in giro con la lampada di aladin…
Partiti, istituzioni, Europa: la fiducia va a picco, cittadini sempre più soli. Il Papa unica speranza. Ilvo Diamanti su La Repubblica.
Dall’indagine Demos 2014 emerge una nazione spaesata sfiancata da crisi, fisco e corruzione. Il quadro già negativo del 2013 peggiora ancora. Anche la magistratura in calo – Povera patria.
- Sardegna 2015: ora o mai più. Per Pigliaru, Zedda e i sovranisti un anno cruciale. Vito Biolchini su vitobiolchi.it.
- Due avvenimenti a San Michele-Is Mirrionis: 1) il ritorno dei missionari Saveriani (in via Sulcis, alle pendici del colle San Michele); 2) l’apertura del Circolo politico-culturale ME-TI di via Mandrolisai, coordinatore Nicola Calledda e esponente di spicco il consigliere comunale Enrico Lobina (lettera di Enrico agli abitanti del quartiere e ai cagliaritani tutti).
- Jobs Act e senso dello Stato. Francesco Cocco su Democraziaoggi
- Solo gli stranieri salvano una città di vecchi e soli. Impietosa istantanea scattata dal Comune di Sassari: sempre meno i residenti indigeni. Pochi i figli e fatti sempre più tardi. Aumentano gli immigrati, boom di romeni. Giovanni Bua, su La Nuova Sardegna on line.
Partiti, istituzioni, Europa: la fiducia va a picco, cittadini sempre più soli. Il Papa unica speranza.
di ILVO DIAMANTI su La Repubblica
Ottimisti merce rara: per quasi 7 italiani su 10 la ripresa non arriverà prima di due anni
UN PAESE spaesato. Senza riferimenti. Frustrato dai problemi economici, dall’inefficienza e dalla corruzione politica. Affaticato. E senza troppe illusioni nel futuro. È l’Italia disegnata dalla XVII indagine su “Gli Italiani e lo Stato”, condotta da Demos (per Repubblica). Pare una replica del Rapporto 2013. Se possibile: peggiorata. Tuttavia, c’è una novità: il senso di solitudine. Perché oggi, molto più che nel passato, anche recente, i cittadini si sentono “soli”. Di fronte allo Stato, alle istituzioni, alla politica. Ma anche nel lavoro. E nella stessa comunità.
1. Soli di fronte allo Stato. Valutato con fiducia dal 15% dei cittadini. Metà, rispetto al 2010, 4 punti meno di un anno fa. Un livello basso, ma non molto diverso, ormai, rispetto agli altri governi territoriali. Perché meno del 20% dei cittadini si fida delle Regioni e meno del 30% dei Comuni. Insomma siamo un Paese senza Stato, secondo le tradizioni. Ma abbiamo perduto anche il territorio. Mentre l’Europa appare sempre più lontana, visto che poco più di un italiano su quattro crede nella UE.
2. D’altra parte, gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica. E, in primo luogo, dai partiti. Ormai non li stima davvero nessuno. Per la precisione, il 3%. Cioè, una quota pari al margine d’errore statistico. Poco meno del Parlamento, comunque (7%). Una conferma del clima di sfiducia che mette apertamente in discussione la “democrazia rappresentativa”. Interpretata, in primo luogo, proprio dai partiti, insieme al Parlamento.
3. Al di là dell’ampiezza, colpisce la “velocità” con cui sta crescendo la sfiducia verso i soggetti politici e le istituzioni di rappresentanza democratica. Rispetto al 2010, infatti, la credibilità dello Stato, dei partiti e del Parlamento è dimezzata. Mentre la fiducia nei Comuni e nelle Regioni è calata di oltre 10 punti percentuali. La perdita di riferimenti territoriali ha investito anche l’Unione Europea. Vista con favore dal 27% degli italiani: 22 punti meno del 2010. E 5 punti meno dell’anno scorso.
