in giro con la lampada di aladin…
- Partito schermo del comitato d’affari. Michele Prospero su “il manifesto”.
- Gli effetti nefasti del job act. Luciano Gallino.
- “Uscire dalla crisi o dal capitalismo in crisi”. Valentino Parlato sulla news della Fondazione Luigi Pintor
Michele Prospero, Il Manifesto 3.12.2014, articolo riproposto da Democraziaoggi
Continuiamo la riflessione sulla natura attuale del malaffare con questo editoriale apparso su Il Manifesto.
Il senso politico dell’inchiesta di Roma è piuttosto trasparente. Al di là dei risvolti penali della vicenda, affiora una radiografia impietosa delle tendenze degenerative che da tempo sconvolgono la vita politica in Italia. Nel deperimento di una politica organizzata e dal forte profilo identitario, operano nelle città degli scaltri comitati d’affare. L’elezione diretta di una carica monocratica, e la gestione di ingenti flussi di denaro ancora in dotazione alle amministrazioni, suggeriscono ai poteri occulti di investire con spregiudicatezza per decidere l’orientamento e la composizione dei ceti politici.
Il presidenzialismo municipale, congiunto allo spegnimento delle forme di una vita di base partecipata, ha approfondito il peso delle risorse private nelle carriere politiche, nella adozione delle politiche urbanistiche, ambientali, dei servizi.
Emerge la scissione tra una politica dell’apparenza, dove predominano la personalizzazione della leadership e i richiami alla mitologia della società civile, e una trama più invisibile di influenza che vede l’attivismo di comitati e cricche che gestiscono appalti, fondi, nomine.
Non solo per diventare sindaco «unto dal popolo», ma anche per conquistare un seggio in consiglio, servono denaro, sostegno mediatico, contatti strategici per vincere la grande battaglia delle preferenze. E il seggio vale come base sicura per accumulare una visibile potenza privata, utile nelle sedi della contrattazione. Il pacchetto delle tessere, e la dotazione di preferenze stabili da spostare anche in soccorso di candidati amici sono una risorsa preziosa da far valere nel momento della definizione delle liste per il parlamento o la regione.
La politica senza partiti strutturati e codici ideologici di riferimento è sempre più appannaggio di potenze private. Le primarie, inventate come rito iperdemocratico, in realtà non fanno che amplificare la rilevanza di denaro e media nella selezione delle classi politiche locali e nazionali. I gazebo impongono ruvidi calcoli di interesse che strapazzano ogni valutazione politica affidata ai militanti, agli iscritti.
I non-partiti leggeri, liquidi, estroversi, in nome dello scettro da restituire agli elettori sovrani, costruiscono in realtà dei meccanismi di opacità, se non di malaffare, che approfondiscono la subalternità della politica al denaro. Il singolo designato alla carica elettiva, ha alle spalle coalizioni di interesse che lo hanno appoggiato nelle preferenze e subito chiedono il conto. Nella sua solitudine, l’amministratore vaga in balia di potenze che lo manovrano, lo indirizzano, talvolta lo inducono in tentazione.
Rimedi facili non ce ne sono. Per cominciare, bisognerebbe restituire identità alla politica, come passione ideale. Ma ogni evocazione di una salda componente ideologica nell’impegno pubblico, subito attira addosso l’accusa di nostalgia novecentesca.
Servirebbe anche l’abolizione delle primarie aperte al passante indistinto: i gazebo sono di fatto la resa ad un partito della nazione sconfinato, privo di differenze, sordo al senso della parzialità. Dovrebbe esserci anche un preciso radicamento dei partiti nel conflitto sociale della post-modernità. Ma è difficile che ciò avvenga se il conflitto viene maledetto come una malattia e gli imprenditori sono celebrati come «gli eroi del nostro tempo». Finché i partiti sono «scalabili» con operazioni scaltre, sorrette dalle munizioni ingenti dei signori dei media e del denaro, non ci sono rimedi reali alla compenetrazione affaristica di governo, amministrazione, imprese.
Con l’abolizione del finanziamento pubblico, i soggetti politici residui diventano sempre più poveri, mentre gli eletti navigano nell’opulenza. Questa frattura tra organizzazione esangue e peones, così remunerati da sperimentare un vero mutamento di status, è una delle cause dell’elevata competizione interna ai partiti e anche del deterioramento della qualità del ceto politico.
