in giro con la lampada di aladin…
Italia vs Sardegna: la sfida che Pigliaru sta perdendo e che i sovranisti non vogliono accettare
by vitobiolchini
- I poligoni non si toccano. Nicolò Migheli su SardegnaSoprattutto
- La Sardegna verso l’irrilevanza istituzionale. Salvatore Cubeddu sul sito della Fondazione Sardinia
- JP Morgan all’Eurozona: Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste. Su wall street Italia
- Ex Manifattura Tabacchi: tra polvere e speranze nasce la Fabbrica della Creatività. Reportage. Ecco cosa si nasconde dietro il grande cantiere in pieno centro a Cagliari. I lavori dovrebbero terminare a fine anno. Carlo Poddighe su Cinemecum.
Italia vs Sardegna: la sfida che Pigliaru sta perdendo e che i sovranisti non vogliono accettare
by vitobiolchini
Sarà anche vero che, come ha detto il leader del Partito dei Sardi e assessore regionale ai Lavori pubblici Paolo Maninchedda, “l’elefante si mangia a morsi e non tutto intero” ma è anche vero che nessun elefante si fa mangiare da vivo; quanto meno bisognerebbe prima catturarlo. Ora chi sia l’elefante è chiaro a tutti: è lo Stato italiano. Che nei confronti della Sardegna assume però molteplici fattezze che neanche Zeus nell’epica classica. E così come padre degli dei si trasformava in mille modi soprattutto per ingannare belle fanciulle e giacere con esse, allo stesso modo (ma meno prosaicamente) l’elefante tricolore si manifesta alla Sardegna ora sotto forma di vertenza entrate, ora di poligono militare, ora di ministro allo sviluppo economico, ora di presidente dell’Anas, ora di emiro qatariota, ora di commissario per la peste suina e via elencando.
Le metafore alla lunga stancano o rischiano di non essere capite, ma è sconcertante come il presidente Pigliaru possa presentare ai sardi l’accordo sottoscritto sul pareggio di bilancio come se fosse un “grande successo” nei rapporti con lo Stato quando lo stesso Stato, nelle stesse ore, immagina di raddoppiare il poligono militare di Teulada, continua a non impegnarsi sul fronte del rilancio industriale, provoca danni ai nostri allevatori con lo scandalo dei vaccini della lingua blu, immagina di depotenziare l’autonomia speciale, e questo solo per elencare alcune delle questioni aperte che trovano spazio nei giornali di oggi.
Se il sovranismo è governare la Sardegna come se fosse uno stato, la Sardegna avrebbe bisogno di un presidente della Regione in grado di trattare alla pari con lo stato italiano mettendo sul tavolo tutte le questioni aperte e trattandole sia specificamente che all’interno di un ragionamento globale. È esattamente quello che il presidente Pigliaru non sta facendo.
Adesso invece ogni vertenza continua ad avere il suo tavolo, ogni problema interlocutori diversi, e per ciascuno di essi la fregatura è sempre dietro l’angolo. No, così la Sardegna è destinata a vincere una battaglia su dieci. Se anche si riuscirà a salvare la nostra specialità, con questo modo di fare politica a venire meno è la nostra autonomia sostanziale.
Il caso più emblematico è quello dello statuto di autonomia. È inutile fare il riassunto delle puntate precedenti, ma è chiaro a tutti che la politica renziana prevede un accentramento dei poteri e una mortificazione delle autonomie locali. Nei fatti, l’attuale maggioranza che governa la Sardegna sta assecondando il disegno del presidente del Consiglio, non attivando quelle procedure in grado di consentire all’isola di riscrivere lo Statuto, prendendo in contropiede la maggioranza che governa a Roma. Tutto ciò avviene in maniera consapevole perché è solo in questo modo che le élite partitiche isolane potranno consolidare il loro ruolo di mediazione con i poteri nazionali.
Ma se il presidente Pigliaru rinuncia a comportarsi come se fosse il presidente dello stato sardo, se la Regione perde la testa dietro ai mille tavoli della crisi che non trovano mai sintesi politica, se la forza del Pd è tale che non si è in grado di opporsi con forza neanche al tentativo occulto di assecondare il neocentralismo renziano, che ci stanno a fare i sovranisti nella maggioranza e nella giunta che sostiene Francesco Pigliaru?