4. La stessa figura del Presidente della Repubblica appare coinvolta da questo clima di spaesamento. Giorgio Napolitano, “costretto” a subentrare a se stesso, per non creare pericolosi vuoti di potere, ha pagato le tensioni politiche e istituzionali. Anche per questo la fiducia nel Presidente, è scesa dal 71 al 44%, dal 2010 ad oggi. E di 5 punti rispetto all’anno scorso. D’altronde, tutti i livelli e i soggetti di “governo” hanno perduto consenso in misura significativa rispetto allo scorso anno: partiti, Parlamento, Comuni, Regioni. Lo Stato.
5. E ciò suggerisce, come si è già detto, che sia in discussione la credibilità stessa della democrazia rappresentativa. Sfidata apertamente da alcuni soggetti politici, come il M5s, che le oppongono la democrazia “diretta”. Solo il 46% degli italiani ritiene, peraltro, che “senza partiti non ci possa essere democrazia”. Mentre il 50% pensa il contrario (nel 2010 era il 42%). Certo, i due terzi dei cittadini credono che la democrazia sia ancora la peggior forma di governo, ad esclusione di tutte le altre (come sosteneva Churchill). Ma la scommessa democratica, nel 2008, era sostenuta da una quota di cittadini molto più ampia: il 72%.
6. Insomma, fra gli italiani si è diffusa una certa “stanchezza democratica”. Anche perché la nostra democrazia, il nostro Stato, si dimostrano sempre più inefficienti. Non per caso, è cresciuta l’insoddisfazione verso i servizi pubblici. E l’insofferenza verso il sistema fiscale appare, ormai, senza limiti. Come il ri-sentimento verso la corruzione politica. Vizi nazionali, di “lunga durata”, che circa 7 italiani su 10 considerano ulteriormente in crescita.
7. Tuttavia, la sfiducia nel governo centrale e locale, la degenerazione della politica e dell’azione dei partiti, manifestata dagli scandali per corruzione non hanno rafforzato la credibilità della Magistratura. Che, fra i cittadini, ha subìto un pesante calo di fiducia. Dal 50%, nel 2010, al 33% oggi. Quasi 17 punti in meno, in quattro anni. E 7 nell’ultimo.
8. Così si spiega lo sguardo scettico verso l’immediato futuro. Per la maggioranza (relativa: 40%) degli italiani, infatti, l’anno che verrà non sarà né migliore né peggiore dell’anno appena finito. Semplicemente: uguale. Cioè, senza istituzioni, senza governo. Senza sicurezza, visto che perfino la fiducia nelle Forze dell’ordine – apprezzate, comunque, da due italiani su tre – è scesa di 7 punti, rispetto al 2010, 3 dei quali perduti nell’ultimo anno. D’altronde, anche gli indici di partecipazione politica e sociale sono in declino. Mentre la fiducia nelle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori e, ancor più, dei sindacati, è calata sensibilmente. E quasi 6 persone su 10 diffidano degli “altri”, in generale.
9. In pochi anni, dunque, abbiamo perduto i principali riferimenti della vita pubblica e sociale. E abbiamo impoverito quel capitale di partecipazione e di fiducia necessario alla società, alle istituzioni e alla stessa economia per funzionare, non solo per svilupparsi. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, c’è una sola figura che oggi disponga di grande credito. Papa Francesco. Lo apprezzano 9 italiani su 10. Quasi tutti, insomma. Tuttavia, il Papa è un’autorità “religiosa”, a capo di un “altro” Stato. La sua grandissima popolarità (che, peraltro, è “personalizzata” e non si estende alla Chiesa) potrebbe suggerire che, ormai, non c’è speranza. E non ci resta che affidarci alla provvidenza divina…
10. Al di là delle battute, l’indagine di Demos sottolinea un rischio concreto. L’assuefazione alla sfiducia. Nelle istituzioni, negli altri, nel futuro. E, anzitutto, in noi stessi. Spinti, per inerzia, a “dare per scontato” che le cose non possano cambiare. Senza interventi “dall’alto”. Così, “l’incertezza” rischia di apparire una condanna. Mentre è il “segno” del nostro tempo. “Incerto”, ma non “segnato”, pre-destinato. L’incertezza: significa che nulla è (ancora) scritto. Che l’anno che verrà non è ancora (av)venuto. Dipende anche da noi “segnarne” il percorso.
