in giro con la lampada di aladin
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Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza).
di Vito Biolchini*
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Lo striscione esposto a Sassari contro le mancate bonifiche dell’Eni: una iniziativa del Comitato No Chimica Verde/No Inceneritore, Comitato Nurra Dentro-Riprendiamocil’Agro, Collettivo artistico Aznamusnart Idee al Pascolo e C.S.O.A. Pangea Porto Torres.
Ferragosto di lotta in Sardegna. A Sassari uno striscione di 25 metri è stato esposto durante la discesa dei Candelieri: “A fora li vel-Eni”. Se il tema che ha dominato nell’opinione pubblica sarda negli anni ’90 e 2000 è stato quello della tutela delle coste (risultando determinante per l’elezione nel 1994 di Federico Palomba e nel 2004 di Renato Soru) oggi l’argomento discriminante è quello dell’inquinamento e delle bonifiche. Discriminante ma non nuovo, giacché l’immagine del vagone ferroviario contenente rifiuti tossici che apriva il saggio di Salvatore Mannuzzu “Finis Sardinia” (nel volume Einaudi “la Sardegna”) è ancora tristemente vivo; ma, appunto, non attuale. Perché adesso l’inquinamento non viene dal mare: ora l’inquinamento siamo noi. Psicanaliticamente, c’è una bella differenza.
Tutto ruota ancora intorno al modello di sviluppo: quello che ha consentito alla Sardegna di uscire tra mille contraddizioni dai secoli della malaria e basato sullo stravolgimento delle campagne e su un carico ambientale impressionante, oggi non è più sostenibile né accettabile. Eppure anche questo esecutivo di centrosinistra e sovranista sembra voler proseguire sulla stessa strada di sempre. La chimica degli anni ’60 è diventata “verde” e per vivere ha la necessità di stravolgere l’agricoltura isolana coltivando a cardo migliaia di ettari. Ministri italiani magnificano il progetto, nel silenzio dell’assessore regionale all’agricoltura e del suo partito, quello che la parola “sovranista” si vanta perfino di averla inventata.
I poligoni militari (e tutti noi sappiamo quanto nel 2003, dopo decenni di manifestazioni, le dichiarazioni di Renato Soru contro la presenza americana a La Maddalena galvanizzarono l’opinione pubblica di sinistra: ma oggi Soru dov’è?) si apprestano a diventare altro pur rimanendo sempre quello che sono: ampi tratti di aria, di terra e di mare dove gli eserciti di tutto il mondo sparano, bombardano e inquinano.
In realtà sarebbe più giusto dire “inquinavano” vista la decisione della Camera di equiparare i limiti tollerati nelle aree militari a quelli, molto più alti, fissati per le aree industriali. Uno scandalo gigantesco (che ha avuto il via libera anche dei parlamentari sardi del Pd Emanuele Cani, Caterina Pes, Giovanna Sanna, Romina Mura, Giampiero Scanu, Siro Marroccu e Francesco Sanna, da quello dei Riformatori Pierpaolo Vargiu e da Roberto Capelli del Centro Democratico) a cui la giunta Pigliaru si è opposta blandamente, delegando all’assessore all’Ambiente Donatella Spano a fare la voce grossa: “La posizione della Regione era stata espressa anche con una nota inviata a tutti i parlamentari sardi” ha dichiarato dopo il voto alla Camera. E ancora: “Non mancheranno interlocuzioni forti con il Governo per arrivare a una soluzione quantomeno accettabile per la nostra Regione”. Perché questa è la giunta del “quantomeno accettabile”. E infatti i poligoni non verranno chiusi ma, come chiedono i militari, cambieranno semplicemente denominazione.
Così come molto difficilmente ci saranno le tanto attese bonifiche. Troppo costose per un paese come l’Italia che ormai non sa più a che buffone affidarsi pur di far finta di ignorare le terrificanti ricadute del fiscal compact. In grande, proprio quel pareggio di bilancio che, pintato da grande conquista, il presidente Pigliaru ha riportato in Sardegna dopo un viaggio a Roma da cui doveva tornare semplicemente con un po’ di soldi nostri. Un trionfo del “quantomeno accettabile”: per il governo italiano, non certo per l’isola.
Il passato non passa. Perfino le miniere di carbone si avviano ad un nuovo futuro di inopinato splendore, grazie al solito “centro d’eccellenza” sulle “energie pulite” (e cos’altro, d’altronde?), un polo “di ricerca avanzata” nelle miniere di Serbariu e di Carbonia dove verranno studiate e applicate “ tecnologie per l’uso sostenibile di combustibili fossili, l’efficienza energetica nell’edilizia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili con sistemi di accumulo e la valorizzazione energetica dei rifiuti e degli scarti della chimica verde”. Trenta milioni di euro per un clamoroso ritorno al passato, grazie ad un’intesa firmata dalla Regione con Ministero dello Sviluppo Economico, Enea e Sotacarbo.
Eppure c’è ancora chi alla logica del ”quantomeno accettabile” si ribella e lo striscione di Sassari lo dimostra. L’isola è un pullulare di comitati e di gruppi che dal basso si oppongono allo sfruttamento del territorio, che chiedono un modello di sviluppo diverso e un cambio di rotta deciso.
Ma allora, se c’è tutta questa mobilitazione, perché questo è un Ferragosto di lotta e di poca speranza? Perché tutte queste lotte stentano a trovare una sintesi politica, una bandiera che le raccolga in maniera decisa e autorevole. Questo esecutivo fatica o non vuole proprio interpretare le istanze di rinnovamento deciso che arrivano dalla società sarda. E anche i sovranisti, che soprattutto del Pd dovevano essere un forte contraltare, al momento devono portarsi a casa in silenzio l’accusa di volere “uno Stato sardo per il futuro, la dipendenza solita per il presente” (come ha scritto oggi sull’Unione Sarda Alessandro Mongili).
Ci vorrà un lungo lavoro per creare le condizioni necessarie per far sì che cento teste mettano tutte la stessa berritta. Ma è l’unica battaglia politica che oggi in Sardegna merita di essere combattuta (magari a partire dalla manifestazione contro le servitù militari il prossimo 13 settembre a Capo Frasca).
Buon Ferragosto a tutti.
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* Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza). Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Per connessione
Fernando Codonesu. Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sardegna
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