in giro con la lampada di aladin…
- Il miraggio del lavoro e la Sardegna svenduta agli speculatori. Athony Muroni su L’Unione Sarda (ripreso da SardegnaSoprattutto).
- Zedda, tre ostacoli in 17 giorni per la ricandidatura a sindaco di Cagliari. Ce la farà a superarli?. Vito Biolchini su vitobiolchini,it
- ll jobs act è un manifesto della malafede. Su Democraziaoggi
Il miraggio del lavoro e la Sardegna svenduta agli speculatori. Athony Muroni su L’Unione Sarda (ripreso da SardegnaSoprattutto).
L’Unione Sarda 28/09/2014. Ieri ho partecipato al convegno organizzato dal Fai a Milis, sullo sviluppo e lo sfruttamento energetico in Sardegna. Ho potuto intervistare pubblicamente il procuratore capo di Cagliari Mauro Mura e imparare tante cose ascoltando gli interventi di tanti esperti. Al termine mi è venuto da scrivere questo articolo.
Il primo giornale della Sardegna si è schierato su posizioni di retroguardia, intruppandosi nella vasta pletora di chi dice “no a tutto e a tutti”? Vuole forse scegliere la demagogica via della protesta, cavalcando l’insoddisfazione delle masse e rinunciando, dunque, al suo dovere di analizzare e raccontare il presente, imparando dal passato e provando a indicare una strada virtuosa percorribile nel futuro? E, dicendo no a servitù militari sempre più invasive e alla lobby dell’energia, vuol forse far tornare la Sardegna all’età della pietra?
No, cari lettori, non è certo così.
I più attenti – quelli che non si lasciano distrarre dal rumore di fondo e dalle urla di chi ha interesse a conservare lo status quo o, più semplicemente, non ha voglia di addentrarsi in analisi – avranno notato che nell’ultima settimana sono uscite le prime quattro puntate dell’inchiesta sul lavoro che non c’è. E chi avrà voglia, nei prossimi giorni, potrà trovare il primo appuntamento con un approfondimento sulla Sardegna che funziona. Raccontando quel che c’è, si può forse capire meglio cosa non va e cosa non è andato.
Analizzando i numeri, ascoltando le storie delle persone, rilevando l’assenza di una programmazione, capace di immaginare il futuro dell’Isola e dei suoi abitanti per le prossime generazioni. Abbiamo scritto che dal 2008 a oggi sono stati persi 80 mila posti di lavoro e che, anche domani e dopo, 119 mila sardi disoccupati proveranno – quasi tutti inutilmente – a migliorare la propria condizione.
A loro vanno aggiunti i 130 mila inoccupati che la busta paga hanno persino smesso di cercarla. Fanno, tutti insieme e con molti altri, parte del mare magnum dei 416 mila e più iscritti ai centri servizi lavoro. Tra questi ci sono gli oltre 8 mila cassintegrati, a loro volta la metà dei componenti le liste di mobilità.
Cosa ci dicono questi numeri? Quello che nessuno ha il coraggio di gridare a voce alta: la Sardegna è tecnicamente fallita e, se il trend non viene invertito, è destinata al genocidio “dolce” che sarà causato dai fenomeni dello spopolamento e della desertificazione. Perché accade? Perché il modello di sviluppo è sbagliato.
Anzi, perché il modello di sviluppo non c’è. E dunque chi difende lo status quo, attaccandosi a questo o quel privilegio, a questa o quella posizione di vantaggio, compie un atto di egoismo. Spera di massimizzare consenso seminando il terrore («e se vanno via i militari che si fa?», «e se non ci facciamo colonizzare dalle aziende che ci promettono posti di lavoro in cambio di sfruttamento, inquinamento e distruzione del territorio che si fa?») pensando all’oggi e infischiandosene del futuro dei propri figli, degli altri sardi e della memoria che i nostri avi ci hanno lasciato.
Nell’edizione di mercoledì abbiamo raccontato la parabola del Sulcis, illuso e sfruttato da anni di investimenti a pioggia che, alla lunga, hanno seminato su quel territorio inquinamento e disoccupazione, portando a un raccolto di disperazione e ansia. Se si pensa che Alcoa, da sola, è costata 1,2 miliardi di euro allo Stato c’è da mangiarsi i polpastrelli a pensare cosa si sarebbe potuto fare, di duraturo, virtuoso e compatibile con quei soldi.
Giovedì abbiamo iniziato a fare il punto sull’agricoltura: 2.127 aziende chiuse nel 2013 e un milione di ettari fertili non più coltivati in un’Isola che, nel contempo, è costretta a importare l’80% dei prodotti che ogni giorno arrivano sulle tavole dei sardi. Cosa c’è dietro?
Il disastro di una mancata programmazione, di una scarsa propensione all’associativismo e politiche di filiera inesistenti. Intanto i nostri agricoltori vengono spinti a vendere, per un piatto di lenticchie, le loro terre alle lobby dell’energia che impiantano pannelli solari (mascherando da serre i catafalchi che li ospitano), pale di mini e maxi eolico. Gli sfruttatori che arrivano da oltre Tirreno si sono fatti furbi e puntano a carpire la buona fede dei “nativi” con collanine dipinte di green e riempiendosi la bocca con i parametri del protocollo di Kyoto. Evitano accuratamente di dire, però, che la Sardegna produce un surplus di energia.
