in giro con la lampada di aladin… Lavoro, lavoro
- Emergenza reddito per i dipendenti e operai. Subito la Regione sarà chiamata a scegliere sulla questione metano
Lavoro, sarà un autunno molto caldo
di Alfredo Franchini, La Nuova Sardegna 20 agosto 2014
CAGLIARI. Si riproporranno molto presto al tavolo del ministero dello Sviluppo economico i focolai della crisi presenti in tutta la Sardegna. La convinzione dei sindacati regionali è che per l’isola non sarà un autunno “caldo”, (nel senso sindacale di vertenze contrattuali), piuttosto una stagione cupa ma con la possibilità di arrivare a grandi trasformazioni. Partendo dai dati economici, la situazione è davvero complessa per l’isola: nel resto d’Italia, infatti, c’è qualche segnale di miglioramento che in Sardegna tarda ad arrivare.
Industria. All’insediamento del ministro Federica Guidi, ad esempio, i tavoli aperti sulle vertenze nazionali erano 159; adesso, chiusi i dossier pesanti di Electrolux e Indesit, due grandi questioni di politica industriale italiana, il numero è sceso a 152. In Sardegna, invece, le grandi questioni industriali non hanno avuto variazioni; i dossier sono tutti aperti.
Autonomia. Il dibattito nazionale sulle riforme istituzionali sta portando all’annullamento della specialità e su questo in Sardegna il dibattito, forse complice la spensieratezza tipica della stagione estiva, non è molto sviluppato. Eppure è una questione centrale per il futuro dell’isola. Riguarda il bilancio della Regione, la questione dei tributi riscossi, l’Agenzia delle entrate.
Welfare. Il problema dei problemi è, ovviamente, il lavoro. In uno scenario fatto di cancellazione di posti della grande industria e la difficoltà del manifatturiero c’è la novità di un cambio di modello del welfare. I segnali che arrivano dal governo Renzi sono inequivocabili: il sistema degli ammortizzatori sociali non regge, si sta chiudendo la fase del sistema degli ammortizzatori in deroga. Non ci sarebbe nulla di male se allo stesso tempo venissero attuate le opportune politiche attive del lavoro; sarebbero un’ottima compensazione ma il problema è che in Sardegna si arriva a questo punto proprio nel momento in cui il sistema imprenditoriale è al collasso. Si è perso troppo tempo negli anni passati quando si sarebbero dovute attivare le politiche attive del lavoro. Ora la sfida sarà quella di avviare un Piano del lavoro quando il motore delle imprese gira al minimo. Infrastrutture. All’inizio dell’estate l’economista Paolo Savona ha proposto un piano per le infrastrutture, riproponendo la nascita di una nuova Casmez alimentata coi fondi della Banca Europea degli investimenti. Oggi la prima “impresa” per gli appalti sono i Comuni che però sono alle prese con casse sempre più vuote. Metano. L’autunno caldo riguarderà sicuramente le industrie energivore, (come l’Alcoa), ma soprattutto la Regione che dovrà varare un vero e proprio piano per l’energia. La decisione di uscire dal Galsi è stata accompagnata dall’affermazione che la Regione non intende affatto rinunciare alla metanizzazione dell’’isola. Un advisor dovrà indicare in tempi stretti la soluzione: l’orientamento dovrebbe essere quello di far arrivare il gas nell’isola con le navi metaniere e poi attivare uno o due gassificatori. (La Sardegna è l’unica regione d’Italia che non ha il metano). Ma tutto questo va legato alle scelte industriali.
Energia. Il sindacato chiedeva la costruzione di due centrali a Fiumesanto e nel Sulcis ma questi investimenti non sono previsti. E a complicare la questione energia c’è un altro aspetto che riguarda la Saras: i benefici del Cip 6, (previsti nella bolletta Enel), saranno annullati nel 2018. Questo potrebbe significare un disimpegno della produzione energetica.
Imprese. Le buone notizie vengono dai piccoli imprenditori che, nonostante le mille difficoltà burocratiche, cercano di ampliare i propri mercati. I campi più favorevoli sono quelli dell’agroalimentare, della nautica e dell’Ict. Per l’agroalimentare la Sardegna è la prima regione italiana come reti di impresa: 94 aziende sarde sono infatti coinvolte in contratti di rete. Di queste 71 appartengono al settore agricolo e, in particolare all’allevamento di animali (33).
Crisi. Quando si uscirà dal tunnel della crisi più lunga degli ultimi anni? Le stime della Banca d’Italia e del Crenos sull’andamento dell’economia in Sardegna fanno capire che ancora non si vede la luce. Con la consapevolezza che dalla fine della crisi passerà ancora un anno prima che le aziende possano ritornare ad assumere.
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C’è chi ha lavoro ma non può lavorare: così l’Italia fa fuggire i capitali stranieri
Claudia Fusani 30/08/14 12:08 La Repubblica on line
Quello che segue vorrebbe essere un promemoria per il premier Matteo Renzi, per il ministro Guardasigilli Andrea Orlando, per tutto il Parlamento, per l’Anm, il sindacato dei magistrati, e le organizzazioni dell’avvocatura. Un esempio di quello che non dovrebbe mai succedere. Un promemoria all’indomani dell’approvazione in consiglio dei ministri della riforma della giustizia civile. E alla vigilia dell’avvio dell’iter parlamentare.
