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Non crocifissi, ma penne e matite. Perché non è una guerra di religione (come Edward W. Said ha dimostrato)
di Vito Biolchini *

Per rispondere al terribile assalto terroristico alla redazione del Charlie Hebdo ieri i francesi hanno esposto in piazza non crocifissi né Bibbie o Vangeli, ma penne e matite. I simboli più profondi e autentici della libertà sono i simboli stessi del comunicare.

Evocare lo spettro di guerre di religione o scontri fra civiltà è quanto di più ignobile ci possa essere, giacché un giornale è il contrario di una religione, di ogni religione. E trasformare il Charlie Hebdo in un presidio dell’“Europa cristiana” ci ricorda quanto anche il nostro fondamentalismo sia idiota e pericoloso.

C’è chi soffia sul fuoco, chi eccita gli animi. Lupi che incitano gli agnelli ad aggredire altri agnelli. Quegli stessi lupi che nel Novecento appena passato assalivano le redazioni, bastonavano i giornalisti, negavano ogni libertà di espressione e di stampa, ora vestono la pelle degli indignati e ci indicano la via sbagliata.

Fascisti gli uni, fascisti gli altri. E non bisogna cadere nella trappola.

Nel suo articolo dal titolo “Alla deriva nella somiglianza” (lo trovate nel libro “La pace possibile”, edito nel 2005 da “il Saggiatore”), l’intellettuale Edward W. Said, a poco più di un mese dalle stragi dell’11 settembre, smontava implacabilmente la teoria dello scontro di civiltà propugnata da Samuel Huntington (teoria a cui il misero epigone Giuliano Ferrara attinge oggi indecorosamente a piene mani).

Per Said, Huntington si ispirava al pensiero di un altro studioso, Bernard Lewis.

“In entrambi i saggi non si esita a procedere alla personificazione di entità gigantesche chiamate “Occidente” e “Islam”, come se questioni straordinariamente complesse come l’identità e la cultura si potessero ridurre a una realtà da cartoni animati, dove Braccio di Ferro e Bruto se le danno di santa ragione e dove vince sempre il pugile buono. Di certo né Huntington né Lewis si preoccupano di considerare le dinamiche interne e il carattere plurale di ogni civiltà, o il fatto che nella maggior parte delle culture moderne ci si scontri soprattutto proprio sulla definizione e sull’interpretazione della cultura cui si appartiene; e tanto meno ammettono la possibilità antipatica che la pretesa di parlare per un’intera religione o civiltà tradisca l’intento demagogico e la pura ignoranza di chi la avanza”.

Perché il nemico non è solo il terrorismo ma la demagogia e ignoranza (la “pura ignoranza”), che corrodono le nostre democrazie dall’interno.

Said continua riferendosi all’11 settembre (ma si capisce che le parole vanno bene anche oggi):

“Il guaio di etichette poco costruttive come “Islam” e “Occidente” è che sviano e confondono la mente nel momento in cui si cerca di spiegarsi una realtà disordinata che non si lascia incasellare e confinare tanto facilmente. (…) Fare dichiarazioni bellicose allo scopo di scatenare passioni collettive è molto più semplice che non riflettere, esaminare, individuare con che cosa abbiamo a che fare in realtà e quindi vedere come un numero incalcolabile di vite sia reciprocamente connesso, le nostre con le loro”.

Conclusione:

“Viviamo un periodo di tensione; tuttavia, piuttosto che vagare senza meta alla ricerca di grandi astrazioni capaci di offrire una soddisfazione momentanea, ma non di contribuire seriamente alla conoscenza di sé e all’analisi critica, è meglio considerare le comunità umane sulla base della loro potenza o impotenza, adottare una visione politica laica che contrapponga la ragione all’ignoranza, valutare la giustizia e l’ingiustizia secondo princìpi universali. La tesi dello “scontro di civiltà” è un espediente in stile “guerra dei mondi”, che serve a rafforzare un orgoglio difensivo più che a promuovere una comprensione critica della sconcertante interdipendenza che caratterizza il nostro tempo”.

