in giro con la lampada di aladin…
- Case occupate nelle periferie: la guerra tra povertà diverse. Ferdinando Camon su La Nuova Sardegna.
- Approfondimenti sul disagio nelle periferie urbane.
- Città condivisibili. Qualità sociale dei luoghi urbani ed empowerment della terza età. Video della relazione di Ester Cois, Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell’Università di Cagliari al Convegno “LA DOMOTICA: OUR TECHNOLOGIZED LIFE”, 14 Novembre 2014 – Caesar’s Hotel, Cagliari. Servizio Aservicestudio.
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La Nuova Sardegna, 20 novembre 2014, disagio sociale
Case occupate nelle periferie: la guerra tra povertà diverse
di Ferdinando Camon
È il conflitto estremo fra bisogno e legalità, e si verifica in casa nostra, a pochi metri da voi che leggete e da me che scrivo. Famiglie, genitori con figli, che per non ammalarsi o non morire scappano dal freddo e dalla pioggia e si rifugiano sotto un tetto, entrano abusivamente in case disabitate, usano letti divani coperte cucina, poi fuggono all’alba, per tornare la notte dopo. Finché la polizia li aspetta, li cattura e li porta dal magistrato. Che li rimette in libertà per il loro evidente stato di bisogno. Ci sono città dove episodi come questo avvengono alla spicciolata, altre dove in alcuni quartieri di periferia, con le case popolari non ancora assegnate, sono la norma, ormai collaudata. Col passar del tempo stabiliscono una specie di usucapione: chi entra in queste case ci resta, è difficile sloggiarlo. Sono case popolari non-assegnate, entrarci è un’occupazione abusiva, un reato grave ma non gravissimo. I comuni più furbi, hanno inventato la contromossa: provvedono immediatamente, appena le case sono costruite, alla loro pre-assegnazione, in modo che occuparle non sia più soltanto occupazione abusiva ma diventi una violazione di domicilio altrui. Reato pesante, che dà diritto allo sgombero immediato con l’uso della forza. I quartieri dove permangono le occupazioni abusive, degradano rapidamente, tra droga risse furti spaccio omertà. Non è che gli abitanti siano peggiori degli altri, dirlo sarebbe un rozzo e sgradevole razzismo. È che le condizioni sono peggiori, e riconoscerlo è un’elementare ovvietà. I residenti di quei quartieri reagiscono con ferocia, in una guerra casa contro casa, abitanti contro polizia, e viceversa. Se succede (come succede) che gli occupanti abusivi siano clandestini, la lotta dei residenti contro di loro può dirsi razzismo? La storia insegna che il razzismo è l’atteggiamento di chi si crede appartenente a una razza superiore verso le razze inferiori, che hanno di meno perché meritano di meno, o non hanno niente perché non meritano niente. La forma attuale del razzismo è, in Europa, la xenofobia, termine che non significa odio verso lo straniero, ma paura dello straniero: che ha meno e vien qui a rubare tutto. In questo concetto di xenofobia c’è l’idea che chi odia lo straniero ha, mentre lo straniero non ha. In qualche modo, è una lotta tra ricchetti e poveracci. È questo il caso delle nostre periferie scosse dagli scontri contro gli ultimi arrivati? No, qui non ci sono ricchetti. Questa, che vediamo in tutti i tg, è un’angosciante guerra tra poveracci. Tra disperati. I razzisti son destrorsi e invocano uno Stato forte. Gli abitanti delle nostre periferie degradate non si aspettano niente dallo Stato, dal quale si sentono abbandonati, lo odiano e lo combattono, e con la polizia si scontrano sulle strade, bastoni contro manganelli. Nella caccia agli immigrati non si sente la difficile convivenza tra culture o religioni diverse, ma tra povertà o miserie diverse. Questa particolare forma di avversione la capiscono bene gli stranieri che son qui da anni, si sono inseriti, vanno in tv, parlano un buon italiano e dicono onestamente: “Gli italiani che fanno questi tumulti non ce l’hanno con noi, ce l’hanno con lo Stato”. L’esplosione di rabbia contro gli stranieri è il bubbone nel quale si sfoga di tutto: la mancanza di soldi, di lavoro, di una casa, di un televisore, la prospettiva che domani sarà peggio di oggi, come deve per forza succedere a chi non è neanche registrato nei registri comunali. I poveracci che arrivano e si aggiungono ai poveracci che già ci stanno raddoppiano la povertà. Se non fossero poveri, non si vedrebbe neanche che hanno un altro colore o parlano altre lingue. Un campione mondiale di boxe, nero, disse a un giornalista: “Tu sei mai stato nero? Io sì, una volta, quand’ero povero”. (fercamon@alice.it)
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Agli abitanti di Lampedusa il premio per la Cittadinanza europea. Il Parlamento Ue dice sì alla proposta dell’eurodeputato del Pd Renato Soru.“E’ con grande soddisfazione che ricevo la notizia che il Premio per la Cittadinanza Europea è stato assegnato agli abitanti di Lampedusa. E’ per me motivo di grande gioia sapere che la proposta da me inoltrata l’11 settembre ha trovato l’unanime riconoscimento del Parlamento Europeo che così rende merito all’enorme sforzo di solidarietà compiuto dai lampedusani in questi anni terribili di tragedie sulle loro coste”. Lo afferma l’europarlamentare del Pd Renato Soru. “Il riconoscimento di oggi è una tappa importante di un percorso di sensibilizzazione verso il tema dell’immigrazione che ha visto un altro momento significativo nella giornata di commemorazione del 3 ottobre scorso a Lampedusa. Il mio impegno – aggiunge Soru – prosegue come presidente della Commissione Diritti Umani e Sicurezza presso l’Assemblea permanente dell’Unione per il Mediterraneo. L’esito delle assegnazioni del Premio sarà pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. Voglio ringraziare i cittadini di Lampedusa, modello di solidarietà necessaria e possibile per tutti noi”.
L’Unione Sarda on line, Mercoledì 19 novembre 2014 20:11
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