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Dossier della banca d’italia
Negativi i dati sull’economia
La Sardegna in coda tra le regioni

di Alfredo Franchini su La Nuova Sardegna, 9 dicembre 2014
CAGLIARI La Sardegna sta pagando il conto più salato della crisi. Lo conferma l’analisi della Banca d’Italia sulle economie delle regioni italiane. In realtà è tutto il Sud che deve fare i conti con la crisi più difficile, partita dall’America nel 2007 e mai risolta. I dati territoriali parlano chiaro e sono destinati ad aprire un dibattito anche in Sardegna: che fine ha fatto la politica industriale? E che cosa occorre per il rilancio dell’economia sarda, travolta dalla fuga delle grandi industrie e alle prese con la ristrutturazione del settore manifatturiero? Domande a cui è urgente rispondere perché la Banca d’Italia spiega nel suo ultimo report che i risultati delle regioni in ritardo di sviluppo sono peggiori a causa della struttura stessa dell’economia.
Divari. Le due recessioni che hanno colpito l’economia negli ultimi sei anni non hanno avuto gli stessi effetti nelle diverse aree del Paese. Nel biennio 2008-2009 il calo delle esportazioni aveva avuto effetti negativi nel Nord-Ovest e nel Nord-Est dell’Italia, laddove ci sono le maggiori imprese esportatrici. Poi nel successivo biennio (2010-2011) mentre il Centro Nord recuperava, nel Mezzogiorno il prodotto continuava a contrarsi. Poi la situazione è precipitata negli ultimi quattro anni. Tasse. Che cosa è successo dal 2010 in poi? I dati della Banca d’Italia dimostrano che sui risultati ha influito la mancanza di politiche economiche e soprattutto hanno pesato le tasse perché sono progressive rispetto al reddito. Le medie della ricchezza dicono che le popolazioni delle regioni meridionali sono più basse e quindi il Sud ha bisogno di avere dal governo più trasferimenti rispetto al gettito fiscale per poter mantenere intatti i propri servizi. Si chiama “residuo fiscale”.
Tagli. È accaduto che il residuo fiscale sia stato tagliato: da 60 a 44 miliardi per l’intero Sud e, in Sardegna, basterà ricordare la vertenza entrate, avviata dalla Regione per ottenere dallo Stato quanto all’isola spetta per legge.
Risultato: da una parte tagli alla spesa pubblica, dall’altro l’aumento delle tasse a carico dei cittadini.
Industria. La crisi dell’industria sarda viene da lontano, dalla fuga delle aziende ex Partecipazioni statali, (polo chimico e polo dell’alluminio su tutti), aggravate dalla mancata risoluzione degli eterni nodi strutturali: carenza di infrastrutture, (porti, logistica, strade), mancanza – unica regione d’Europa – del metano. L’analisi condotta dalla Banca d’Italia a livello provinciale evidenzia in Italia la presenza di diciannove settori manifatturieri vitali ma nessuno di questi è in Sardegna.
Alimentare. In realtà, nell’isola, la boccata d’ossigeno, viene dall’agroalimentare, un settore tradizionale che sta cercando di innovare anche attraverso la costituzione delle Reti di impresa. Nell’isola è uno dei pochi settori in crescita. La Banca d’Italia segnala quelle che sono le idee «forti» per le altre regioni come i comparti dell’alta tecnologia che a Napoli, Foggia, Brindisi e Catania coincidono con le specializzazioni aeronautiche. Idee forti per costruirvi attorno un sistema.
Fondi Ue. Rarefatti i casi positivi legati alla bassa tecnologia per i quali il report della Banca d’Italia cita “il sistema moda” in provincia di Napoli e l’abbigliamento calzature dell’area adriatica. La lezione per la Sardegna è che si deve superare la divisione tra settore avanzato e settore tradizionale. Un motivo che ha spinto la giunta Pigliaru a elaborare il nuovo Piano regionale di sviluppo che non contempla provvedimenti per singoli settori ma un ragionamento in termini di impresa. L’altra lezione che scaturisce dal rapporto di Banca Italia, presentata nei giorni scorsi, è che si può uscire dall’impasse solo superando la divisione tra Fondi europei e quelli destinati all’investimento.
Famiglie. La pressione fiscale ha finito per pesare di più sulle famiglie del Mezzogiorno. Anche in Sardegna i tagli operati ai danni dai Comuni hanno portato all’aumento delle aliquote dei Comuni. Il livello di reddito dei sardi è diminuito, (oggi il Pil pro capite è di 18.620 euro annui) e la percentuale di famiglie residenti che percepiscono meno di seimila euro l’anno è dell’1,4%. Debiti. In questo quadro di precarietà, (meno lavoro e meno reddito), aumenta l’indebitamento delle famiglie sarde con quote crescenti di persone in arretrato col pagamento dei mutui e con una nuova vulnerabilità.
Incentivi. Le regioni meridionali sono decise a rivendicare un’attenzione diversa perché l’industria del Sud ha subito il maggior taglio degli incentivi pubblici: negli ultimi tre anni sono stati dimezzati con una perdita complessiva di 1,4 miliardi di euro contro i soli 200 milioni tagliati al Nord.

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