Oggi sabato 7 febbraio 2015

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La Nuova Sardegna 7 febbraio 2015
Il dibattito sulla bandiera sarda
di Luciano Marrocu
Fu il Partito sardo d’Azione, nel momento stesso della sua nascita, a sceglierli come simbolo del movimento
Non mi vergogno a dirlo, ma a me i Quattro Mori piacciono. Sino a qualche tempo fa non sapevo che avessero all’origine delle teste mozzate e oggi non è certo come teste mozzate che mi viene da pensarle. So però che quando vedo sventolare la bandiera dei Quattro Mori – il che capita quasi ovunque in Europa dove ci sia un significativo aggregato di folla, dalla Formula uno alle manifestazioni di Podemos a Madrid – io un po’ mi commuovo. Li si possono criticare quanto si vuole, i nostri mori bendati, ma si sono conquistati un posto di tutto rispetto nel grande show mediatico della contemporaneità. Nomino alla rinfusa: bretoni, galiziani, gallesi, occitani, bavaresi, sud tirolesi, quanti in Europa ne conoscono la bandiera? Pochissimi: molti di meno, comunque, di quanti tra gli europei sanno riconoscere i Quattro Mori, avendoli visti apparire abbastanza spesso in televisione. È vero che la storia è una faccenda troppo importante per lasciarla in monopolio agli storici. Ed è anche vero che proprio discutendo della sua storia un popolo si riconosce come tale. Mi chiedo però a chi possano servire queste ricostruzioni all’ingrosso, questo tagliare a colpi d’accetta i nodi spesso complicatissimi della nostra storia. A chi giova raccontare i sardi come eterne vittime di un destino cinico e baro? A chi giova far diventare il sardo-punico Amsicora sardo e basta? A chi giova dimenticare le origini anche catalane di Eleonora d’Arborea e la natura complessa – e del tutto incomprensibile ricorrendo alle categorie politiche dell’oggi – dei Giudicati. Il sardismo nasce in una congiuntura storica particolare, come conseguenza diretta della Prima guerra mondiale. Nasce cioè poggiando su linguaggi e strumenti culturali squisitamente novecenteschi. Se poi vogliamo addentraci lungo gli itinerari che portano alle premesse del sardismo, possiamo tornare indietro alla fine del Settecento, quando dotti studiosi sardi – molti tra di loro i preti – scoprirono il piacere di illustrare, prima di tutto a loro stessi, la nostra storia e la nostra cultura. Lasciamoli in pace i nostri Quattro Mori: la nostra bandiera è quella e rimarrà quella. A scavare dentro la storia dei simboli, a mettere allo scoperto la loro origine, la conclusione è sempre la stessa: che c’è sempre molto artificio e spesso arbitrarietà nel modo in cui, mettendo insieme icone, bande, colori, viene fuori una bandiera. Le bandiere hanno spesso per sorte di nascere dentro una stanza, belle o brutte che siano, giuste sbagliate che siano. Il difficile viene dopo quando devono conquistare il loro posto tra la gente. Cosa che i Quattro Mori hanno sin qui fatto egregiamente. A dar loro lo status che hanno oggi fu il Partito sardo d’Azione nel momento stesso della sua nascita, scegliendoli come simbolo del movimento. Più avanti venne dalla Regione, nei suoi primi anni di vita, l’impulso a dare loro un valore istituzionale. Vale per i Quattro Mori sardi quel che vale per il tricolore italiano, per l’Union Jack britannico, per le Stelle e Strisce americane. Mano a mano che le bandiere entrano nell’immaginario dei popoli di cui vengono elette a simbolo, perde importanza il perché e il percome del corredo simbolico di cui si nutrono. L’esame filologico degli elementi che incorporano diventa al più oggetto dell’interessamento degli appassionati di araldica. La storia che più interessa è un’altra ed è la storia di come e da chi sono state adottate e soprattutto del come si siano radicate tra la gente. E anche del fatto, però, che continuino ad essere amate. La storia delle bandiere, insomma, come storia dell’autocoscienza dei popoli.

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