Una strage come quella di ieri lascia attoniti, senza parole. Improvvisamente chi fa della libertà di espressione la sua vita e il suo mestiere si sente indifeso e ha voglia di scappare. Di tacere.

Ma la libertà di stampa la si difende soltanto in un modo: esercitandola, sempre e comunque. Per contrastare “la pura ignoranza”, per continuare “a promuovere una comprensione critica della sconcertante interdipendenza che caratterizza il nostro tempo”. Anche davanti alle stragi, anche davanti alla paura di diventare bersaglio. Non c’è altra strada: per fortuna e purtroppo.

* by vitobiolchini
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Satira, letteratura, turbanti, improbabili zucchetti e pulpiti sospetti.
di Antonio Dessì **

Da diversi giorni, prima dell’efferata strage islamista (almeno fino a prova contraria, di quello si tratta; i complottisti, a me, come al solito, prendono alle palle) di Parigi, in Francia si è cominciato a discutere intensamente del romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione”, il quale ipotizza un Paese ormai arreso a una pervasiva islamizzazione, vittoriosa anche elettoralmente a causa della totale caduta di credibilità dei valori occidentali, in una società sopraffatta, più che dalla tolleranza, dall’accidia. Al romanzo e al suo autore, sia pure affettuosamente, proprio Charlie Hebdo aveva dedicato una irriverente vignetta, manifestando in tal modo non solo di non temere la suscettibilità dei turbanti, ma anche di non trattenersi neppure di fronte alle nostre ormai diffuse paure e paranoie.
Pare che di questo secondo aspetto non si sia neppure reso conto Giuliano Ferrara, la cui intemerata contro il buonismo cedevole della cultura democratica italiana viene in pompa magna pubblicata come editoriale su L’Unione Sarda di oggi. Se io fossi un vignettista, un Ferrara col turbante e il barbone da mullah mi piacerebbe disegnarlo. O più propriamente lo disegnerei con una bella mise cardinalizia, color porpora, con zucchetto, ma non meno rotonda e barbuta, ricordandone la furiosa crociata contro l’ammissibilità dell’aborto di qualche anno fa, recentemente ripresa in un attacco (scomposto, dei suoi) contro la Gabanelli e Report, colpevoli di realizzare servizi sulle oche di Moncler e di non occuparsi dell’aborto “di massa” che insanguinerebbe l’Italia (e, peraltro, in modi analoghi, l’Occidente).
Il buon Giuliano, del resto, con la satira, che oggi tanto difende come valore “occidentale” contro un Islam tetragono e invasivo, ha un rapporto controverso.
Ferrara è stato infatti spesso bersaglio della satira italiana per le sue posizioni in politica estera e in materia giudiziaria, a partire dal settimanale Cuore, fino agli spettacoli di Roberto Benigni, Daniele Luttazzi e Sabina Guzzanti. In tutte le rappresentazioni satiriche, oltre a prendersi gioco della sua mole, lo si è schernito anche per aver cambiato appartenenza politica. Nel suo tour del 1996 Benigni ne prese di mira, in quasi tutte le sue battute, la struttura fisica. A tali battute Ferrara rispose già nel 1997 sul Foglio con una serie di stroncature del film di Benigni “La vita è bella”, proseguite anche con i successivi lavori dell’artista. Durante il 52° Festival di Sanremo, nella cui serata finale era previsto uno sketch di Benigni, Ferrara polemizzò di nuovo contro l’artista, asserendo che nel caso in cui fosse salito sul palco, sarebbe stato in prima fila a «tirargli uova marce». Alla fine Ferrara si limitò a lanciare uova sullo schermo del televisore del proprio salotto, di fronte a una telecamera che lo riprendeva mentre assisteva all’esibizione dell’artista toscano. Quando Benigni si accorse che Ferrara non era in sala, ironizzando ipotizzò che fosse partito per Sanremo, ma che fosse tornato indietro dopo essersi mangiato le uova per strada. L’8 dicembre 2007 Giuliano Ferrara fu menzionato in un monologo di Daniele Luttazzi durante la trasmissione Decameron in onda su LA7. L’episodio causò la sospensione del programma -eravamo ancora memori dell’ “editto bulgaro” di Berlusconi. Nel caso, Ferrara difese la sospensione del programma, pur ribadendo il diritto alla satira (fonte di queste notizie biografiche: Wikipedia; lo ammetto, qualche volta vi attingo anch’io).
