L’Orto ritrovato
Qualche giorno fa è stata approvata la delibera per il recupero e la riapertura al pubblico dell’Orto dei Cappuccini di Cagliari. Il progetto, inserito nell’ambito del recupero del limitrofo anfiteatro romano, prevede “la messa in sicurezza dei costoni rocciosi, la sistemazione dell’ingresso e la creazione di un piccolo parcheggio inserito nel contesto ambientale, il recupero degli agrumeti storici, la piantumazione di un nuovo frutteto e uno spazio destinato a orti”.
L’orto dei Cappuccini, compreso tra Viale Buoncammino, Viale Fra Ignazio, Via Don Bosco e Viale Merello è un Bene Culturale del Territorio comunale indicato nelle cartografie di Piano con la classificazione “sito archeologico”, comprensivo di pozzo, cava e cisterne e cunicolo d’età romana. Il sito appare classificato come S3: area per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabile per impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade. Costituisce un’unità storico–ambientale c*, ovvero un’area libera nella zona di margine e di transizione tra tessuto urbano storico e zone di completamento con funzioni di connettivo strutturale in cui è prevista ristrutturazione edilizia e urbanistica. Laddove vengano realizzate le ipotesi del piano di recupero, saranno consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ristrutturazione edilizia senza aumento di volumetria.
Questa struttura verde di relazione si configura come un serbatoio di funzioni di natura diversa e capaci di coinvolgere un’utenza eterogenea: la funzione sociale è rappresentata dall’Istituto dei Ciechi e dal centro sociale Anfiteatro in Viale Fra Ignazio; quella religiosa è assolta dalla chiesa di S. Antonio dei Cappuccini e da quella limitrofa dei Santi Lorenzo e Pancrazio; la funzione formativa è espletata nell’ambito del complesso delle facoltà universitarie, mentre quella culturale fa perno sull’anfiteatro e la Cittadella dei musei; la funzione ricreativa, infine, è costituita dal sistema del Viale Buon Cammino-Giardini Pubblici-Orto botanico-anfiteatro. - segue -
L’area dell’Orto dei Cappuccini è caratterizzata dalla presenza di latomie per il prelievo del calcare risalenti al II secolo d.C., utilizzate per i lavori di edificazione dell’adiacente anfiteatro, molte delle quali sono state impermeabilizzate con coccio pesto, adibite a cisterne per l’approvvigionamento idrico e collegate all’acquedotto di età imperiale. La cisterna più grande, chiamata Cisternone Vittorio Emanuele, raccoglieva attraverso un canale sotterraneo l’acqua proveniente dalle gradinate dell’anfiteatro e la convogliava alla vallata di Palabanda, quindi agli altri bacini dell’Orto botanico collegati alla cisterna ubicata sotto la Clinica pediatrica ed al bacino sito nel fosso di S. Guglielmo, per smistarsi, quindi, verso l’area forense (Piazza del Carmine). In seguito, questa cisterna fu reimpiegata come prigione, come si rileva dalle anelle per incatenare i detenuti collocate lungo le pareti. Da segnalare la presenza, vicino ad una delle anelle, di un graffito interpretato come la Navicula Petri e che si fa risalire al IV secolo d.C. Nel Cinquecento i frati Cappuccini edificarono la chiesa di S. Antonio, nota come S. Ignazio da Laconi, e fondarono il loro primo convento sardo dotato di un vasto appezzamento di terreno adibito ad orto con piante medicinali nell’area ai margini dei quartieri di Castello e Stampace. Nel Seicento il complesso conventuale, già comprensivo di infermeria e lanificio, si estese ulteriormente dotandosi di numerose celle fratesche, cucine e refettorio, mentre nell’Ottocento fu allestita una spezieria che riforniva i conventi isolani e gestiva anche la vendita al pubblico. Nel 1866 parte del convento e dell’orto dei Cappuccini è stata acquistata dal Comune di Cagliari: il convento è stato allora soppresso, la spezieria chiusa ed in un’ampia porzione di orto (circa 12.000 metri quadrati) fu costruita la casa di riposo per anziani Vittorio Emanuele II, poi sede del centro di solidarietà Giovanni Paolo II.
Ad oggi quel che rimane dell’orto versa in uno stato di forte degrado, costituisce un vuoto urbano, luogo di risulta abbandonato a se stesso e accessibile al pubblico solo occasionalmente nell’ambito di eventi culturali come “Monumenti Aperti”. Accanto alle cisterne, sono ancora visibili in mezzo alla vegetazione incolta i muri seicenteschi di ripartizione dell’orto e la bottega bassomedievale di un fabbro, oltre alle superfetazioni risalenti al secondo conflitto mondiale e coerenti con l’utilizzo di alcune latomie come rifugi antiaerei di fortuna.
Un progetto di recupero fa ben sperare nella riappropriazione consapevole da parte dei cittadini di un’area per troppo tempo dimenticata e caratterizzata da un forte genius loci; nel vuoto urbano di particolare pregio ambientale, definito “strategico”, la disponibilità all’uso pubblico potrebbe auspicabilmente consentire l’attuazione di “progetti esemplari” incardinati in una visione complessiva di scala urbana.
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