Il dibattito sullo spopolamento della Sardegna. Rimedi? Sì, ma occorre avere un’altra idea di Sardegna possibile, sapere rompere gli schemi ed azzardare!

SEMESTENE

Sardegna settembre- “Spopolamento dei piccoli centri, serve una strategia: Pigliaru ce l’ha? Il caso Monteleone Roccadoria”
di Gianni Mura. 17 settembre 2014 alle 11:28, Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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ape-innovativaL’intervento di Gianni Mura, pubblicato oggi sul sito di Vito Biolchini, a cui rimandiamo (e che in ogni caso più sotto riproduciamo integralmente) rilancia un importante e indispensabile dibattito sulla problematica dello spopolamento di parti estese della Sardegna, che impone l’urgente approntamento di una specifica politica, nel quadro della politica più generale ispirata da un’idea di Sardegna proiettata in un possibile futuro migliore. Il dibattito su questa grande questione esiste, ha caratteristiche carsiche: ogni tanto emerge in tutta la sua rilevanza, per poi ri-inabissarsi, quindi ri-emergere e così via. Noi stessi, con la nostra News, ce ne siamo occupati più volte, in ultimo con l’editoriale di Vanni Tola di alcuni giorni fa (Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza). E’ soprattutto sulle ipotesi di intervento che esiste una grande incertezza. Infatti, per essere chiari, la proposta più efficace per affrontare lo spopolamento senza affidarci a impossibili rimedi della provvidenza, consiste nell’attuare una robusta “politica di accoglienza” che comprende, ovviamente, una capacità di vera integrazione, rivolta in modo particolare ai migranti del paesi del nord Africa, ai quali dare lavoro, abitazioni, servizi sociali, etc. Capiamo che la questione è delicata, come ben ha sottolineato Tonino Dessì in un breve quanto denso commento al citato articolo di Vanni. Ma, appunto perché la questione è complessa e delicata quanto urgente e non più eludibile, dobbiamo discuterne apertamente e trovare soluzioni praticabili. Riciccia quindi inevitabilmente l’interrogativo che opportunamente pone Biolchini: “Serve una strategia: Pigliaru ce l’ha?”. Noi crediamo di no, allo stato, ma questa strategia dobbiamo insieme darcela, con o senza Pigliaru. Meglio sarebbe “con”. Che dobbiamo dire? Francesco (Pigliaru), fatti coraggio e ascolta un altro Francesco (papa) quando ci invita a fare come Dio: a “rompere gli schemi” ed azzardare!

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Monteleone Rocca Doria
La chiesa di Sant’Antonio Abate a Monteleone Roccadoria. La foto è di Luigi Tedde

vitobiolchini blog occhialini1 “Spopolamento dei piccoli centri, serve una strategia: Pigliaru ce l’ha? Il caso Monteleone Roccadoria”
di Gianni Mura
17 settembre 2014 alle 11:28, Vito Biolchini su vitobiolchini.it

Consiglio ai lettori di questo blog di programmare, al più presto, una visita al più piccolo Comune della Sardegna: Monteleone Roccadoria, in provincia di Sassari.

Per chi viene da sud, l’itinerario che mi sento di consigliare può articolarsi passando per Macomer e, dopo il bivio per Bosa, lungo la provinciale per Pozzomaggiore, il centro di Mara, il percorso in direzione di Alghero fino al bivio per il paese. Il viaggiatore potrà così cogliere la differenza dei paesaggi di cui la Sardegna è fatta, dall’altopiano basaltico di Campeda, alle pianure del Logudoro occidentale, al movimento dell’orografia nella vallata dell’alto Temo e potrà così iniziare a riflettere sullo scarto esistente fra una politica territoriale regionale in cui la Sardegna appare come omogenea e uniforme e la Sardegna reale, con le sue specificità, le sue discontinuità e la sua esigenza di ragionare alla scala degli uomini singoli e dei territori unici.

Chi viene da nord, può arrivarci da Ittiri o da Thiesi, oppure passando per Cossoine.

Da Bosa il percorso è semplicemente incantevole, passando per Montresta, fondata a metà del Settecento per dare ospitalità ad una colonia di esuli greci in fuga dalla Corsica.

Ma anche da Alghero: dopo le curve di “scala piccada” e il bel paese di Villanova Monteleone (in cui si pensa si rifugiarono i monteleonesi dopo la battaglia dei pisani contro i Doria, ma anche alla ricerca di maggiore salubrità e produttività dei luoghi), fino al bivio obbligato per Monteleone Roccadoria sulla statale 292.

Una salita con curve più secche di quelle di “scala di giocca” porta al paese, sopra una rupe da cui i Doria controllavano a vista gran parte del Logudoro, uno dei passaggi obbligati verso il sud della Sardegna. Un paese incantato, ordinato, pulito, interamente lastricato in basalto, in cui si può intuire quanto di positivo esiste in molti dei nostri paesi, anche dal punto di vista amministrativo.

Sopra il paese, nel pianoro terminale da cui si può percepire per intero come il lago artificiale del Temo avvolga in modo incantevole “su monte” e il paese, rimarrete sorpresi dal trovare un parco, un campo di calcetto, una piscina.

In questo piccolo paese vivono 125 persone, in gran parte vecchi. L’altro giorno, alla messa domenicale delle 11, erano presenti 14 persone (che però rappresentano più del 10 per cento della popolazione, come se a Cagliari la messa domenicale portasse ventimila fedeli).

Il punto che voglio toccare è proprio questo e riguarda Monteleone Roccadoria, ma anche un numero rilevante di Comuni della Sardegna dell’interno con una popolazione di alcune centinaia di abitanti. Nei prossimi 20/50 anni questi paesi scompariranno silenziosamente senza però morire totalmente, continuando comunque ad esistere come entità residenziali, a cui sarà inevitabilmente necessario fornire acqua, elettricità, depurazione etc. finché ci sarà ancora qualche abitante.

