un vortice di scelte errate. Sino a finire in carcere dove tutto era terribilmente diritto, grigio, senza nessuna fantasia. Lui conosceva benissimo come si maneggiava una pistola, come si lavorava con un coltello, come si disegnavano traiettorie mortali. Lui aveva sparato. Aveva vent’anni e poca consapevolezza del senso della vita. Così, con le sue giovani ossa, fu sbattuto in una cella di un carcere fuori dal centro di una grande città, in un altrove sconosciuto, lontano da qualsiasi cielo. Scoprì, quasi per caso, un libro di fotografie. Lo prese in prestito dalla biblioteca del carcere. Gli piacque subito perché in copertina vi era un edificio coloratissimo e incredibilmente storto. Pensò alla sua vita, alla pistola, agli anni di galera. E cominciò a sfogliare quel libro. Finì per innamorarsi di Gaudì e della Sagrada Familia, quelle curve verso il cielo, quell’apparente disarmonica forma che diventava non solo opera d’arte, ma riusciva ad essere sublime, irripetibile. Un’opera ancora non conclusa, un po’ come la sua vita. Cominciò a richiedere tutti i libri su Gaudì e scoprì che in carcere era possibile studiare. Si diplomò in cinque anni e cominciò a riflettere sul futuro prossimo. Un giorno lesse un interpello appeso nella bacheca della sezione e subito compilò la richiesta di trasferimento. Nel carcere di Alghero, in Sardegna, era possibile non solo iscriversi all’università, ma sopratutto alla facoltà di Architettura. Ritornò Gaudì dentro i suoi occhi e i pensieri erano costellati dalle visioni oniriche di coccodrilli colorati e di curve lente e inesorabili che si sarebbero arrampicate verso il cielo. “Tutti hanno diritto alla propria cattedrale” diceva spesso durante l’ora d’aria e i suoi compagni lo guardavano con un certo distacco. Studiare troppo in carcere non fa bene, pensavano. Lui però non si scomponeva e a tutti rispondeva: «Vedrete, riuscirò un giorno a costruire la mia cattedrale». Giunse il giorno del trasferimento. Tra le poche cose che si portò vi furono tutti i libri acquistati sull’architetto catalano e tutti i disegni preparatori della sua cattedrale. Aveva le idee chiare, lui. Una scala ellittica ma non troppo, pareti senza spigoli e con molte venature, spazi ampi e senza porte. Aveva disegnato, per anni, l’esatto contrario di un carcere. Lui, oggi, è iscritto al secondo anno di architettura. Ha imparato molte cose e ha compreso che non basta un bel disegno per costruire qualcosa di bello e di solido, funzionale e che duri nel tempo. Ha scoperto però che, a volte, i disegni e le speranze vengono cancellate, con un colpo di “cimosa” da leggi e decreti incomprensibili e che su certe cose lui è assolutamente impotente. Non è potuto andare a Cagliari e manifestare con i propri colleghi. Lui è rimasto in cella ad attendere. Era fiducioso, è da anni che cammina con le tasche gonfie di buone speranze. Non poteva credere che un presidente della Regione peraltro docente universitario, potesse cancellare il suo sogno e quello di tantissimi studenti iscritti alla facoltà di Architettura di Alghero. Lui era portato per il disegno e non per la scrittura. Ha deciso, così, di inviare, in busta chiusa uno strano disegno al presidente della Regione Pigliaru, aggiungendovi poche parole: «Ho sempre raccolto molte pietre nella mia vita. Molte le ho lanciate, altre le ho usate male. Questo ammasso di pietre che ho disegnato su questo foglio servono per la mia cattedrale. Mi aiuti a costruire un sogno». Lui, con il suo mucchietto di sassi, aspetta di poter dimostrare che anche le curve della vita possono essere rivolte al cielo.
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