E il lavoro?

ape-innovativa2Partendo dalla considerazione che la gran parte dei fondi che verranno stanziati nei prossimi mesi/anni in funzione anticrisi saranno pubblici e affidati alle pubbliche amministrazioni, vorremmo che sulla base degli impegni assunti, i relativi programmi e progetti avessero tutti ben evidenziati insieme alle risorse dedicate e ai tempi di attuazione, l’elenco dei posti di lavoro che attendibilmente genereranno. Soprattutto di questo abbiamo bisogno, perchè la crescita deve essere sinonimo di lavoro, di crescita dei posti di lavoro. E allora, vorremmo che ogni pubblica amministrazione rendesse conto dei programmi e progetti che gestisce o gestirà, dando conto di questa contabilità, in fase di previsione e di effettiva attuazione di detti programmi/progetti. Facciamo un esempio, tanto per capirci: ogni Ente locale, ogni Camera di Commercio, ogni Università, ogni….  titolare di progetti finanziati dallo Stato piuttosto che dall’Unione Europea o da altre fonti, dovrà fornire l’elenco dei posti di lavoro (o comunque delle occasioni di lavoro, in tutte le tipologie) che l’attuazione del programma/progetto affidato andrà a generare. Questi dati dovranno essere resi pubblici e sottoposti a periodici monitoraggi, di cui come è ovvio dovranno farsi carico in primo luogo le Organizzazioni sindacali. E i media devono fare la loro parte!
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IN ARGOMENTO
L’Isola affonda, ora che si fa?
Attese, morti e indecenze. Anthony Muroni, su L’Unione Sarda.

Prima ancora che dei dati forniti dalla Confesercenti sarda c’è forse da preoccuparsi di quel che è sotto i nostri occhi. Quanti cagliaritani sono stati di recente in via Garibaldi e via Manno, le due strade-simbolo dello shopping cittadino? Tutto, o quasi, è chiuso. 
Quanti turisti o sardi “fuori sede” sono stati negli ultimi giorni a San Leonardo, a Cala Gonone, a Bosa o nel Sulcis? I ristoratori, i baristi, i negozianti raccontano che tenere aperto è diventato un atto di fede.
La Sardegna muore un poco ogni giorno soprattutto perché nessuno ha un piano innovativo per ribaltare tutto e provare a tenerla in vita. Vogliamo dare per caso la colpa alla Giunta regionale che ha vinto le elezioni sei mesi fa? Sinceramente è ancora troppo presto. Possiamo, però, darla all’intero sistema che si è avvicendato negli ultimi venti anni: politica e sindacato, anzitutto. Quando è finita l’epoca dell’assistenzialismo e della spesa pubblica – si può datare l’evento attorno al 1992, con l’avvento del governo Amato (quello della prima manovra “lacrime e sangue”, quello del prelievo notturno sui conti corrente) – nessuno ha pensato che occorreva creare un sistema socio-economico alternativo. Era impopolare parlare di una macchina pubblica sovradimensionata, era ed è più facile caricare di tasse chi prova a lavorare, producendo benessere e posti di lavoro.
Si è pensato che prima o poi la nottata sarebbe passata – per effetto di chissà quale miracolo – e che il partito della spesa pubblica allegra avrebbe potuto continuare imperterrito a creare debito, clientele e indegne rendite di posizione. Si è lasciato che la burocrazia soffocasse il sistema, sposandosi con le tasse e le varie ingiustizie territoriali, nate all’ombra delle spese pazze di troppe Regioni, di troppe Province e di troppi Comuni, per tacere di altre decine di enti pubblici inutili, creati al solo scopo di dilatare le poltrone e le assunzioni facili. 
I ventenni del 1992 sono oggi quarantenni e molti di loro sono disoccupati come allora. Di loro non si occupa praticamente nessuno.
Che fare? Qualche politico rivendicherà le misure-tampone prese a favore delle imprese: zero Irap, le più fantasiose zone franche e i più improbabili – e inestricabili – bandi e microbandi. La verità vera è che si tratta di pannicelli caldi che non sono serviti a nulla e che ancora meno serviranno in questo tempo di carestia. Non serve essere grandi economisti per capire che le aziende muoiono non solo per il carico fiscale o burocratico ma per l’assenza dell’unico elemento realmente necessario a un sistema economico sano: il cliente in grado di spendere. Tanti, troppi, sardi conoscono l’indigenza e stanno sotto (o ai limiti) della soglia di povertà, tantissimi tirano avanti grazie alle pensioni di genitori o nonni. Con quale faccia possiamo chiedere a queste persone di alimentare l’economia, di consumare, di assecondare i progetti di crescita del Pil – computati a tavolino – dei burocrati europei e di troppi governanti locali o nazionali?
Non è una Sardegna per vecchi e neppure per giovani. Questa è un’Isola per gente senza età, senza pudore né pietà. Cos’altro potremmo dire pensando ai vergognosi vitalizi d’oro che il Consiglio regionale ha recentemente liquidato a persone ancora in forze e dunque potenzialmente capaci di mettersi sul mercato del lavoro, condividendo i sacrifici e i disagi delle persone normali? Cos’altro potremmo aggiungere pensando a un sistema che vuole solo perpetuarsi ed è capace di produrre una solidarietà (concreta) per bande o gruppi e una (di facciata) per le moltitudini? Chi può, faccia. Avendo il coraggio di prendere di petto su connottu . 