L’editoriale di oggi de L’Unione Sarda mi ha ricollegato alla strana sensazione provata alcuni giorni fa durante le vacanze, mentre, percorrendo la strada tra Ottana e Sarule (sono abituato a pensare globalmente anche quando cazzeggio localmente), mi sono reso conto che il segnale delle principali trasmissioni radio nazionali svaniva, lasciando il posto a quello, potentissimo, ma consueto, di Radio Maria e a quello, più potente ancora e almeno per me più insolito, di Radio Padania, dove furoreggiava la corte mediatica di Salvini, con l’annuncio del prossimo sbarco elettorale della Lega nel Sud e in Sardegna e con la cinica denigrazione delle due ragazze prigioniere degli islamisti siriani, condotta dal Salvini medesimo e dal giornale Il Foglio, di cui Ferrara continua pur sempre a essere il direttore.
So che molti miei amici di FB diventano estremamente cauti quando tocco l’Unione Sarda. Non penso che temano di perdere qualche blandizie letteraria e certamente non credo che siano come molti politici che conosco, ai quali viene un autentico spavento al solo pensare di essere oggetto di qualche critica su un giornale locale o peggio ancora di essere ignorati nelle loro importanti ed incisive prese di posizione. Capisco piuttosto che la mitopoiesi dei Giganti, che tanto campeggia sul quotidiano cagliaritano (e a cui l’altro quotidiano, quello ormai oristanese, La Nuova Sardegna, va ogni tanto rispondendo con grottesche mitopoiesi balentesche sui Dimonios della Brigata Sassari), li intrighi, così come qualche occhieggiamento “indipendentista” sembri offrire loro una sponda. Però la destra è destra e il terreno culturale e politico che si sta apprestando nell’Isola quello resta.
Io sono un cittadino normale, con la presunzione tuttavia di non essere fesso e con scarsissima disponibilità a essere preso per i fondelli. Perciò quando mi si chiederà cosa penso di vicende politiche in atto o di esperimenti elettorali in incubazione, non potrò non tener conto di quello che vedo, che leggo, che avverto, o che non vedo, che non leggo, che non avverto.
Pocos, locos, y mal unidos: ma tottus tontos no, grazie. Buon pomeriggio.
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* Tonino Dessì, pagina fb
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LE ISTITUZIONI FERMINO IL TALEBANO SALVINI
di Giovanni Maria Bellu ***

Matteo Salvini, credo con l’obiettivo di estendere i propri consensi tra gli sprovveduti impauriti, continua a sostenere il terrorismo islamico e soprattutto le sue capacità di proselitismo. Lo fa affermando in modo sistematico una connessione tra i fatti di terrorismo e l’immigrazione. A dispetto della tragica realtà dei fatti dalla quale emerge con evidenza che gli attentatori sono cittadini europei e che, dunque, i disperati che sbarcano a Lampedusa non c’entrano nulla. A parte il fatto che il semplice buon senso (assieme ai responsabili dell’intelligence) esclude la possibilità che un commando terrorista decida di infiltrarsi raggiungendo l’Europa a bordo di barconi che non si sa quando, né se, arrivano e nei quali è impossibile nascondere delle armi. Le pubbliche istituzioni dovrebbero invitare questo irresponsabile a calmarsi. Ci mette in pericolo tutti per un obiettivo di partito. Un obiettivo piccolo e squallido.

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