in giro con la lampada di aladin… sul lavoro che c’è e su quello che non c’è
- Il lavoro in tempo di crisi: meno reddito, più libertà. Andrea Saba su La Nuova Sardegna.
- Materiali del Convegno ecclesiale regionale. Per un cammino di speranza. La comunità cristiana in Sardegna di fronte alla crisi a un anno dalla visita di Papa Francesco. Relazione di Vittorio Pelligra: Ripartire dal lavoro. La situazione socio-economica in Sardegna: limiti e prospettive
economia
Il lavoro in tempo di crisi: meno reddito, più libertà
di Andrea Saba
La gente ha ridotto gli sprechi. L’occupazione può trovare un nuovo slancio nei consumi di servizi. La ripresa ha bisogno di nuovi contenuti
La crisi si trova davanti ad una contraddizione: da un lato sembra necessario ridurre gli sprechi che sono connaturati con un sistema basato sulla crescita continua di consumi spesso inutili; dall’altro è assolutamente necessario incrementare la domanda interna che contiene normalmente una quota di sprechi. Da un lato il Papa Francesco, l’Onu ed il buonsenso ci dicono che il pianeta rischia il collasso se non si pone un limite ai consumi dissennati, ma, dall’altro, sappiamo che senza un consistente aumento di domanda non ci può essere ripresa dell’economia e quindi dell’occupazione. Probabilmente, la gente negli anni della crisi ha ridotto prevalentemente proprio gli sprechi, stando attenti a risparmiare energia, acqua, non lasciando scadere i viveri ecc, cercando di fare in modo che in Italia non si buttino via beni alimentari che potrebbero nutrire in un anno 17 milioni di persone. La domanda globale deve crescere perchè è la variabile strategica per il rilancio degli investimenti, ma non può avere più la stessa composizione degli ultimi trenta anni. Il consumo di beni materiali deve progressivamente essere sostituito dal consumo di servizi. Ma questa sostituzione, che è già iniziata, richiede modifiche in tutto il sistema di vita, di educazione, di formazione e di convinzioni sociali. Stanno nascendo, in diverse parti del mondo industrializzato, forme contrattuali sul lavoro del tutto nuove in cui il lavoratore dipendente cede o una parte del salario o accetta condizioni estreme di lavoro (domenica, notte, ecc,) in cambio di un maggiore tempo libero. La progressiva diffusione delle ICT – information comunication technology – favorisce questo scambio. Meno lavoro, meno reddito, più libertà. L’occupazione può trovare un nuovo slancio nei consumi di servizi. Prendiamo il caso italiano della cultura. Abbiamo il maggiore patrimonio culturale del mondo; uno sfruttamento intelligente potrebbe produrre fiumi di capitali, ma richiede nuove forme di occupazione specialistica nel marketing culturale, nel restauro, nella manutenzione e sopratutto in tutte le nuove vie che consentono, attraverso l’uso di internet, nuove forme di utilizzo della cultura. Lo stesso vale per la gastronomia italiana: ho visitato un ex convento vicino a Tuscania dove hanno creato una scuola per allievi cuochi: erano iscritti 800 ragazzi stranieri che volevano imparare la cucina italiana, e tutte le pensioni e gli alloggi della zona lavoravano a tempo pieno. Nel contempo, segnali positivi vengono dai distretti specializzati nel made in Italy: quando si organizzano in forma di squadra, con una impresa leader che guida la diffusione internazionale, l’export cresce vistosamente. Ma c’è bisogno di bravi artigiani. Dunque la tendenza in atto è quella di sostituire il consumo banale con un uso più felice del tempo libero che domanda servizi nuovi che possono essere fonte di molte nuove forme di occupazione. Ma non è un problema che si risolve a tavolino o nelle aule universitarie: richiede una forma continua di “learning by doing”, cioè di apprendimento dalla esperienza, di cui i governanti, a tutti i livelli, dovrebbero tenere conto per formulare politiche opportune. Dalla crisi, come dopo una guerra, potrebbe nascere una forma di coesistenza civile meno banale e piatta della attuale. Un poco meno di reddito, meno consumi che ormai hanno anche stufato, più libertà, più cultura, sport, divertimento, ritorno a forme naturali di vita, viaggi e conoscenza, possono condurre verso forme di alto livello di occupazione che ormai non sono più recuperabili con la ripetizione del modello attuale che la crisi – che è un cambiamento epocale – sta spazzando via. La ripresa non basta, c’è bisogno di nuovi contenuti.