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- Articolo ripreso anche da SardegnaSoprattutto
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Sardegna 2015: ora o mai più. Per Pigliaru, Zedda e i sovranisti un anno cruciale.
Vito Biolchini, by vitobiolchini
Buon anno a tutti: sul serio. Perché il 2015 sarà l’anno in cui le crisi economiche e istituzionali che da tempo devastano l’Italia e la Sardegna toccheranno il loro punto più basso. E da qui dunque dovremo ripartire. Ora o mai più.
Il 2015 sarà l’anno in cui la giunta Pigliaru e la maggioranza che la sostiene dovranno dimostrare che la loro azione è in grado di segnare un cambiamento di rotta reale ed efficace. Ad essere sinceri, finora si è visto poco, e non tutto ci è piaciuto. Tuttavia non sono d’accordo col segretario di Progres Gianluca Collu Cecchini quando dice che Pigliaru sta facendo peggio di Cappellacci: l’attuale presidente non ha mai incontrato Flavio Carboni, e di questo non si può non tener conto. È chiaro però che siamo davanti a due modi diversi (ma equivalenti) di non riuscire ad incidere in maniera decisiva sulle sorti dell’isola.
Pigliaru non ha la fortuna dalla sua parte: agisce in una situazione emergenziale e dunque ha poco tempo per portare a casa i risultati che tutti attendono (giustamente) senza troppi indugi. Laddove altri presidenti potevano chiedere all’opinione pubblica di arrivare almeno al terzo anno di mandato prima che si vedessero dispiegati gli effetti delle loro politiche, Pigliaru ha il dovere di mostrare risultati concreti già dal secondo anno di governo. E il secondo anno inizia fra qualche mese.
Il presidente si è anche complicato la vita da solo, scegliendo una giunta composta in gran parte da debuttanti che stanno facendo pagare a tutti noi lo scotto della loro inesperienza politica e amministrativa. Col 2015 arriverà un sano rimpasto? Tempo di no. Credo infatti che questa sia la cifra dell’esecutivo Pigliaru: una certa lentezza nel mettere infila i problemi secondo una gerarchia politica evidente e condivisa, con il risultato che l’operatività e l’efficacia dell’azione politica e amministrativa varia molto da un assessorato all’altro. La situazione di partenza era difficile, è vero, l’eredità del centrodestra terribile: ma questo si sapeva già e andava messo in conto.
Con una certa determinazione il presidente economista ha puntato tutto sulla vertenza entrate, firmando nello scorso mese di luglio un controverso accordo con ministro Padoan. La materia è oltremodo complessa ma le promesse dell’assessore Paci sono state da subito chiare: “spenderemo meglio, spenderemo di più”. Pigliaru ha quindi puntato tutte le sue fiches su un unico numero delle roulette, vedremo adesso se farà saltare il banco o se perderà la sua credibilità politica in una partita che al momento sembra dagli esiti incerti.
Per il resto, continuo a ritenere che Pigliaru sconti l’oggettiva debolezza di tutta la classe politica sarda, incarnata simbolicamente dalle figure più eminenti del partito che governa il Paese, il Pd. Il 2015 sarà un anno cruciale per la sottosegretaria Francesca Barracciu, alle prese con una controversa vicenda giudiziaria che dovrebbe finalmente arrivare ad un parziale esito (archiviazione o rinvio a giudizio?). Allo stesso modo, il segretario regionale ed europarlamentare Renato Soru, tra un udienza in tribunale e l’altra nel processo per evasione fiscale, dovrà dimostrare di essere abile con la gestione del partito almeno quanto lo è con quella della sua azienda (illuminanti, in tal senso, gli ultimi articoli dedicati a Tiscali da Il Fatto Quotidiano).
