Oggi martedì 13 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: sabato 17 a Cagliari Corradino Mineo.
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Pesca dalla rete
Il responsabile per il Piano dà il via libera all’investimento da 300 milioni di euro
Lo stabilimento della Mossi&Ghisolfi darà lavoro a centinaia di persone
Cherchi: «Sì al bioetanolo nuova linfa per il Sulcis»
di Felice Testa su La Nuova Sardegna on line di martedì 13 gennaio 2015
CAGLIARI Fa discutere il piano del gruppo Mossi & Ghisolfi, un colosso con 3 miliardi di dollari di fatturato, 2.300 dipendenti, pioniere del bioetanolo e seconda azienda chimica in Italia, che vuole realizzare nel Sulcis uno stabilimento per produrre 80mila tonnellate di carburante verde all’anno. Un’iniziativa che ha bisogno di un area industriale attrezzata, di un porto (già esistenti a Portovesme) di migliaia di ettari di terreno da coltivare a canne, più o meno 5mila nel raggio di 70 chilometri, del sostegno finanziario dello Stato e della Regione e di un consenso ampio della popolazione locale. Il progetto promette 150 posti di lavoro nell’impianto, altrettanti nell’indotto per la gestione della fabbrica, più di 300 in agricoltura, 600 per i due anni necessari alla costruzione, con un investimento di circa 300 milioni di euro.
Tore Cherchi, responsabile del Piano di sviluppo del Sulcis Iglesiente, fa il punto sullo “stato di avanzamento” del progetto Mossi & Ghisolfi, a partire da una constatazione: l’Italia, come gli altri paesi comunitari, ha un obbligo imposto dall’Europa, dovrà produrre biocarburanti. Si tratterà di decidere dove.
«L’Unione europea ha da deciso che entro il 2020 almeno il 10% del carburante consumato per i trasporti sia ricavato da vegetali (biocarburanti). Parliamo di un obbligo per gli Stati membri, Italia compresa. La decisione deriva dall’obiettivo primario della politica per l’ambiente di contenere il crescente effetto serra e il surriscaldamento connesso. Il biocarburante riduce le immissioni in atmosfera dell’anidride carbonica e in condizioni ideali, può azzerarle. Quello prodotto in impianti avviati dopo il 2017 dovrà assicurare una riduzione del 60% dell’anidride carbonica nell’intero ciclo di produzione e di utilizzo, cioè 100 tonnellate di gas serra diventano 40».
Sono diverse le voci critiche che si levano contro il progetto. Gli argomenti contro sono: eccessivo sfruttamento dei terreni, enormi consumi di acqua, penalizzazione per l’agricoltura di qualità. Qual è il suo parere ?
«Nel caso dei biocarburanti occorrono grandi estensioni di territorio e grandi quantità d’acqua per produrre la massa vegetale necessaria con possibili ricadute negative da prevenire e contenere con adeguate decisioni di programmazione. Dobbiamo, però, dire con chiarezza una cosa: l’Italia deve sostituire 3 milioni di tonnellate di gasolio e di benzina con un equivalente di biodiesel e bioetanolo e deve decidere se essere mercato di consumo del biocarburante tedesco o americano o anche un produttore. Il governo ha saggiamente deciso per la seconda opzione per ragioni strategiche legate all’innovazione tecnologica e al lavoro. L’impianto di bioetanolo in discussione per Portovesme è uno dei 5 di nuova generazione programmati in Italia. Il primo è stato realizzato in provincia di Vercelli (mi pare che si faccia un po’ di agricoltura da quelle parti) e gli altri sono stati localizzati dal governo Letta, prima che da Renzi, in aree a forte deindustrializzazione come il Sulcis. Impianti di nuova generazione che partono da cellulosa anziché da alimenti quali lo zucchero o amido con miglioramento dell’efficienza».
Produrre canne, una specie infestante, non porterà un danno alle colture di qualità?
«Viene richiamato lo scenario gravoso della produzione delle biomasse. E invero salvo che non si opti per il totale approvvigionamento dall’esterno (cosa possibile e su cui si reggerà la produzione industriale per un certo tempo ma con controindicazioni molteplici tanto che si raccomanda che almeno il 60% della materia prima sia approvvigionata da filiera corta in un raggio di 70 chilometri dall’impianto, entro sei anni) per la produzione della materia prima fresca (canne o altro vegetale) serve molto terreno e anche molta acqua. Messo da parte il rischio di espianto dei vigneti poichè i produttori del Carignano sanno fare di conto e il Piano Sulcis peraltro ha tra i suoi obiettivi l’espansione di queste produzioni, è indubbio che serva un’azione di programmazione dell’uso delle risorse, territorio o acqua che sia. Il tutto non può essere lasciato al solo gioco del mercato. Aggiungo anche che non lo si vuole lasciare. La Regione è proprietaria dell’acqua e stabilisce essa le destinazioni. A prescindere dalle dighe, molti milioni di metri cubi di acque reflue depurate finiscono in mare nel Sulcis e non solo. Quell’acqua, pur idonea, oggi vale zero. Perché non utilizzarla per fare biomasse? Non si tocchino i terreni dei tanti Consorzi di bonifica sebbene non utilizzati per decine e decine di migliaia di ettari auspicandone la coltivazione con colture pregiate. Ma oltre questi ci sono territori marginali da mappare e valutare. Ci sono terreni da bonificare non idonei per colture alimentari».
Sono previsti ingenti finanziamenti pubblici. C’è il timore che si ripetano gli esiti di precedenti iniziative industriali nel Sulcis, con gruppi multinazionali che, presi i soldi pubblici, hanno abbandonato l’isola, lasciando disoccupazione e un territorio inquinato da bonificare.
«In questo caso, si tratta di impianti realizzati con capitale proprio e con capitale di prestito da rimborsare. L’epoca dei capitali pubblici a fondo perduto erogati a dismisura è finita. L’intensità di aiuto consentita dall’Ue in Sardegna vale 7 milioni e mezzo di euro ogni 100 milioni di euro investiti. Perché mai si dovrebbe dire di no a un investimento industriale privato di circa 300 milioni di euro per prodotti del futuro che genera nuova occupazione (300 a regime e 600 in fase di montaggio) e altro indotto in una Sardegna e in Sulcis in cui il lavoro più che una priorità è un’emergenza? Penso che, ora, sia necessario un atto di programmazione per governare processi destinati ad ampliarsi e penso che la nuova guida della Regione abbia le capacità necessarie per farlo cogliendo le nuove opportunità di lavoro».
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