Creare nuovo lavoro. I fondi europei a questo devono prioritariamente servire. Ma ci sono alcuni ostacoli da rimuovere

Sardegna prodotto inape-innovativadi Franco Meloni
Non possiamo che associarci con convinzione al “grido di dolore” di Pietro Borrotzu e Mario Medde, lanciato come associazione “Carta di Zuri”. Ancora una volta denunciano l’insostenibile situazione della Sardegna rappresentata, dati alla mano (che rinviamo alla lettura del documento) in un “quadro di impoverimento complessivo, di forte disoccupazione e precarietà, di deficit formativo”. Una risposta prioritaria e obbligata è costituita da adeguati investimenti “nel lavoro, nelle competenze, nella formazione e istruzione e in tutta la filiera della conoscenza”. Dunque è tempo di attuare politiche attive del lavoro e della formazione “per sostenere una nuova fase dello sviluppo e per ridurre in tempi rapidi la disoccupazione e la povertà; in primo luogo quella derivante dalla disoccupazione giovanile”. A questo riguardo Borrotzu e Medde sostengono che “la gran parte dei Fondi europei deve essere destinata in via prioritaria a questi obiettivi”. E non vedono particolari ostacoli per fare ciò: “La Regione è in grado, se lo vuole, di garantire efficienza, efficacia e tempestività. La politica è in grado, se lo vuole, di garantire una burocrazia al servizio del lavoro e dello sviluppo. La buona politica dunque è la prima condizione per invertire il senso di marcia, promuovere la crescita e il lavoro, incentivare la ” vita buona”. Proponiamo dunque che le risorse dei fondi europei 2014-2020 vengano spese in tempi rapidi nelle competenze e nella conoscenza, in un piano per il lavoro che consenta a migliaia di giovani di impegnarsi in attività di valorizzazione, risanamento e tutela dell’ambiente e dei beni culturali, archeologici e identitari della Sardegna, in programmi di intervento sociale a favore delle famiglie, degli anziani e dei non autosufficienti”. Il documento continua con una serie di ulteriori raccomandazioni di carattere strutturale. Citiamo la necessità di “politiche di settore e territoriali in grado di rafforzare le imprese, riducendo o eliminando le diseconomie esterne al processo produttivo (energia, trasporti, assetti idrici, servizi alle imprese e lacci e lacciuoli della pubblica amministrazione), intervenendo anche come Regione sull’eccessivo carico fiscale e tariffario, avviando una strategia di livello regionale sul credito e sul rapporto con il sistema bancario. (…)”. Tutte questioni di enorme importanza che vanno affrontate in un approccio complessivo alla situazione sarda. Ma, in questa sede, se volete un po’ riduttivamente, vogliamo soffermarci su una sola questione evidenziata da Borrotzu e Medda, precisamente l’utilizzo dei fondi europei in via maggioritaria e prioritaria per sostenere il lavoro e la formazione dei sardi, a partire dai giovani, ma senza fermarsi ad essi. Delimitando il campo vogliamo essere ancor più mirati, a costo quindi di perdere in complessità, ma con la convinzione di fare ragionamenti utili e concreti. Innanzitutto crediamo che occorra disporre di maggiori informazioni sull’utilizzo dei fondi europei e di più efficaci strumenti di monitoraggio della loro spendita in relazione all’obbiettivo occupazionale e formativo. Per quanto riguarda l’occupazione occorre disporre di una precisa contabilità dei posti di lavoro (o, più genericamente, di tutte le opportunità lavorative) che possono generare l’utilizzo dei fondi. Al riguardo per economia di discorso mi permetto citare un mio precedente intervento su Aladinews, laddove, partendo dalla considerazione che la gran parte dei fondi che verranno stanziati nei prossimi mesi/anni in funzione anticrisi saranno pubblici e affidati alle pubbliche amministrazioni, auspicavo che sulla base degli impegni assunti, i relativi programmi e progetti avessero tutti ben evidenziati insieme alle risorse dedicate e ai tempi di attuazione, l’elenco dei posti di lavoro che attendibilmente genereranno. Soprattutto di questo abbiamo bisogno, perchè la crescita deve essere sinonimo di lavoro, di mantenimento e aumento dei posti di lavoro. E allora, vorremmo che ogni pubblica amministrazione rendesse conto dei programmi e progetti che gestisce o gestirà, dando conto di questa contabilità, in fase di previsione e di effettiva attuazione di detti programmi/progetti. Facciamo un esempio, tanto per capirci: ogni Ente locale, ogni Camera di Commercio, ogni Università, ogni… titolare di progetti finanziati dallo Stato piuttosto che dall’Unione Europea o da altre fonti, dovrà fornire l’elenco dei posti di lavoro (o comunque delle occasioni di lavoro, in tutte le tipologie) che l’attuazione del programma/progetto affidato andrà a generare. Questi dati dovranno essere resi pubblici e sottoposti a periodici monitoraggi, di cui come è ovvio dovranno farsi carico in primo luogo le Organizzazioni sindacali. E i media devono fare la loro parte!
Ecco. Per fare tutto ciò non occorrono molte risorse organizzative in aggiunta a quelle di cui la Regione già dispone, ma occorre attivare una metodologia di monitoraggio e controllo, in tutte le fasi della vita dei programmi/progetti: dalla ideazione, alla progettazione, all’esecuzione e alla valutazione. In argomento, consentitemi ora una considerazione per la comprensione della quale occorre usare qualche tecnicismo. Si tratta di questo: uno degli ostacoli alla creazione di nuove opportunità di posti o semplicemente di occasioni di lavoro attraverso i fondi europei è costituito dalle politiche di accapparramento di risorse da parte degli enti beneficiari (per la definizione di “beneficiari” si faccia riferimento all’apposito glossario dell’europrogettazione). Questi tendono a fare “improprie sinergie” con i fondi europei ai fini di risolvere propri problemi di bilancio. Comportamento legittimo, ma solo in certi limiti. E mi spiego. E’ legittimo rappresentare (e recuperare) una parte dei costi della struttura e del personale strutturato tra i “costi ammissibili” dei progetti, ma questo “recupero” non deve andare oltre un documentato ristoro dei costi sostenuti dagli Enti. Insomma non deve andare a discapito dell’assunzione (in tutte le forme consentite) di nuova forza lavoro. che costituisce uno degli obbiettivi più rilevanti dell’utilizzo dei fondi strutturali (in particolare FSE). Cè pertanto da stabilire opportuni limiti. Soprattutto c’è da esercitare precisi controlli da parte degli uffici regionali deputati alla governance degli interventi. Controlli che devono essere anche sanzionatori, della serie “O ti comporti correttamente, rispettando le direttive europee e non ostacolando gli investimenti in nuovo lavoro, o non puoi essere assegnatario di fondi”. Quanto detto qui comporta anche un adeguamento dei regolamenti regionali (Vademecum vari) e di quelli delle organizzazioni pubbliche che vogliono gestire programmi europei, ma, soprattutto, richiede diversi orientamenti e comportamenti dei vertici degli enti. Nel caso tali organizzazioni non vogliano o non possano adeguarsi occorre cambiare i gestori. Al riguardo vale quanto detto in altra occasione sulle ragioni della scarsa spendita dei fondi europei (e non solo): “una delle ragioni dell’incapacità di ideare e realizzare buoni programmi, sta nel fatto che richiedono adeguate professionalità. Spesso invece molti soggetti “beneficiari” ignorano la complessità dei progetti, banalizzano i problemi e combinano pasticci che rallentano tutto. Tra le iniziative da assumere senza dubbio l’organizzazione da parte della Regione di attività di informazione/formazione per i vertici delle amministrazioni pubbliche che vogliono attuare progetti europei. Sono loro infatti tra i maggiori responsabili del rallentamento della spesa, e, aggiungiamo, della mancata creazione di nuovo lavoro, specie quando insistono a voler fare cose non compatibili con quanto programmato e concordato con la Commissione europea.
Torneremo sulla questione.
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Per correlazione
L’Unione Sarda, 20 agosto 2014
La Maddalena, il tempo è scaduto
L’isola non può più attendere