E comunque, il 2015 sarà un anno cruciale per tutti i consiglieri regionali indagati per i fondi ai gruppi. Un’inchiesta lunga e sfiancante, che non potrà non arrivare ad un esito concreto. Perché chi ha rubato deve uscire di scena.
Così, mentre i notabili hanno le loro gatte giudiziarie da pelare, la politica sarda è drammaticamente ferma, immobile davanti al terremoto istituzionale che sta per sconquassare l’Italia.
Dalla prossima nomina del presidente della Repubblica infatti derivano due scenari, entrambi deleteri per l’isola. Se il futuro inquilino del Quirinale dovesse essere un nome subalterno al presidente del Consiglio Renzi, il programma di riforme centraliste subirebbe un’accelerazione tale che la Sardegna (rappresentata a Roma da una delegazione parlamentare a dir poco inconsistente) verrebbe spazzata via e la fragile giunta Pigliaru nulla potrebbe per opporsi al progetto di sterilizzazione della specialità isolana.
Se invece il prossimo presidente della Repubblica dovesse essere una figura forte e capace di contrapporsi autorevolmente ad un presidente del Consiglio che non è stato votato da nessuno, le elezioni anticipate sarebbero dietro l’angolo. E a quel punto i fragilissimi equilibri che tengono assieme i vari potentati isolani salterebbero per aria, determinando scenari al momento neanche immaginabili. E tutto questo perché da noi sono le carriere dei singoli a determinare la linea dei partiti, non il contrario.
In tale contesto operano le forze che dicono di non riconoscersi nei due poli italiani. Anche per loro il 2015 sarà un anno cruciale. In campo c’è un progetto di unificazione e rilancio portato avanti da due soggetti diversi: da una parte il Partito dei Sardi di Paolo Maninchedda e Franciscu Sedda, dall’altra Sardegna Possibile e Progres. Questi ultimi il prossimo 10 gennaio usciranno allo scoperto nel corso di una assemblea aperta ai militanti e ai simpatizzanti. I due mondi dovrebbero a mio avviso dialogare tra loro, ma non lo fanno. Per cui, come dicevano i politici della vecchia scuola, a questo punto “chi ha filo da tessere, tessa”. Però il momento è questo, superato il quale ogni tentativo di creare un ambito politico nazionale sardo potrebbe risultare vano.
Il 2015 sarà un anno cruciale anche per Massimo Zedda, il sindaco di Cagliari, la mia città. Le elezioni della primavera del 2016 sono ormai dietro l’angolo e nei prossimi dodici mesi Zedda dovrà dimostrare ai cittadini di poter ambire alla rielezione. In una recente intervista all’Unione Sarda ha detto anche di essere pronto alle primarie; ma non ha spiegato in che modo il processo che dovrà affrontare per le note (e imbarazzanti) vicende del Teatro Lirico potrà condizionare la sua campagna elettorale.
Zedda di sicuro spingerà in ogni caso sull’acceleratore della propaganda: è costretto a farlo se vuole garantirsi una prospettiva possibile (in parlamento? E con quale partito visto che il nuovo Italicum spazzerà via Sel?) nel caso in cui il Pd dovesse decidere di giubilarlo per gestire direttamente la città capoluogo e la futura area metropolitana.
In vista di una ricandidatura a sindaco, Zedda però può contare sull’appoggio di Soru (chiaramente del tutto insensibile al tema della questione morale), che ha piazzato nella segreteria regionale del Pd ben due assessori della giunta cagliaritana: basterà per resistere alla critiche che ora inizieranno ad arrivare alla giunta?
Il consigliere di Sardegna Sovrana Enrico Lobina ha iniziato a fare le pulci all’amministrazione: i dati relativi ai livelli di tassazione raggiunti da questa amministrazione di centrosinistra sono imbarazzanti, in netto contrasto con quanto promesso agli elettori (ecco l’analisi).
