Rompere gli schemi e azzardare perché la Sardegna abbia futuro

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ape-innovativa2di Franco Meloni
“Il nostro Dio è Dio delle sorprese: ogni giorno ce ne fa una. Dio è così, Dio rompe gli schemi: se non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti. Perché Dio ci spinge a questo, a essere creativi verso il futuro”.
Questa bella frase che papa Francesco ha detto sabato nella sua visita in Molise, anche se vogliamo leggerla in una versione laica, indica la strada che oggi dobbiamo percorrere in tutti i contesti. Limitiamoci alla Sardegna per dire che l’attuale situazione di crisi drammatica non può essere superata con i consueti strumenti, sia pure utilizzati nel modo più efficiente e razionale possibile. E’ quanto ci sembra stia facendo l’attuale governo regionale. Non basta, anzi potrebbe essere tutto inutile. Sì, perché si tratta di rispondere a problemi che hanno una enorme e straordinaria rilevanza. Ci riferiamo innanzitutto alla crisi demografica, cioè al fatto che i nuovi nati a cui aggiungere i nuovi arrivi non riescono complessivamente a superare i morti sommati a coloro che emigrano. Le conseguenze cominciano a mostrarsi con il progressivo abbandono dell’agricoltura (non compensato dal significativo interesse di molti giovani al settore) e la prevedibile chiusura di alcuni comuni sardi per mancanza di abitanti. Una situazione che può essere contrastata solo attuando una innovativa politica di accoglienza, che sappia integrare nuovi emigranti, in massima parte giovani, con le popolazioni, dando ad essi abitazioni e lavoro, in modo particolare nel settore agricolo. E’ quanto sostenuto da tempo da valenti studiosi, per citarne uno tra essi, il prof. Giuseppe Pulina, dell’Università di Sassari. La proposta è stata recentenente ripresa dal prof. Andrea Saba (anch’egli illustre docente, ora in pensione, di Economia Industriale alla “Sapienza” di Roma, allievo di Paolo Sylos Labini), in un intervento su La Nuova Sardegna. Ci rendiamo conto che non sono cose di poco conto, ma appunto perché difficili e complesse vanno affrontate con tempestività e con capacità politica e organizzativa. Si tratta di costruire piani di grandi dimensioni e complessità che devono coinvolgere molti soggetti pubblici e privati. Parlando delle istituzioni questa è senza dubbio la maggiore criticità: far lavorare insieme, in modo coordinato, più amministrazioni. Le risorse esistono, anche se vanno organizzate in relazione a programmi ben strutturati. Sono prevalentemente fondi europei, a cui si aggiungono i cofinanziamenti statali e regionali, e, auspicabilmente, anche privati.
Riuscirà l’attuale governo regionale a proporre programmi di così grande dimensione, con tutto l’azzardo che necessariamente ciò comporta? Sospendiamo il giudizio in attesa di notizie al riguardo, ovviamente in tempi brevi.
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- Economia e immigrati. Far rinascere i paesi fantasma con l’agricoltura plurietnica. Si potrebbe ottenere allo stesso tempo il recupero dei campi e quello demografico, necessario una specifico progetto regionale. Gli esempi da seguire. Di Andrea Saba.
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G Pulina intervistato da Aladinews- 13 marzo 2015 Aladinews. Intervista a Giuseppe Pulina, a cura di Franco Meloni. L’EUROPA 2020 E LE PROSPETTIVE DELL’AGRICOLTURA SARDA – Sala Conferenze Banco di Sardegna, Cagliari (a cura di www.aservicestudio.com)
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- Riflessioni sul convegno Caritas-Migrantes di presentazione del dossier immigrazione 2012. Cosa fare in (e per la) Sardegna? Di Franco Meloni
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- Barbagia a rischio estinzione. Giuseppe Pulina: «La soluzione? Accogliere quindicimila coppie di immigrati».
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- Per i 150 della Camera di Commercio. Di Franco Meloni (https://www.aladinpensiero.it/?p=1158)
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- Dibattito: rompere gli schemi e azzardare perché la Sardegna abbia futuro. Ecco come la pensa Nicolò Migheli.

One Response to Rompere gli schemi e azzardare perché la Sardegna abbia futuro

  1. aladin scrive:

    12 luglio 2014 l
    L’Unione Sarda

    Alla Sardegna serve l’industria. In 5 anni bruciati 11.000 posti, ma resta un settore vitale – Mereu: puntare su qualità e innovazione per competere sui mercati

    È un tracollo generale. L’industria sarda archivia cinque anni disastrosi (dal 2009 al 2012), nei quali ha perso 11 mila posti di lavoro e due punti e mezzo di Pil, e guarda al futuro con poche speranze, quasi tutte riposte sul settore “ecosostenibile” e sui finanziamenti europei previsti per il periodo 2014/20. Il bilancio tracciato dal Crel, il Consiglio regionale dell’Economia e del Lavoro, e riassunto in un documento diffuso ieri, è impietoso, ma concede anche una certezza: la Sardegna non può rinunciare al comparto industriale, sebbene ora sia agonizzante. «La scomparsa della grande industria comporterebbe non solo un’ulteriore diminuzione dell’occupazione e il conseguente crollo dei crediti, ma anche un drastico calo del livello medio della produttività», ha spiegato Gino Mereu, presidente della commissione che ha elaborato il rapporto. 
    I grandi stabilimenti possono quindi ancora oggi occupare migliaia di persone e risollevare economicamente intere aree del territorio sardo. L’organo regionale non ha infatti trascurato le «oasi felici» in questo immenso deserto produttivo: la Generale conserve (Asdomar a Olbia), la Portovesme srl, l’Eni e la Novamont. Realtà solide e sane da cui prendere esempio. «La sfida per la Sardegna», ha aggiunto Antonio Piludu, presidente del Crel «sarà quella di riuscire a cogliere l’importante opportunità rappresentata dalla nuova stagione di programmazione europea. Bruxelles ci chiede un’industria moderna, ancorata alle tematiche ambientali e in continua innovazione tecnologica». Per raggiungere questi standard, ha ricordato Piludu «nei prossimi anni saranno disponibili oltre cinque miliardi di euro tra fondi europei e nazionali, fondamentali per creare prospettive di sviluppo».
    La ripresa passa quindi soprattutto attraverso le scelte di qualità e innovazione. «In questo modo», sottolinea Mereu «sarà possibile competere su mercato locale, nazionale e internazionale». Il Consiglio, però, contemporaneamente ammonisce le istituzioni. «Non si può scaricare sulla crisi internazionale la responsabilità della situazione attuale», si legge nel documento «che ha solo reso più evidenti i ritardi strutturali e infrastrutturali dei quali il sistema produttivo sardo ha sempre sofferto». Carenze rilevate e denunciate dal Crel in tutti i suoi anni di attività. Un messaggio non troppo subliminale inviato al Consiglio regionale al lavoro in questi giorni sul taglio delle spese superflue, tra le quali i 300 mila euro destinati proprio al Consiglio regionale dell’Economia e del Lavoro.

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