La domanda non vuole essere provocatoria perché è chiaro che la politica è fatta di rapporti di forza, di voti e di consiglieri regionali. È fatta però anche di idee (che oggi il Pd e Sel non hanno) che possono smuovere settori della società sarda oggi estromessi dal dibattito e dal confronto. Queste idee nel mondo che in Sardegna si riconosce nel sovranismo e nell’indipendentismo ci sono. Perché non provare a riunirle?
Che i sovranisti che sostengono Pigliaru possano anche non incidere sulle grandi questioni ci può anche stare (fino ad un certo punto però, perché c’è sempre un momento in cui la corda si deve spezzare), ma che non stiano lavorando politicamente per creare una alternativa a questo al Pd no, questo non è più scusabile.
Con il passare delle settimane è sempre più evidente che quella incarnata dal presidente Pigliaru è un’esperienza che non lascerà il segno, che è solo una parentesi politica frutto della confusione nella quale il sistema politico isolano si è trovato tra il 2012 e il 2013. Il rischio è anzi che su alcune partite la regressione sia netta e che anche quel poco di margine di manovra che Pigliaru ha attualmente verrà meno dopo il congresso regionale del Pd.
Ora, la sfida per i sovranisti sta tutta qui: mettere le basi per un grande soggetto in grado di guidare il cambiamento oppure accontentarsi di navigare nelle acque basse (bassissime) della politica, avanzare divisi, ed essere, nel migliore dei casi, una voce che grida nel deserto.
Come si può capire anche da una lettura distratta dei giornali, la situazione sta precipitando e se non si fa in fretta anche quelle parti più credibili del fronte sovranista saranno travolte dagli eventi, cioè dalle quattro bombe ad orologeria che lo stato italiano ha piazzato in Sardegna: sanità, entrate, statuto, servitù militari.
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Nicolò Migheli ha condiviso un link tramite Alan Batzella. Su fb
Il problema non e’ solo una questione di reticenza fiscale e di incremento della competivita’ commerciale, stando alla loro spiegazione, bensi’ anche di “eccesso di democrazia” che va assolutamente ridimensionato. L’elite finanziaria internazionale lascia intendere che se i paesi del Sud d’Europa vogliono rimanere aggrappati alla moneta unica devono rassegnarsi a rinunciare alla Costituzione.
JP Morgan all’Eurozona: Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste
www.wallstreetitalia.com
Il team di analisti lo dice senza grandi giri di parole: Dovete liberarvi delle leggi sinistroidi e antifasciste. Austerita’ fara’ parte del panorama europeo per un periodo molto prolungato.
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Dal sito della Fondazione Sardinia
La Sardegna verso l’irrilevanza istituzionale. Salvatore Cubeddu sul sito della Fondazione Sardinia
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA. Il lavoro della commissione ‘autonomia’ va verso il fallimento. Il PD non vuole un nuovo statuto per la Sardegna.
Segnatevi la settimana politica che si chiude: potrebbe restare nella storia come quella durante al quale è stata mandata in vacanza l’autonomia speciale della Sardegna (ed ogni forma di sovranismo e/o indipendentismo) per i prossimi decenni. Non si illudano coloro che avevano tirato un sospiro di sollievo di fronte alle novità che qualche giorno prima venivano da Roma: la specialità di cinque regioni italiane potrà forse recuperare qualche potere esclusivo in più, è possibile che a loro per ora non si applichino delle norme che interesseranno invece le regioni ordinarie, probabilmente lo Stato accetterà di andare ad un’intesa con ciascuna delle regioni speciali. Certo, c’è da prendere in considerazione tutto il processo di centralismo in atto. Ma quello che il Consiglio regionale di mercoledì 23 scorso ha detto ai sardi è che ‘la maggioranza della maggioranza’ che governa la Regione, cioè, il Partito Democratico che opera e governa in Sardegna, non intende lavorare per la stesura di un nuovo statuto ma solo, quando ne sarà obbligato, adeguare quello che c’è alla fase successiva alle scelte romane. Recepirà, non si vergognerà di avere, una semplice legge ‘ottriata’, ricevuta e accettata dalla sovranità della sua centrale romana, di partito e di Stato. A loro va bene lo statuto che c’è, basterà ‘aggiornarlo’. Griderà, invece, al vento che i Sardi vogliono essere governati ‘con efficienza ed efficacia’, e che per questo serve e basta una legge statutaria: quella già cambiata tre volte in cinque anni, perché si tratta di mediare tra i poteri interni alla Regione, prima e più che per gli interessi del cittadino. Come se di sola statutaria si mangiasse e con lo statuto invece si giuocasse.