In ogni caso, un imponente piano di lavori pubblici consentirà a Zedda di stare sui giornali tutti i giorni e di poter vantare un’azione di cambiamento (per chi si accontenta del cemento) innegabile.
A mio avviso però una sfida importante l’ha già persa, ed è quella della partecipazione. Gli asfittici circoletti politici di riferimento di questa giunta sono nulla rispetto alla vitalità di una città che può contare su diverse centinaia di associazioni e gruppi di vario genere, soggetti portatori di interessi veri e sono stati sistematicamente esclusi da ogni processo decisionale.
Nell’intervista all’Unione Zedda ha ribadito ad esempio di voler andare avanti col progetto del parcheggio sotto le mura di Santa Croce: evidentemente pensa di poter fare a meno di quel mondo ambientalista e di impegno civile e culturale che con grande dispendio di energie ne aveva sostenuto la candidatura prima e l’elezione poi. Staremo a vedere chi la spunterà.
Il 2015 sarà un anno cruciale dunque per tutta la Sardegna in generale. A patto che si parta da una consapevolezza condivisa: tempo da perdere non ce n’è più.
Buon anno a tutti.
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ME-TI
Enrico Lobina, consigliere comunale scrive agli abitanti di San Michele e Is Mirrionis (e a tutti i cagliaritani)
Gentile famiglia,
sono Enrico Lobina, consigliere comunale dal 2011. Ho 35 anni e faccio politica da ragazzo. Lavoro a tempo pieno da quando ho 25 anni, e non ho mai fatto politica per arricchirmi.
Tanti fanno politica e volontariato per gli altri. Per me parlano i fatti. La politica è l’unico mezzo che abbiamo per migliorare la nostra vita. Non lasciamola in mano ai ladri.
C’è una novità: a Cagliari, tra i quartieri di S. Michele e Is Mirrionis, in via Mandrolisai 58/60, ha sede il circolo Me-Ti. Abbiamo scelto di aprire la nostra sede qua, tra S. Michele ed Is Mirrionis, due rioni in cui le iniziative di aiuto reciproco e solidarietà dovrebbero essere più numerose che altrove, e dove invece accade il contrario.
Siamo a disposizione della città e dei quartieri per migliorare la nostra vita, per fare lotte politiche insieme, per creare una comunità.
Da giovedì 8 gennaio ogni giovedì saremo a disposizione, io in quanto consigliere comunale ed i compagni del circolo, per spiegare e discutere temi che interessano il Comune di Cagliari, ma anche la Sardegna, l’Italia e l’Europa. Ogni giovedì, dalle 17.30 in poi, in via Mandrolisai 58/60 il circolo Me-Ti è aperto alla cittadinanza. Il circolo è vostro. Scriveteci a circolometi@gmail.com.
Sono in consiglio comunale con Zedda sindaco. Pur con posizioni diverse, stiamo provando a dare risposte alla città.
Ho ristudiato il programma elettorale del 2011. Quel programma, aggiornato, rimane il patto sul quale ci siamo uniti. Ho chiesto a tutti di rispettarlo: su diversi temi non ci stiamo riuscendo.
È senso comune il concetto che: “in campagna elettorale si dicono tante cose, si fanno tante promesse”. Io non ci sto. Sono lontano da questo modo di pensare. Ho perciò assunto una posizione autonoma e distinta. Valuterò, volta per volta, gli atti che arriveranno in consiglio.
Vogliamo Cagliari Capitale della Sardegna, col suo ruolo economico, culturale e sociale. Vogliamo Cagliari locomotiva di Sovranità e Pace per la Sardegna nel suo insieme e nell’area mediterranea.
La Sardegna ha bisogno di sovranità, e di difendere i propri diritti contro lo Stato italiano, che li calpesta e ci fa vivere sempre di più nella povertà. Ci ruba i soldi (le entrate che ci spettano e non ci dà), costringe lavoratori e pensionati alla fame ed alla povertà (riforma del lavoro), inquina la terra senza dare nulla in cambio (servitù militari, i poligoni della morte), permette di trivellare senza chiederci il permesso (sblocca Italia).
