Oggi sabato 27 dicembre 2014

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Economia e politica
Dicono che nel 2015 usciremo dalla crisi. Ma con gli stessi squilibri
Fernando Camon su La Nuova Sardegna 27 dicembre 2014

Nei giorni scorsi i giornali riportavano la previsione che col nuovo anno ci sarà anche per noi italiani l’uscita dalla crisi: non nel senso che la nostra economia correrà come nei tempi anteriori alla crisi, ma nel senso che la produzione smetterà di calare e segnerà una piccola crescita. E non alla fine del 2015, ma fin dal primo trimestre. Sono previsioni rischiose, perché riguardano eventi che non dipendono solo da noi, ma anche dagli altri, in Europa e nel mondo. Tuttavia se a formularle sono più fonti, appaiono meno insicure. La crisi dura ormai da troppo tempo. Siamo fra gli ultimi a uscirne. E l’uscita, se sarà questa, si avvicina d’improvviso, senza preannunci. Perché non l’abbiamo preparata con qualche grande rivoluzione interna. Non abbiamo fatto grandi riforme, non abbiamo inventato un grande prodotto, non abbiamo varato una grande legge che metta fine alla corruzione, una che faccia funzionare in maniera rapida il Parlamento, che sblocchi la giustizia, che ci faccia votare in maniera più democratica, che stabilisca un buon rapporto dare-avere tra cittadini e stato, e tra regioni e stato, una riforma scolastica che faccia uscire dalle nostre scuole superiori e dalle università dei giovani diplomati e laureati in grado di reggere e possibilmente vincere il confronto con i coetanei europei… Finché non faremo queste rivoluzioni, non meriteremo di uscire dalla crisi. Sulla corruzione Renzi ha sbandierato nuove norme, con le quali allunga la prescrizione e aumenta le pene. Ma in Parlamento qualcuno gli aveva proposto una leggina brevissima e chiarissima per indicare che la corruzione commessa da chi ha, o con chi ha, un ruolo pubblico, va punita più severamente degli altri reati. Chi ruba all’amministrazione pubblica ruba al popolo, e in questo momento rubare al popolo vuol dire rubare a chi non ha il necessario. Alcuni giorni fa siamo finiti sulla prima pagina del New York Times per la facilità e la frequenza dei reati di corruzione, e per l’incapacità di punirli. Ci voleva quella leggina. Il mondo l’avrebbe apprezzata. Siamo una repubblica da settant’anni, e non sappiamo ancora con quale sistema votare. E questo perché, al momento di scegliere il sistema, i partiti cercano il sistema più utile a loro, non al paese. I partiti rappresentano interessi separati, e spesso contrari, a quelli dello Stato. Le nostre regioni sono divise da sistemi fiscali contrastanti fra loro, e questo dovrebb’essere un problema per l’Europa: non dovrebbe l’Europa dire qualcosa a uno Stato che differenzia il trattamento fiscale dei suoi cittadini? Abbiamo segretari di partito condannati per corruzione che continuano a presenziare al Parlamento, riscuotendo lo stipendio. Abbiamo consiglieri regionali condannati, ma che conservano il vitalizio. Non sappiamo punire la corruzione, perché si ammanta di un’aura di merito: chi ruba molto è molto bravo, e i grandi colpevoli suscitano il timore popolare. Anche in prigione: quando un capo-clan, che ha fatto grandi rapine, va in carcere, riceve un trattamento di riguardo dagli altri detenuti e dalle guardie. Perfino i gerarchi nazisti (spero che non ce ne siano più) entravano in carcere per le stragi che avevan comandato, e venivan salutati col grado: “Signor capitano, signor maggiore…”. Su pensioni d’oro e stipendi d’oro Renzi aveva grandi progetti, ma son rimasti sulla carta, tutti li volevamo ma urtavano gl’interessi di pochi potenti, e i pochi potenti possono più del popolo. La crisi era/è il momento giusto per rivedere questi squilibri. La crisi permette o impone riforme audaci. Ma non le abbiamo fatte. Se davvero (come i giornali dicono, come tutti speriamo) stiamo per uscire dalla crisi, ne usciamo con lo stesso Stato che ha meritato di entrarci. Non è un buon segno.
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