Cosa significa? Che la produzione in esubero, quella che viene realizzata sulle terre sottratte all’agrindustria, viene prodotta a due lire (e pagata da noi utenti in bolletta) ed esportata sul mercato extra sardo. Non raccontano, poi, che al termine del ciclo di utilizzo, i pannelli e le pale eoliche rimarranno sul territorio come croci infilzate sulla nostra carne. Nessuno ha ancora pensato a come, dove e quando verranno smaltiti questi enormi rifiuti speciali.
Visto l’andazzo, significa che una parte del nostro territorio funzionerà da discarica a cielo aperto. Nessuno dice che la chimica “verde” rischia di essere l’ennesima presa in giro: qualche busta paga, nessuna rassicurazione a lungo termine e molte terre occupate non solo dalla fabbrica ma per la coltivazione di cardi, che dovrebbero essere poi bruciati.
È questa la Sardegna che vogliamo? Noi no. E siamo certi che non la vogliano nemmeno molti di voi.
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Zedda, tre ostacoli in 17 giorni per la ricandidatura a sindaco di Cagliari. Ce la farà a superarli?. Vito Biolchini su vitobiolchini,it
28 settembre 2014 alle 21:36
Massimo Zedda che si ricandida nel 2016 a sindaco di Cagliari? “È un suo diritto” mi dice l’amico, esperto di cose politiche. “Però è un diritto di tutti gli altri pensare a delle alternative”, aggiunge sornione, “anche perché presto potrebbe succedere qualcosa che cambia il quadro”.
Questo “qualcosa” in realtà sono tre cose, tre passaggi che di sicuro condizioneranno il percorso di Zedda verso la ricandidatura. Tre tappe, tre momenti cruciali ormai alle porte: tutto accadrà tra il 30 settembre e il 16 ottobre: diciotto giorni decisivi, dopo i quali tutti i partiti saranno chiamati a fare le loro considerazioni.
Prima tappa: martedì 30 settembre. In piazza Repubblica a Cagliari il sindaco dovrà presentarsi nell’ufficio del giudice per l’udienza preliminare che deciderà se accogliere o meno la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura per un doppio abuso d’ufficio aggravato riguardante la nomina di Marcella Crivellenti alla guida del Teatro Lirico e il mancato insediamento nel cda della Fondazione di Giorgio Baggiani.
Se le richieste di rinvio a giudizio venissero entrambe archiviate, per Zedda sarebbe un trionfo. Se ne venisse accolta anche una sola (e per gli esperti di cose di piazza Repubblica la più insidiosa è quella che riguarda il caso Baggiani) il centrosinistra sarebbe ad un bivio. Il processo infatti potrebbe mettere in cattiva luce il sindaco, per non dire poi di una eventuale condanna che (arrivando ad appena otto-sei mesi prima delle elezioni del 2016) per effetto della legge Severino determinerebbe addirittura la decadenza di Zedda da sindaco. Un disastro.
Un eventuale rinvio a giudizio costringerà quindi in ogni caso il centrosinistra cagliaritano a pensare ad un “piano b”, perché nelle aule di giustizia può succedere di tutto e politicamente il tempo stringe. Situazione non invidiabile perché il centrosinistra cittadino (il Pd in primis) in questi ultimi mesi si è assolutamente appiattito su Zedda, quindi pensare ad una alternativa non è semplice.
La terza tappa ci sarà il 16 ottobre, quando verrà prescelta la città italiana capitale europea della cultura del 2019. L’inserimento di Cagliari nel ristretto novero delle sei finaliste è indubbiamente un successo per l’amministrazione Zedda. Tuttavia gli entusiasmi nelle ultime settimane sono notevolmente scemati e dalle parti di via Roma pochi sembrano avere la stessa baldanza di qualche tempo fa quando il refrain era “di sicuro vinciamo noi”. Ora le città che sembrano giocarsela sono Siena e Matera, con la prima avvantaggiata per evidenti motivi politici (Renzi è toscano e la vittoria ridarebbe slancio ad una città prostrata dalla vicenda Monte dei Paschi).
Se Cagliari dovesse imporsi sarebbe un successo clamoroso ed epocale che metterebbe al sicuro la ricandidatura di Zedda (al netto, ovviamente, delle vicissitudini giudiziarie) e darebbe al centrosinistra un vantaggio insormontabile nei confronti degli avversari. Ma se Cagliari non dovesse prevalere, di questa candidatura non rimarrebbe niente di cui di cui avvalersi in campagna elettorale. E quindi si tornerebbe al punto di partenza, cioè alla ricandidatura di Zedda legata alla vicenda giudiziaria.
Il secondo momento cruciale per le sorti del sindaco è atteso in un giorno qualunque tra il 30 settembre e il 16 ottobre e riguarderà la decisione della Cassazione sul ritorno di Piergiorgio Massidda alla guida dell’Autorità Portuale di Cagliari.
