Oggi domenica 14 dicembre 2014

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Cagliari, comitati e forze indipendentiste sfilano pacificamente in una città presidiata da 200 uomini delle forze dell’ordine

Tremila in corteo contro le basi
di Felice Testa, La Nuova Sardegna on line 14 dicembre 2014
CAGLIARI “Vade retro Italia dimonia”. Alla “manifestada natzionale” contro le basi militari nell’isola, lo “Stato italiano occupante” è un diavolo che va preso per le corna e ricacciato indietro. Più di tremila persone hanno sfilato, ieri, in una Cagliari blindata dalle forze dell’ordine, presidiata da duecento uomini tra carabinieri, polizia, guardia di finanza, polizia municipale, lungo il percorso che, dal Molo Ichnusa, si è snodato fino al palazzo della Regione, in viale Trento. Dopo la grande assemblea popolare, del settembre scorso, davanti al poligono di Capo Frasca, il movimento contro le servitù militari dà una nuova prova di forza, radunando, nel capoluogo, migliaia di manifestanti, dimostrando di essere una novità del panorama politico sardo, oltre i confini dell’antimilitarismo. Dalle 9.30 i manifestanti cominciano a radunarsi sulla darsena accanto alla Capitaneria di porto, protetta da una teoria di transenne. Vengono da tutta l’isola, tra loro i leader del movimento, Bustianu Cumpostu, Mariella Cao, Pier Franco Devias, Gavino Sale e Doddore Meloni, in costume sardo e Ray Ban a specchio. Sullo sfondo, le barche del team Luna Rossa. Quando, verso le 11, il corteo si muove sono migliaia a scandire lo slogan “a fora, a fora”. Davanti, un pick up rosso, con le bandiere dei gruppi che hanno organizzato e aderito alla protesta, da Sardigna Natzione al comitato “Gettiamo le basi”, dal “Tavolo sardo per la pace” a “Progres”, da “A manca pro s’indipendentzia” a “Rifondazione Comunista”, all’Irs al “Coordinamento pro su sardu ufitziale”, a tutti gli altri gruppi indipendentisti che nella battaglia sulle servitù militari hanno trovato coesione e un comune obiettivo. Il corteo, pacifico, sfila tra negozi e bar aperti al suono di fischietti e musica sarda rap, di nuova generazione. Lungo strada, Bustianu Cumpostu, al megafono, parla dell’altra, temuta, occupazione: quella dei rifiuti tossici. «C’è un business delle scorie – urla –. A Genn’e Lua, nel Sulcis, sono già stoccati cinque milioni di metri cubi di scorie e chiedono di poterla ampliare. A Furtei, i residui di lavorazione della miniera d’oro hanno formato sabbie mobili, dopo aver distrutto montagne intere e avvelenato la terra con l’arsenico. Ora, la Sardegna è candidata come sito nazionale per la raccolta delle scorie nucleari». All’arrivo del corteo, di fronte al palazzo della Regione, i manifestanti prendono, simbolicamente, possesso della sede del governo regionale, issando sul pennone, accanto alla bandiera italiana ed europea, lo striscione con la scritta “Indipendentzia” a fianco di quello con su scritto: “Serrai. Stop ai giochi di guerra. Evacuare i militari dai poligoni”. «La Regione – dice Mariella Cao, portavoce del comitato Gettiamo le basi – deve andare a trattare con il governo sulla base della legge, del 1990, che sancisce l’obbligo di un’equa ripartizione del demanio militare nel territorio nazionale. In Sardegna la ripartizione, con il 60% di presenza militare, non è affatto equa». Una delegazione viene ricevuta dal presidente Francesco Pigliaru, al quale viene consegnato un documento che, dalla piazza, Pier Franco Devias, chiama “ultimatum”: «O con i sardi – spiega – o con gli occupanti». Al termine dell’incontro, che Pigliaru definisce “rispettoso, cordiale e utile”, il movimento contro la presenza delle basi nell’isola ribadisce che al presidente della Regione è stato chiesto il blocco immediato di tutte le esercitazioni militari, la chiusura di ogni base militare e poligono presente in Sardegna, la bonifica dei territori e la riconversione ad uso civile e, infine, “di farsi esecutore della decisione sovrana, espressa con il referendum del 2011, di indisponibilità dell’isola a siti per lo stoccaggio di scorie radioattive”. «Presidieremo gli eventuali siti possibili – conclude Bustianu Cumpostu – ma le scorie non passeranno mai».

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