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RAGIONI DI UNA DISFATTA
La crisi economica globale: come sconfiggere il “mostro”
di Andrea Saba, su La Nuova Sardegna
Necessario creare le condizioni perché i capitali vengano nuovamente investiti nelle industrie: “padroni” e lavoratori insieme per la stessa battaglia
L’onda enorme della crisi che dal 2008 si è scatenata dai settori della grande finanza americana su tutto il mondo – fuori di ogni controllo della Fed -, colpisce in modo indifferente tutti i protagonisti delle attività produttive. Imprenditori, lavoratori, tecnici, esperti di marketing, chiunque fosse prima della crisi, impegnato in un attività produttiva prevalentemente industriale o edile. Il tradizionale contrasto di classe fra imprenditori e classe operaia ha perso di colpo ogni significato. Purtroppo ne esiste una triste prova statistica: il numero di suicidi è aumentato; si verifica un suicidio ogni due giorni e mezzo dal 2012 per cause connesse alla crisi ed al lavoro e la metà dei suicidi – 68 nel 2013 – è un suicidio di un imprenditore. È difficile chiudere gli occhi di fronte a questa tragedia, ma è ancora più difficile vedere milioni di lavoratori che sfilano per difendere i loro diritti contro un padronato che sta pagando, come loro, le conseguenze di una “mutazione economica” spaventosa. È il momento in cui tutte le forze produttive – operai, imprenditori, governo, banche – devono fare fronte comune per sconfiggere il mostro finanziario. Proverò a spiegare in termini semplici quale è il meccanismo finanziario globale che ha causato il disastro -che non è finito – e che cosa si sta facendo a livello europeo e nazionale. Dalla fine del secolo scorso sono nati, nelle banche americane, nuovi titoli di credito: i “derivati”che erano congegnati in modo da ripartire il rischio dei risparmiatori che li acquistavano e di dare un buon tasso di interesse. Normalmente erano titoli compositi: una specie di macedonia con azioni, obbligazioni, titoli di stato ed altri. Proprio la scelta, operata da specialisti della finanza internazionale rendeva questi titoli molto attraenti. Le banche che li emettevano erano considerate serie e solide e i rendimenti erano così alti che molto capitale che normalmente veniva impiegato nell’industria, iniziò a spostarsi progressivamente verso la finanza globale. E questo iniziò a procurare danni alla attività industriale. Ma nel 2007-08 fallì la Lemon Brothers e si scopri che molti derivati emessi e comprati da tutti, erano del tutto fasulli. Di colpo una enorme massa di quattrini che era uscita dalle attività industriali per una breve corsa speculativa, fu distrutta.Forse il caso Madoff è il modo più evidente per spiegare il collasso. Madoff era stato per nove anni presidente del Nasdaq cioè della borsa dove si quotano le imprese più tecnologicamente avanzate del mondo. Quando smise creò una sua società e si mise a vendere titoli derivati. Tutto il mondo economico sapeva che Madoff era il maggior esperto di titoli di tecnologia avanzata – i migliori – e poi fu furbissimo perchè impose la condizione che di titoli Madoff non se ne potevano acquistare meno di un milione di dollari, (insomma, non era cosa per poveracci!). Tutte le principali banche del mondo, incluse quelle svizzere, si riempirono di questi titoli. Madoff faceva la vecchia “catena di Sant’Antonio” pagando alti interessi con i nuovi depositi. Fallì e venne condannato a settecento anni di carcere. Il danno su tutta l’economia mondiale fu enorme. Ma come si fa, davanti a questi avvenimenti, a rimanere ancorati a valori che avevano senso negli anni ’80? Da almeno quattro anni si sta tentando di riportare il capitale verso l’investimento industriale. Ma, una parte è andata persa, e si tratta di ricostruire le condizioni perchè, coloro che erano usi ad investire nell’industria, riprendano la via degli investimenti. Ma certamente scioperi, proteste sindacali e minacce non sono il modo migliore per fermare i suicidi sia dei disoccupati che degli imprenditori. E sopratutto non sono adatti a ricreare il clima di fiducia di cui ha bisogno la ripresa.
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- Andrea Saba
Andrea Saba (Sassari, 1932) allievo di Paolo Sylos Labini, dopo la laurea in legge segue il maestro nell’Università di Catania per partecipare ad una ricerca sull’economia siciliana. Viene ammesso nel 1961 all’Università di Cambridge- King’s College, dove si laurea sotto la guida di Nicholas Kaldor. Partecipa alla formulazione delle politiche di programmazione economica e come membro del Comitato Centrale, alla elaborazione delle politiche economiche del Partito Socialista ed al gruppo di studi economici della Internazionale Socialista guidato da Michel Rocard ed alla attività dell’ICPEC presieduto da Riccardo Lombardi. Partecipa, come esperto, alle prime riunioni per la creazione della moneta comune europea con Rocard, Alfonso Guerra, Danis Haley, Manfred Lanstein. Dal 1981 capo della segreteria del ministro per il Mezzogiorno, diviene presidente dell’IASM-Istituto per la Assistenza allo Sviluppo del Mezzogiorno fino al 1992 e presidente dell’Istituto Superiore dei Trasporti. Ritorna alla “Sapienza”nel Dipartimento di Scienze Economiche come docente di Economia Industriale. Collabora col governo messicano e con quello argentino per la creazione di distretti industriali in queste nazioni, con risultati interessanti per la diffusione della esperienza italiana. Membro del Comitato Scientifico del Parco Tecnologico della Sardegna diretto da Carlo Rubbia avvia una serie di progetti nel campo delle tecnologie avanzate.
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