Ogni riforma della politica diventa sterile invocazione se non percepisce quanto esteso e radicato è il male.
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UNA CRISI DA CAPIRE. PER RESISTERE di Valentino Parlato, 4 dicembre 2014
«La sinistra italiana ha tardato molto a riconoscere la natura della crisi: in particolare il suo carattere strutturale e la sua dimensione mondiale. Un ritardo che le ha impedito di predisporre gli strumenti necessari per affrontarla in modo adeguato; e che spiega le difficoltà e lo smarrimento in cui essa è venuta trovandosi, malgrado i suoi persistenti successi, rispetto ai problemi reali del paese e del mondo». A leggere sembra un intervento di questi giorni. Si tratta invece dell’inizio della relazione di Lucio Magri (il secondo relatore era Vittorio Foa) al seminario “Uscire dalla crisi o dal capitalismo in crisi” tenuto ad Ariccia l’8 e il 9 febbraio 1975: quasi quarant’anni fa. Lucio Magri non era un profeta, ma analizzava e giudicava lo stato presente della crisi, nel 1975. L’attuale crisi storica si era aperta già allora, ma fu assunta come una congiuntura, anche se seria, ma mai seriamente analizzata e tantomeno affrontata. Manca soprattutto l’analisi: anche oggi si tentano cure, ma senza un’accurata diagnosi del male. Un tentativo è nel volumetto “Una crisi mai vista”, pubblicato a fine novembre dalla Manifestolibri (si trova in edicola e in libreria) con contributi di Alberto Burgio, Pierluigi Ciocca, Luigi Ferrajoli, Francesco Indovina, Giorgios Katrougalos, Giorgio Lunghini, Giovanni Mazzetti, Enrico Pugliese, Guglielmo Ragozzino, José Maria Ridao. Dal quel 1975 si sono succeduti più di una decina di governi (faccio un po’ di nomi: Moro, Andreotti, Cossiga, Spadolini, Fanfani, Craxi, De Mita, Amato, Ciampi, Prodi, Berlusconi e anche Monti). Non tutti questi governi si sono comportati allo stesso modo, ma nessuno ha messo la crisi al primo posto della sua agenda e sta di fatto che stiamo affogando nel capitalismo in crisi. La sinistra è ridotta ai minimi termini, partiti dissolti, sindacati in crisi per la crescita della disoccupazione, le innovazioni tecnologiche, le politiche dei vari governi, fondamentalmente antioperaie. L’attuale governo di Matteo Renzi procede con misure reazionarie, oltre che provinciali. Anche la mondializzazione viene affrontata senza minimamente avere coscienza di come progresso produttivo e tecnologie della comunicazione ci mettono di fronte a una situazione del tutto nuova. Crisi economica, crisi finanziaria, mancanza di una vera unità europea – la Germania va per i fatti suoi — indebolimento delle banche centrali, compresa la Banca d’Italia, disattrezzate e impotenti di fronte alle novità della crisi. Su questo vorrei citare il prezioso volumetto di Pierluigi Ciocca con un titolo di massima elequenza: “La Banca che ci manca. Le banche centrali, l’euro, l’instabilità del capitalismo”, pubblicato da Donzelli. In questo quadro difficile, e anche pericoloso, non sono affatto da sottovalutare le tensioni internazionali (Ucraina) e il crescere dei flussi migratori verso paesi che non sono più in grado – come nel passato – di utilizzare questi aumenti di popolazione, con la minaccia di conflitti pericolosi. E la nostra Italia di oggi? Che sta affondando nelle paludi acide di questa lunga e profonda crisi? Matteo Renzi non durerà a lungo, ma a cosa aprirà le porte? Tempi pericolosi ci aspettano. Bisogna resistere, e per resistere lavorare anche in piccoli gruppi per un’analisi seria della crisi attuale, e su questo impegno formare minoranze attive che portino a iniziative politiche e culturali, soprattutto per tentare di riprendere il cammino verso una società libera dalle catene di un capitalismo in massima crisi. Speriamo. – See more at: http://fondazionepintor.net/economia/parlato/crisi/#sthash.H7SFiHta.dpuf
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