Il dramma dei curdi siriani non interessa a nessuno
Mercoledì 15 ottobre manifestazione a Cagliari
di Nicolò Migheli *
Quei cannoni imbelli sulla frontiera turco-siriana raccontano dell’ipocrisia delle relazioni internazionali più di quanto non vogliano. Il secondo esercito della Nato assiste alla distruzione di Kobane, preoccupandosi di incarcerare i curdi che protestano, facendo attendere anche otto ore i feriti alla frontiera, molti dei quali muoiono appena giunti in ospedale. Quelle immagini riportano alla memoria altri fatti tragici: l’esercito sovietico che nel 1944 attende sulle rive della Vistola che i nazisti distruggano Varsavia e con essa la resistenza polacca; gli olandesi di UNPROFOR che il 16 luglio 1995, assistettero senza colpo ferire allo sterminio dei bosgnianchi di Srebrenica.
Eppure Recep Tayyp Erdoğan, presidente della Turchia, all’atto in cui il parlamento di Ankara autorizzava l’ingresso delle proprie truppe in Siria, lo aveva detto, Stato Islamico e il Partito dell’unione democratica (Pyd) dei curdi siriani erano entrambi gruppi terroristi. Dichiarazioni ulteriori di alti esponenti anatolici confermano che non è l’ISIL il vero nemico, bensì i curdi che con l’esperimento plurietnico e pluriconfessionale del Rojava attraggono i loro fratelli di Turchia. Kobane va cancellata e con essa ogni proposta politica e culturale che contraddica l’universalismo omologante dei sunniti radicali.
La guerra ha messo in risalto il ruolo delle donne. La difesa di Kobane in questi giorni è sotto il comando di Mayssa, nome di battaglia Narin Afrin. Questo diventa insopportabile per chi ha una concezione della donna sottomessa, senza diritti e dipendente in tutto dall’universo maschile. In Siria ed Iraq sono già state eliminate minoranze cristiane e yazidi che esistevano da millenni. Ora si tenta con i curdi. Domani con i drusi, confessione esoterica dell’Islam, stanziati in un territorio diviso tra Siria, Libano e Israele. Se questo dovesse avvenire gli unici drusi che si salveranno saranno quelli protetti dalle armate israeliane.
I popoli senza stato non hanno stati amici, a meno che questi ultimi non abbiano interessi forti a rendere indipendenti l’una o l’altra minoranza. Fabio Mini nel suo Mediterraneo in guerra, scrive in proposito:”Ci sono quelli che hanno conquistato indipendenza e libertà ma più per concessione, stanchezza e noia o convenienza degli oppressori. E la vera vittoria sugli oppressori è sempre stata ottenuta prima dalle idee e poi dalle armi. Il Mediterraneo è il luogo dei popoli liberati dagli altri, dei colpi di mano, dei colpi di stato, delle manovre di palazzo, degli stati disegnati a tavolino e assegnati come regalo di nozze o segno di gratitudine per un servizio prestato.”
I curdi sono circa 40 milioni che abitano un territorio diviso tra quattro stati, hanno lingua propria e tradizioni culturali che hanno resistito alla arabizzazione, all’omologazione dentro le culture turche ed iraniane. La loro indipendenza priverebbe la Turchia di un terzo del suo territorio. Ecco perché Kobane va distrutta, essa rappresenta un Kurdistan autonomo che progetta l’indipendenza. Un intralcio fortissimo alle pretese neo ottomane di Erdoğan. Gli unici amici su cui possono contare le nazioni senza popolo sono le opinioni pubbliche. Ma anche in queste solidarietà vi è una sorta di graduatoria. Le vessazioni che subiscono i palestinesi, le guerre ripetute su Gaza, provocano prese di posizione, appelli, impegno di intellettuali, mentre sui curdi cala il silenzio.
L’Italia ha molto da rimproverarsi. Il governo D’Alema, su pressione turca e americana, espulse Ocalan che aveva fatto richiesta di asilo politico. Il leader del PKK in seguito a ciò venne arrestato in Sudan dai servizi turchi e condannato a morte con la pena tramutata in ergastolo. Prima gli affari dunque. Da allora però il dramma curdo rimase sotto traccia, nessuna manifestazione di solidarietà, neanche di fronte alle migliaia di militanti torturati, dei prigionieri politici che si lasciavano morire per fame nelle galere turche. Un silenzio inspiegabile se non dal fatto che la loro lotta non fosse più seguita dai mezzi di comunicazione di massa. Oggi a seguito delle strenua lotta per Kobane, qualcosa sembra muoversi.
Eppure le donne e gli uomini curdi non combattono l’Isis solo per sé stessi. Lo fanno anche per noi. Difendono i nostri stessi valori: il diritto di autodeterminarsi e di costruire comunità inclusive e di pari diritti per tutti. Mercoledì 15 ottobre alle 16,30 in Piazza del Carmine a Cagliari ci sarà, promossa da molte associazioni, una assemblea di solidarietà. Sarà importante parteciparvi per far sentire ai combattenti di Kobane la nostra vicinanza. L’unica cosa che possiamo fare da qui.
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* pubblicato su SardegnaSoprattutto
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- Approfondimenti
- Articolo di Gianfranca Fois su il manifesto sardo
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