di Aldo Berlinguer

Si susseguono incessantemente i dati sulla disoccupazione giovanile, sul Pil, sul gap infrastrutturale. Da ultimo i peggiori li ha trasmessi Svimez, che evidenzia l’acuirsi del divario sud-nord. Divario ancor piú grave perché, come evidenzia Eurispes, il sud non sa spendere i soldi che ha. E la Sardegna, se non utilizza al più presto i 350 milioni rivenienti dalla programmazione 2007-2013, non farà eccezione. Non si tratta, com’è evidente, di far fronte solo all’emergenza, di attivare gli ammortizzatori sociali. Se non riusciremo a ridare a quest’isola una prospettiva di sviluppo anche questi si esauriranno e non ci sarà Stato o solidarietà che tengano ad una crisi e a uno spopolamento inesorabili, senza ritorno.
E allora diamoci una mossa. Ci sono nell’isola enormi potenzialità inespresse, luoghi meravigliosi sottoutilizzati, abbandonati, trascurati. Uno di questi, tra i tanti, è La Maddalena. Luogo emblematico, isola nell’isola che ben rispecchia i mali della Sardegna. Così il caro traghetti, un modello di sviluppo fallimentare affidato solo alle forze armate, una cultura di lavoro impiegatizio prevalentemente pubblico, l’abitudine all’assistenzialismo e un’economia indotta, specchio di uno Stato padre e padrone, il cui arretramento lascia solo dipendenza, macerie, disperazione. Eppure le opportunità sono immense e così le potenzialità di investimento, specie a valle dello scandalo del G8: una ferita ancora aperta, che rischia di non rimarginarsi piú. Ad oggi, a fronte di centinaia di milioni di investimento, di strutture completate ed alcune mai utilizzate, di una portualità straordinaria, una bonifica di meno di 15 milioni di euro, che ancora non parte. Nel frattempo, ben oltre 100 milioni il risarcimento del danno che la società concessionaria chiede allo Stato. Quest’ultimo, a sua volta, incassa quasi 600.000 euro all’anno di Imu dagli immobili della Regione, che si accontenta di 60.000 euro l’anno di concessione(!!). Una Caporetto, per la Regione e per la comunità locale (che potrebbe farvi lavorare oltre 100 occupati, senza contare l’indotto).
Un disastro senza eguali che abbiamo ereditato e che però oggi possiamo sanare con poco. Cosa aspettiamo? E cosa accadrà all’ex villaggio club Med di Caprera, di proprietà regionale, da anni abbandonato? E cosa ai caseggiati in rovina di Punta Rossa, ex demanio militare passati alla Regione? Si tratta di luoghi meravigliosi, di centinaia di migliaia di metri quadrati di immobili che potrebbero essere dedicati a un turismo di qualità, offrendo ricettività adeguata e servizi. Alla Maddalena aspettano risposte da anni, non facciamoli più attendere.
Aldo Berlinguer
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