Un imprenditore del Nord investe in Calabria, vuol lavorare, può farlo perché ha ordini e commesse, le competenze e il personale qualificato. E’ convinto anche di avere prospettive interessanti per il futuro perché considera quello “un distretto tecnologico con alte potenzialità”. Situazione ideale, si dirà. Evviva. Peccato che tutto questo rischi di saltare, e comunque ha già accumulato un ritardo insostenibile per un paese evoluto. Non solo, ciliegina finale: ci sono 25 persone, in cassa integrazione da un anno, che potrebbero lavorare già da qualche mese e quindi non gravare più sulla casse dello Stato. Invece no.
La storia va raccontata nel dettaglio. Non mettiamo nomi per evitare che una denuncia costruttiva rischi di essere risucchiata definitivamente nel ghirigoro della paralisi burocratica.
Siamo in provincia di Cosenza. Nel 2006 con un investimento di circa 40 milioni (metà della Comunità europea, metà di privati) nasce un’azienda specializzata in elettronica di alto livello. Un sogno che dura poco. Il fallimento arriva nel giro di pochi anni, 50 persone restano a casa, cassa integrazione. Un guaio perché il know how dell’azienda e di chi ci lavora potrebbe essere tra i più evoluti d’Europa: componentistica elettronica per le telecomunicazioni, l’aerospaziale e l’auto.
Nel 2011, con il fallimento in corso, si trova comunque un investitore straniero, israeliano per l’esattezza, che ci crede, vuole investire in Italia, gli va bene Cosenza, non pesa che sia il Sud, pesa – in positivo – il valore potenziale della fabbrica, il know how di chi ci lavora. Dialoga con il tribunale di Vibo Valentia, competente per il fallimento, affitta fabbrica e macchine, concorda con i sindacati l’assunzione di 25 persone. L’imprenditore israeliano investe un primo milione euro per ripristinare macchinari, impianti produttivi ed immobili (che nel frattempo aveva subito due incendi d’origine dolosa), per corsi di formazione personale (elettronica per impianti sicurezza, prodotto tipico israeliano) ed un altro milione per far ripartire il tutto.
In sei mesi sono pronti a ripartire: ma iniziano i problemi. Burocrazia. Problemi con le dogane. Un esempio: i componenti per la produzione, anziché arrivare dal porto di Tel Aviv direttamente a quello di Gioia Tauro, devono viaggiare via nave fino a Bruxelles e da qui, su gomma, tornare in Calabria. Per non parlare dei pagamenti Iva: pagamento del 21% del valore totale per lo sdoganamento, per materiali che rientrano in Israele dopo 15 giorni. Ostacoli di ogni genere. Complicazioni. Bastoni tra le ruote. A fine 2013 l’imprenditore israeliano conclude che “in Italia, causa burocrazie, tempi lunghi e regole medioevali, non si riesce a gestire in modo competitivo il business”. E, complice la crisi di settore, abbandona l’Italia nonostante l’investimento di due milioni di euro.
E’ la fine di progetto che dava speranza all’intera area.
Ma arriviamo a oggi. All’inizio di quest’anno, un imprenditore, questa volta italiano, decide di dare continuità al progetto. Ancora una volta si punta sul fatto che l’area di Cosenza, grazie all’Università della Calabria (Arcavacata, 40 mila studenti), potrebbe diventare un distretto di eccellenza per l’elettronica avanzata e dare lavoro e sviluppo all’intera zona. Vengono così ripresi i contatti con il Fallimento ed il tribunale di Vibo Valentia (che nel frattempo ha pubblicato due aste, andate deserte) per ripartire inizialmente con l’affitto dell’azienda. Si lavora per ripartire con la struttura che, a differenza del buon vino, “più sta ferma più si danneggia”; si fa un accordo con l’Università per dar lavoro a giovani laureati, si contattano nuovi committenti di altissimo livello.
L’imprenditore italiano ha fretta. I 25 dipendenti, in cassa integrazione, anche: preferiscono lavorare e produrre anziché pesare sulle casse dello Stato e vegetare con la cassa integrazione.
Siamo ai primi di giugno, l’imprenditore vorrebbe ripartire prima delle ferie estive: presenta allora una proposta per ripartire con l’affitto della struttura, i dipendenti vedono riaprirsi una possibilità di lavoro. Mancano solo i dettagli dell’accordo.
Proprio i dettagli, l’applicazione rigorosa di tutti i passaggi burocratici, i pareri di chi era coinvolto nel fallimento, le ferie estive di giudici e curatori: insomma, tutto fermo. Nel frattempo il mondo corre, non aspetta la burocrazia italiana e le sue lungaggini: i dipendenti ed i sindacati, impotenti, chiedono lumi: nessuno risponde. Si aspetta e basta. Per non perdere le commesse l’imprenditore si sta arrampicando sui vetri per rispondere della mancata produzione ai nuovi clienti. “In Romania – spiega – mi hanno proposto terreno gratis, facilitazioni ai finanziamenti , collegamenti logistici, 15 anni esentasse, azienda operativa in una settimana…. se porto là la produzione”.
In Italia servono 10 anni per risolvere un fallimento; siamo al 158° posto nel mondo, dopo Gambia e Mongolia, nella classifica mondiale Doing Business; l’arretrato nel civile supera i 5 milioni di fascicoli, quasi 96 miliardi di euro di mancata ricchezza, tra i 4 e i 5 punti di Pil, quattro o cinque manovre. La storia di Cosenza è solo un granello di questa montagna di spreco e inefficienza. Ma si deve cominciare da qui, da ciò che abbiamo.
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