Già senatore di Forza Italia, Massidda aveva lasciato palazzo Madama per essere chiamato a guidare lo sviluppo portuale cittadino. Poi fu defenestrato per effetto di un ricorso avanzato dall’attuale assessore regionale ai trasporti, Massimo Deiana. Ora tutto potrebbe essere rimesso in discussione. Se Massidda dovesse tornare in via Roma (lato mare) potrebbe costruire in maniera assai più convincente la sua candidatura a sindaco di Cagliari nel 2016. Massidda sembra destinato a guidare un polo civico, visto che Forza Italia (partito con cui l’ex senatore è in rapporti critici) sembra già voler puntare sul capogruppo in consiglio comunale ed ex assessore negli anni di Floris sindaco, Giuseppe Farris.
Che Farris e Massidda non si amino è notorio: il secondo fece perdere al primo le elezioni provinciali del 2010, quando al ballottaggio si impose a sorpresa il candidato del centrosinistra Graziano Milia.
Massidda di nuovo all’Autorità Portuale sarebbe un problema per il centrosinistra. Perché inciderebbe in maniera forte in un settore economico in ascesa e dotato di risorse. Perché Massidda ha rapporti ed esperienza politica e sa come muoversi ed è ben più temibile di Farris. E poi perché l’ex senatore per i cagliaritani è “Piergiorgio” mentre il sindaco è solo “Zedda”.
Davanti a questi tre momenti cruciali che rischiano di mettere in difficoltà l’amministrazione cagliaritana (eventuale rinvio a giudizio, nomina della capitale europea della cultura e ritorno di Massidda all’autorità portuale), secondo me per il centrosinistra e per Massimo Zedda una via d’uscita ci sarebbe: annunciare già da subito a convocazione di primarie per la scelta del prossimo candidato sindaco.
D’altra parte, non fu lo stesso Nichi Vendola (fondatore di Sel, partito in cui milita il sindaco Zedda) ad accettare di candidarsi alle primarie alla fine del suo primo mandato da presidente della Regione Puglia?
Post scriptum
Ho appreso oggi dall’Unione Sarda che due lettori di questo blog sono stati querelati dalla signora Crivellenti a causa di alcuni commenti postati a margine di alcuni miei post. Vorrei esprimere loro tutta la mia vicinanza e solidarietà. La querela presentata nei miei confronti dalla signora è stata invece archiviata. Se in questi mesi non ho scritto più di Teatro Lirico non è perché non ci fossero notizie ma perché il clima è diventato tesissimo e prendere posizione assai pericoloso: per me e per i miei lettori. Volevo dirvelo.
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ll jobs act è un manifesto della malafede
28 Settembre 2014, su Democraziaoggi
Giorgio Cremaschi
(portavoce del “comitato nodebito”, ex segretario nazionale Fiom)
Sull’attacco ai diritti dei lavoratori da parte del governo Renzi e delle destre, ecco la riflessione di un autorevole esponente del mondo del lavoro, pubblicato in http://www.huffingtonpost.it il 23/09/2014.
Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie. Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi.
E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito. Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del jobs act per ignoranza o per pura menzogna.
Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti. Costoro in realtà nella loro crescita non incontreranno mai più l’articolo 18, quindi il loro contratto a tempo indeterminato in realtà sarà finto, perché essi saranno licenziabili in qualsiasi momento. Un contratto a termine al minuto, una ipocrita beffa. L’articolo 18 resterà come patrimonio personale dei vecchi assunti, quindi non solo mano mano si ridurrà la platea di chi usufruisce di quel diritto, ma saranno la stesse imprese a essere poste in tentazione di accelerare il ricambio dei loro dipendenti. Perché tenersi il lavoratore che ha ancora la tutela dell’articolo 18, quando se ne può assumere uno senza, pagato un terzo in meno
Renzi non fa niente di nuovo, anzi applica il principio classico degli accordi di concertazione: il “doppio regime”. I diritti contrattuali, le retribuzioni, le condizioni di orario e le qualifiche, l’accesso alla pensione, son stati negli ultimi trenta anni ridotti per tutti, ma ai nuovi assunti venivano negati completamente, a quelli con più anzianità di lavoro invece un poco restavano. I diritti non potevano più essere trasmessi da una generazione all’altra, ma diventavano una sorta di rendita personale per le generazioni che abbandonavano il lavoro. Questi accordi, sottoscritti dai sindacati confederali e applauditi dagli innovatori ora fan di Renzi, hanno creato l’apartheid. Renzi stesso mente sapendo di mentire quando sostiene di voler abolire la disparità di diritti, invece tutti i suoi provvedimenti la rafforzano ed estendono. Il jobs act aggiunge ferocia a ferocia, non cambierà nulla nelle dimensioni della disoccupazione anzi i disoccupati aumenteranno, come è avvenuto in Grecia e Spagna che hanno per prime seguito la via oggi percorsa dal governo. Il jobs act non risolverà uno solo dei problemi produttivi delle imprese, soprattutto di quelle più piccole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. E allora perché si fa?
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