La crisi economica mondiale ed europea, e le azioni del governo di destra di Renzi, perché il PD è un partito tecnicamente di destra, hanno ulteriormente impoverito le casse del comune. La nostra azione in città, invece, è volta a fare politiche contro la crisi economica.
Abbiamo ottenuto che gli abbonamenti del CTM, per le persone a basso reddito, venissero scontati della metà. Oggi è una certezza: abbiamo vinto!
Abbiamo fatto approvare una mozione che impone un tetto agli stipendi dei manager delle società del Comune.
Le politiche per la casa sono uno dei temi più importanti per Cagliari. AREA (Agenzia Regionale Edilizia Abitativa) ha in cassa quasi 100 milioni di euro per Cagliari, che non utilizza.
Sul tema delle riparazioni e delle manutenzioni il Comune, col suo bilancio, ha aumentato le risorse a disposizione ed ha presentato alcuni bandi per riqualificare il patrimonio esistente.
Abbiamo proposto l’autorecupero, l’autocostruzione e le riqualificazioni.
Sull’autorecupero abbiamo presentato una proposta di legge regionale. L’autorecupero permette di recuperare a basso costo il patrimonio pubblico inutilizzato e di trasformarlo in abitazioni popolari, grazie all’auto-lavoro degli stessi aspiranti futuri abitanti, tendenzialmente organizzati in cooperative.
L’autocostruzione utilizza direttamente il lavoro di chi andrebbe a vivere negli stabili costruiti.
L’alta tensione abitativa, in caso di emergenza, si può fronteggiare: usiamo il patrimonio pubblico disponibile ma non utilizzato!
Per chi abita in case popolari uno strumento è la mobilità. Questo strumento consente di ridurre il sovraffollamento abitativo. Circa il 21% degli alloggi sono considerati sovraffollati, mentre il 32,04% sono sottoutilizzati.
Il mio ruolo da consigliere è quello di dare indirizzi, proporre e controllare. Da solo non posso ottenere tutto ciò che otterrei se ci fosse un vasto movimento. Costruiamolo insieme!
Il circolo Me-Ti è a vostra disposizione. Il mio numero di telefono è 3282819349 e la mail enricolobina@tiscali.it. Potete anche rintracciarmi su facebook e su twitter.
Sul sito internet www.enricolobina.org potete trovare informazioni sull’attività di consigliere.
Fraterni Saluti
Enrico Lobina
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Jobs Act e senso dello Stato.
Francesco Cocco su Democraziaoggi
Non voglio entrare nel merito della legge delega sul cosiddetto “jobs act” e dei relativi decreti d’attuazione che stanno cominciando a prender vita. Altri l’hanno fatto con ben maggiore competenza. Ma non posso tacere la mia indignazione come cittadino e come militante del “movimento operaio” (mi si passi la locuzione che qualche “modernista” definirebbe di stampo novecentesco) rispetto al grande inganno di una normativa che si vorrebbe far passare come finalizzata all’ aumento della occupazione. Il fine è ben altro: ridurre ulteriormente i margini di potere contrattuale dei lavoratori.
Vi è un altro aspetto che sta emergendo chiaramente con le prese di posizione del giuslavorista senatore Ichino (rappresentante di una componente del governo) e di alcuni esponenti del N.C.D.. Mi riferisco alla possibilità di applicare al rapporto di pubblico impiego la nuova normativa del jobs-act. Perché poi nella legislazione italiana si debba usare la lingua inglese, bisogna che lo spieghino. Forse semplicemente si vogliono annebbiare ancora di più le menti ? Arcana imperi!
La pretesa di estendere al rapporto di pubblico impiego la nuova normativa dimostra chiaramente quanto sia debole il senso dello Stato nelle forze di governo. Ed anche quando, come nel caso del ministro Madia, si afferma non potersi applicare tale normativa in quanto i pubblici dipendenti vengano assunti con pubblico concorso è evidente la fragilità del ragionamento.
