in giro con la lampada di aladin…

lampada aladin micromicroChi insegna nelle scuole dell’isola deve conoscere il sardo . Massimo Pittau su La Nuova Sardegna.

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Chi insegna nelle scuole dell’isola deve conoscere il sardo
di Massimo Pittau
Dell’intervento di Diego Corraine condivido quasi tutte le considerazioni: la lingua è il fattore principale di ogni etnia; la Regione Sarda non si è impegnata per far applicare una legge regionale e una statale, già promulgate, in difesa del sardo e delle lingue di minoranza; una politica in difesa della lingua sarda, mandata avanti con impegno avrebbe pure ricadute di carattere occupazionale per i giovani sardi. La conseguenza è che continuiamo ad assistere alla dissardizzazione linguistica dei Sardi, effettuato dalla scuola, dai mass media, dallo sport. Eppure ci sarebbe un mezzo facile ed efficace, che, adottato, consentirebbe non solo la salvaguardia del sardo, ma pure il suo recupero nella scuola, nella politica e nella cultura. Si tratterebbe di fare entrare nello Statuto della Regione Sarda, un solo nuovo articolo, in analogia con quanto avviene in Val d’Aosta e in Alto Adige: nessuno può operare nella scuola e negli uffici pubblici se non conosce la lingua francese e quella tedesca. Ebbene, se noi sardi vogliamo salvaguardare la nostra lingua, la nostra cultura e la nostra etnia, dovremmo pretendere l’inserimento nello Statuto Sardo di questo nuovo unico articolo: “In Sardegna nessuno può insegnare nelle scuole se non conosce e adopera la lingua sarda. Ogni insegnante ha l’obbligo di conoscere in maniera passiva e attiva una delle varietà della lingua sarda e conoscere in maniera passiva almeno un’altra varietà. Nell’elenco delle varietà dialettali da adoperare nelle scuole sono da includere, con uguali diritti e dignità, pure quelle di ulteriore minoranza: gallurese, sassarese, algherese e tabarchina. L’uso della lingua sarda e/o delle varietà alloglotte, assieme a quello della lingua italiana, deve avere pure un carattere strumentale, cioè deve valere pure nell’insegnamento delle altre discipline”. Prevedo un’obiezione: quale sarebbe la lingua sarda da adoperare nelle scuole? Per me la risposta è facile: la lingua sarda ha due varietà fondamentali, il logudorese e il campidanese, entrambe ormai formalizzate, intercomprensibili per tutti i sardi, entrambe ormai in possesso di un buon patrimonio di letteratura in poesia e in prosa. A tal proposito si deve sapere che ormai abbiamo sia nella varietà logudorese sia in quella campidanese, componimenti poetici di elevato valore, spesso molto superiore a quello del “T’amo o pio bove” e alla tiritera di “Davanti San Guido”. Però io escludo decisamente che come lingua sarda sia considerata quella che è stata inventata e denominata la “limba comuna”: secondo me – che sono il linguista che ha scritto più di tutti sul sardo – questa è un “grosso pasticcio messo su da pasticcioni”, che la Regione ha avuto la sventatezza di adottare ufficialmente, mentre, esclusi gli inventori, nessun altro sardo la adopera e nessun altro sardo la vuole. Un’ultima considerazione, ma non la meno importante: nell’insegnamento e nell’uso del sardo nelle scuole si dovrebbero distinguere bene due momenti, l’”orale” e lo “scritto”: rispetto all’orale nelle scuole si dovrebbe adoperare il “suddialetto locale”, anche quello del più piccolo villaggio: a Cagliari si dovrebbe adoperare su casteddaju, a Villaputzu su sarrabbesu, a Lanusei su lanuseinu, a Nùoro su nugoresu, a Ozieri su ottieresu ecc. Con tale procedimento si otterrebbe il grande risultato di coinvolgere nell’operazione di recupero della lingua sarda pure la generazione dei vecchi, i quali sarebbero assai contenti di insegnare ai nipotini il suddialetto del loro sito natale. Invece nel momento dello scritto gli insegnanti dovrebbero richiedere dagli alunni l’uso del logudorese comune nel Capo di Sopra e del campidanese comune nel Capo di Sotto. Nelle zone alloglotte, Carloforte, Alghero, Sassari, Castelsardo, Gallura si dovrebbero ovviamente insegnare le rispettive parlate.

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