Con le dichiarazioni dei suoi componenti e del suo assessore è venuto finalmente in chiaro che la questione degli ultimi decenni non era il come dare una nuova costituzione ai Sardi (il PD è stato sempre il vero nemico dell’assemblea costituente) ma lo svolgimento stesso del compito: se farlo questo statuto ex novo, come da decenni si chiede e si scrive.
Osservazioni così esplicite non le sentirete da nessuno: perché – tranne una breve cronaca de La Nuova Sardegna – i media non ne hanno parlato; perché in Italia mancano quasi due anni alla conclusione del processo riformatore e gli appuntamenti sembrano o troppo vicini o troppo lontani; perché queste cose ancora non si possono dire apertis verbis, ma solo ritardando l’agire, lasciare che una Sardegna debole scivoli nell’indifferenza della propria agonia istituzionale.
Cosa ci porta a conclusioni apparentemente così affrettate (oltre i dati che abbiamo sotto gli occhi: la ministra che commissiona la regione invece che le direzioni del proprio ministero, i generali che raddoppiano il saccheggio del nostro territorio, l’accelerazione di Matrica per la conquista delle nostre pianure)? Quattro considerazioni:
1. Due anni – e fosse pure un anno e mezzo – consentirebbero ai sardi di utilizzare la grande mole di materiale elaborato per scrivere un nuova loro carta costituzionale sia tramite l’assemblea costituente sia da parte del Consiglio, o anche individuando una efficace divisione dei lavori tra i due. Ad un Consiglio informato e volenteroso non mancherebbe né il tempo né gli strumenti. Se si fosse voluto intraprendere questa strada, perché mercoledì scorso non si è steso un cronogramma dei lavori? Perché ci si è persi in frasi senza impegno né verifica?
2. La scelta dell’attendismo farà slittare ogni decisione a settembre, cioè a dopo la metà del mese, quando saranno in arrivo sia un delicato appuntamento istituzionale (la riforma degli enti locali) e sia un ancora più difficile congresso del PD. Da ottobre alle feste due mesi sono facili da passare, arrivando al 2015 in cui dichiarare solennemente che non c’è più tempo. Che i soliti, con la ‘mattana’ del nuovo statuto, si mettano l’animo in pace…
3. Ma arriverà la resa dei conti. Con quale piattaforma istituzionale il Consiglio regionale della Sardegna – o una sua maggioranza – andrà al confronto con lo Stato? Che immagine/progetto sulla Sardegna dei prossimi decenni presenterà ai propri cittadini e quindi ai cittadini italiani-europei, del mondo e alle loro istituzioni? Come difenderà, la Giunta ed il Consiglio controllato dal PD, gli interessi sardi quando i generali decideranno di dirci chiaramente che la Sardegna è terra italiana e qui fanno e disfano come loro aggrada? E quando non ci sarà terra irrigata, perché tutta lavorerà per l’Eni, e dopo qualche decennio questa terra super sfruttata e concimata diverrà inutilizzabile per qualsiasi agricoltura? E quando per l’energia … Il potere sul proprio destino istituzionale equivale al diritto al proprio pane.
4. A settembre, nel Consiglio regionale ci si scannerà sulla riorganizzazione degli enti locali, province e comuni. Sarà una lotta fratricida, senza una bussola per comporre gli oggettivi interessi in competizione. La soluzione può venire solo da una proposta che progetti e descriva una Sardegna del futuro, dove tutte le istituzioni locali ritrovino ruolo e protagonismo, le città come pure tutti i piccoli comuni. Un’idea della Sardegna, appunto. Quella che il Partito Democratico sembra non volere o non riuscire a tirare fuori.
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