Credo che la debolezza dell’ argomentazione nasca da uno scarso senso dello Stato. Certo il dettato costituzionale impone l’assunzione per pubblico concorso, ma sappiamo che esso è stato spesso e volentieri disatteso per motivi clientelari. La verità è che sia nell’argomentazione del prof. Ichino sia in quella del ministro Madia non si tiene in minimo conto che il rapporto di lavoro di un pubblico impiegato non è finalizzato a produrre beni o servizi (in quei casi si sono già scorporate le attività creando società private) ma ad estrinsecare e porre in essere la volontà dello Stato.
Questo non significa che il pubblico dipendente sia svincolato dai condizionamenti che caratterizzano il rapporto di lavoro privatistico. Anzi per qualche verso è il contrario, e nella normativa che deve disciplinarlo andrebbero applicate norme anche più rigorose. La fellonia del pubblico dipendente non è il semplice tradimento del rapporto di lavoro con l’imprenditore. E’ tradimento dell’interesse della comunità. Qualcosa quindi di ben più grave.
Non sto a scomodare vecchie teorie organicistiche d’immedesimazione con l’ente pubblico. E’ una realtà molto più semplice e nello stesso tempo più complessa, che implica maggior rigore etico in chi ha funzioni di guida della cosa pubblica. Comporta la necessità di spezzare il padrinato che nasce dal vassallaggio politico, specie quando il rapporto di pubblico impiego non nasce dal pubblico concorso, come impone la Costituzione, ma sostanzialmente dall’ assunzione clientelare. L’esperienza insegna che quando non si vuole affrontare un problema si opta per la “fuga in avanti”. E così si maschera quella che in verità è una sostanziale debolezza cialtronesca.
La finalità di mettere all’esclusivo servizio della Repubblica il dipendente pubblico non può essere perseguita con una semplicistica applicazione della normativa privatistica. Piuttosto con un nuovo, reale e partecipato senso dello Stato in chi ha funzioni e responsabilità di guida delle istituzioni.
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Solo gli stranieri salvano una città di vecchi e soli
Impietosa istantanea scattata dal Comune: sempre meno i residenti indigeni Pochi i figli e fatti sempre più tardi. Aumentano gli immigrati, boom di romeni.
Giovanni Bua, su La Nuova Sardegna on line
SASSARI. Sempre di meno, più vecchi e più soli. È impietosa la fotografia scattata alla città di Sassari dall’amministrazione comunale. L’occasione è la preparazione del Piano della Performance 2014-2016, un corposo volumetto di oltre 80 pagine dove il Comune mette in fila progetti passati, presenti e futuri, preceduti da un innteressante quanto accurata “analisi del contesto” della città e del territorio.
Una istantanea fatta usando dati non freschissimi (sono numeri del 2012) che però rende assai bene conto di come Sassari stia cambiando. E di come nuove criticità si mischino a nuove e inesplorate opportunità. Che passano da una comunità straniera sempre più numerosa, grazie a cui rimane attivo il saldo della popolazione e aperte molte scuole, che convive con una comunità locale sempre più con i capelli grigi, che fa figli sempre più tardi, e ne fa sempre di meno.
Quanti siamo. Primo dato: i residenti, 128.700. Con prevalenza delle donne: 66.916 a fronte di 61.784 maschi. La popolazione è in crescita rispetto al 2011 di 149 unità, ma questo è dovuto esclusivamente al maggior numero di immigrati rispetto agli emigrati (saldo migratorio: +386 unità). Il saldo naturale (differenza fra numero di nati e di deceduti) è, infatti, negativo (- 206 unità)
Natalità e fertilità. Il numero di nati nel 2011 è stato di 979 unità e segna una lieve flessione rispetto agli anni precedenti. Gli indici di fertilità mostrano una sostanziale stabilità per quanto riguarda il rapporto fra nati e donne in età fertile (3,3 nati ogni 100 donne in età 15 – 49 , ma sono proprio queste ultime a diminuire in proporzione al totale della popolazione femminile (44,7%).