I problemi che il processo di spopolamento dei paesi dell’interno della Sardegna pone non sono solo di natura insediativa, culturale e di presidio indispensabile del territorio, ma anche di natura economica, sia rispetto al territorio agrario che in relazione al valore e agli investimenti (pubblici e privati) che sono stati fatti e che si continueranno inevitabilmente a fare. Insomma, lo scenario tendenziale che oggi si intravede (la scomparsa sostanziale di circa cento Comuni della Sardegna entro questo secolo) sarebbe non solo una catastrofe antropologica, ma anche un disastro economico.

Insieme agli amici dell’INU (l’Istituto Nazionale di Urbanistica), dall’inizio degli anni ‘80, abbiamo segnalato e “misurato” questo processo. In più occasioni abbiamo sviluppato analisi e proposte nella direzione di interrompere lo spopolamento. Oggi il tema è giustamente diventato di livello popolare, ma non si intravedono iniziative coerenti e adeguate.

Occorre partire da un punto, semplice ma preliminare e indiscutibile.

È necessario far crescere la popolazione di questi paesi in modo rilevante, fuori da un ordinario processo demografico interno ai paesi stessi. Per stare al caso di Monteleone Roccadoria, occorre che i 125 abitanti attuali diventino il doppio o il triplo in tempi non lunghi, realizzando quelle condizioni dimensionali perché il paese abbia quella vitalità minima capace di opporsi al suo declino prima e alla sua scomparsa poi. È evidente che una crescita demografica di questo livello non potrà mai avvenire per incremento demografico da saldo naturale, né per incremento migratorio di tipo tradizionale.

Il tema della scarsità di popolazione in Sardegna esiste da sempre: lo affrontarono i Savoia già dalla fine del Settecento e poi nell’Ottocento, nel secolo scorso nel periodo del primo dopoguerra, spesso legato alle bonifiche agrarie.

Lo schema del passato è stato l’unico disponibile in quelle fasi della storia: importare popolazione e ripopolare con residenti esterni. Alcuni casi hanno avuto anche un successo significativo, penso a La Maddalena e Carloforte, a Carbonia e Arborea, a Fertilia. In tutti i casi la dimensione del processo è inevitabilmente molto lunga nel tempo, a dimostrazione del fatto che questo tipo di politiche hanno il respiro della storia e non quello della politica di breve vista.

Che rapporto esiste fra questa esigenza di azioni strutturali lunghe decenni e la strumentazione in uso in Sardegna nei diversi ambiti della amministrazione regionale? Come si pone la politica regionale rispetto a questi temi nei settori dell’urbanistica, del paesaggio, del turismo, della sanità, dell’economia? La risposta è inevitabilmente e impietosamente negativa, lo scarto fra problemi e politiche costringe tutti a misurarsi con questi temi preliminari e fondativi delle politiche di sviluppo regionale, ma anche ad una riflessione onesta sull’enfatizzazione ideologica di cui abbiamo riempito strumenti di pianificazione “totale” come il Piano Paesaggistico Regionale.

La Regione Sardegna e la nuova amministrazione Pigliaru si apprestano a reimpostare una nuova stagione delle politiche urbanistiche e del paesaggio, ma anche (si spera) una nuova fase delle politiche di sviluppo e di coesione territoriale. Un viaggio a Monteleone Roccadoria può aiutare.

Gianni Mura
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DOCUMENTAZIONE PERTINENTE
- LUISA CODA, relazione a Convegno , Sassari-Alghero, 4-5 ottobre 2005

One Response to Il dibattito sullo spopolamento della Sardegna. Rimedi? Sì, ma occorre avere un’altra idea di Sardegna possibile, sapere rompere gli schemi ed azzardare!

  1. admin scrive:

    Posso sbagliarmi, ma non credo vi sia sufficiente diffusa consapevolezza della questione “spopolamento e desertificazione” di grandi parti della Sardegna. Eppure gli studi degli esperti ne segnalano la gravità e le conseguenze disastrose proiettando i dati sui prossimi (non lontani) anni. Nella convegnistica e nei singoli interventi di intellettuali e politici (pochi) sono state avanzate proposte di intervento, assai differenziate, ma comunque serie e meritevoli di discussione e, una volta trovate quelle migliori, di traduzione operativa. Personalmente sono convinto che tra le risposte debba esserci una diversa “politica di accoglienza e integrazione”, soprattutto dei migranti del nord Africa, che non deve essere connotata come “buonista”, ma inserita in un robusto programma economico, che riguardi soprattutto l’agricoltura (in senso lato, quindi anche pastorizia, allevamento, etc). E’ una problematica complessa e delicata, tuttavia particolarmente urgente da affrontare. Una proposta che mi convince è che il Consiglio regionale affronti di petto la questione, anche attraverso un’apposita legge regionale che istituisca una commissione di indagine su detta problematica, fissando finalità, modalità e tempi precisi di svolgimento (tre mesi prorogabili a sei, per es.). Si dovrebbe cominciare, come d’obbligo, con una rilevazione dello “stato dell’arte”, già ricco di studi e proposte, per poi arrivare a concretizzare linee di intervento, sostenibili, condivise dalla maggioranza delle parti sociali e dalle istituzioni territoriali e, ovviamente, finanziabili, anche con l’utilizzo dei fondi europei (diretti e indiretti) della programmazione 2014-2020. Una legge regionale, così come proposta, costringerebbe il Consiglio a un forte coinvolgimento, come è indispensabile sia, ma la cosa più importante è che la maggioranza dei sardi venga attivamente coinvolta.

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