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03 agosto 2014

«Zona franca, proviamo a riparlarne»- Cherchi e Berlinguer: tema avvelenato dall’utilizzo nelle campagne elettorali

Un’opportunità o un mito. Due strade differenti che rappresentano un bivio cruciale, quando si tratta di zona franca. L’argomento è stato oggetto di dibattito a Santu Lussurgiu (grazie al comitato guidato da Mariano Lo Piccolo), in occasione della presentazione del libro scritto da Aldo Berlinguer, docente universitario e assessore regionale in Basilicata, e Tore Cherchi, ex presidente della Provincia Sulcis.
Numerosi gli ospiti, coordinati dal direttore dell’Unione Sarda, Anthony Muroni. Negli ultimi tempi l’argomento è oggetto di diatriba soprattutto politica, più che argomento istituzionale. Un aspetto evidenziato da Muroni che ha parlato di «svilimento durante la campagna elettorale a discapito di altri diritti su cui la politica si dovrebbe soffermare». Il riferimento è al «principio di insularità che ci è stato riconosciuto e attraverso il quale è possibile ottenere benefici».
Aldo Berlinguer sostiene la tesi che la zona franca non deve essere figlia del dibattito politico e offre alcuni spunti: «In tutte le zone franche del mondo lavorano circa 80 milioni di persone. C’è lo strumento legislativo per istituirle, ma la campagna elettorale e alcuni provvedimenti estemporanei hanno spazzato via questa possibilità». Andrea Quattrocchi, della fondazione Ukmar, ha spiegato le numerose tipologie di zona franca oggetto di una ricerca commissionata dalla Regione: «Un’opportunità riguarda le zone franche per le imposte dirette, ma serve un piano perché azzerando l’Irap le amministrazioni dispongono di un minor gettito, che non può essere colmato dallo Stato per il divieto dell’Ue».
Il consigliere regionale Pd Antonio Solinas riconosce ai comitati il merito di aver sollevato l’argomento, anche se nella passata legislatura «è stato utilizzato da Cappellacci per la campagna elettorale». Lo studioso Mario Carboni ha poi definito quella per la zona franca «una battaglia che passa attraverso la politica». (mat. s.)

2 Responses to E il lavoro?

  1. […] generare l’utilizzo dei fondi. Al riguardo per economia di discorso mi permetto citare un mio precedente intervento su Aladinews, laddove, partendo dalla considerazione che la gran parte dei fondi che verranno stanziati nei […]

  2. […] generare l’utilizzo dei fondi. Al riguardo per economia di discorso mi permetto citare un mio precedente intervento su Aladinews, laddove, partendo dalla considerazione che la gran parte dei fondi che verranno stanziati nei […]

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