Età delle madri al parto. È in tendenziale crescita l’età media delle madri al parto che raggiunge nel 2012 i 32 anni e nove mesi. Nell’anno 2012 solo il 28% dei nati è da donne entro i trent’anni. È in continua crescita, arrivando al 12,5%, il numero di nati da donne di quarant’anni e oltre.
Mortalità. È in tendenziale aumento l’età media al momento del decesso con una marcata differenza fra uomini e donne. Si passa da oltre 77 anni e mezzo per le donne e 71 anni e mezzo per gli uomini nel 2002, a oltre 81 anni per le donne e 74 anni e mezzo per gli uomini nel 2012.
Immigrazione. Nel 2012 sono stati registrati 2.096 immigrati. La loro provenienza è la Provincia di Sassari per il 44,2%, il resto è suddiviso fra il resto della Sardegna (18,8%), il resto d’Italia (18,6%, in significativo aumento) e l’estero (18,5%).
Emigrazione. Sono state registrate 1.764 emigrazioni con destinazione, per oltre la metà, la Provincia di Sassari. Solo lo 0,6% degli emigrati sposta la residenza all’estero.
Stranieri. I cittadini stranieri residenti a Sassari nel 2012 sono pari a 3.498, contro i 3.034 dell’anno precedente (+15,3%). Le nazionalità più rappresentate sono quelle dei cittadini Senegalesi (21,1%), Romeni e Cinesi (20,9%) e Ucraini (7,4%). Rispetto a sei anni prima, nel 2006, l’aumento più significativo è stato quello dei cittadini Romeni, passati da 55 a 576.
Gli stranieri sono in maggioranza di genere femminile (55,5%). In percentuale, la popolazione straniera rappresenta poco più del 2,7% della popolazione totale. Tuttavia, è del 4,7% la percentuale di stranieri sul totale dei nati.
Sempre più vecchi. Prosegue l’invecchiamento della popolazione residente. L’età media passa da meno di 40 anni e mezzo nel 2002 a 43 anni e otto mesi nel 2012. L’età media delle donne nel 2012 supera i 45 anni (45 anni e tre mesi). La fascia d’età più rappresentata, nel 2012, è quella fra i 40 e i 49 anni, seguita dalla fascia 50 -59 anni. Le due classi d’età rappresentano, insieme, quasi un terzo della popolazione totale. Rispetto a dieci anni fa, la popolazione dagli ottanta anni in su è in aumento, soprattutto fra le donne. È in calo la popolazione in età potenzialmente attiva, fra i 20 e i 59 anni. In diminuzione anche la popolazione più giovane, soprattutto per quanto riguarda le fasce d’età di frequenza della scuola media inferiore e superiore.
Le nazionalità più rappresentate sono quelle dei cittadini Romeni (17,9%), Senegalesi (17,6%), Cinesi (14,1%) e Ucraini (8,2%). L’indice di vecchiaia (persone dai 65 anni in su ogni 100 persone fino ai 14 anni d’età) è in continua crescita, raggiungendo nel 2012 il valore di 160,1 (era pari a 111,1 nel 2002).
Famiglie. Nel 2012 sono presenti a Sassari 56.978 nuclei familiari, 651 in più rispetto all’anno precedente. È in diminuzione, tuttavia, il numero medio di componenti per nucleo, che raggiunge il valore di 2,25 componenti per famiglia. La maggior parte dei nuclei familiari è costituito da nuclei con un solo componente (21.075, pari al 37%). Sono presenti 14.003 nuclei con due componenti, 11.481 con tre componenti, 8.106 con quattro componenti. Le famiglie con 5 o più componenti sono 2.301, pari al 4% delle famiglie. Rispetto agli anni precedenti, cresce la quota delle famiglie con uno o due componenti, mentre è in diminuzione la percentuale di famiglie con tre o più componenti.
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