DIBATTITO su Galsi e oltre… Metaniere + Rigassificatori sono un’alternativa ad altissimo rischio
Come contributo al dibattito in corso, pubblichiamo uno scritto sui rischi del trasporto del gas con le metaniere (sistema alternativo al gasdotto via mare), al quale si associa la realizzazione di almeno 2 rigassificatori. Lo scritto risale al 1988 e contiene una serie di informazioni aggiornate rispetto all’epoca. Mettiamoci allora in caccia di dati aggiornati ai nostri giorni.
Scrive il prof. Mario Silvestri (compianto docente del Politecnico di Milano 1.) nel suo libro “Il futuro dell’energia” (Edizioni Boringhieri, 1988), pagg.128-129 (…) Il più grave incidente possibile con gas naturale è legato al suo trasporto via mare con metaniere. Nel 1986 51,6 miliardi di metri cubi di metano sono stati trasportati in questo modo: 38,9 verso il Giappone, 12,9 verso l’Europa e 0,1 altrove. Metaniere da 100.000 m3 di metano liquido trasportano un potenziale energetico enorme, che può anche esplodere, se una concatenazione molto improbabile ma non impossibile di eventi si succede in maniera perversa. Ad esempio, in una collisione, una metaniera danneggiata potrebbe rovesciare in mare parte del suo contenuto di metano liquido. E, mentre questo ribolle a contatto dell’acqua di mare molto più calda, la metaniera stessa, in cui la pressione del gas liquido aumenta perché la valvola di scarico del vapore di metano può risultare insufficiente a smaltire il metano che evapora all’interno, si spezza rovesciando sull’acqua l’interno contenuto. Il metano liquido divenuto gas, pur espandendosi e ribollendo, rimane aderente alla superficie del mare, poiché la sua temperatura molto bassa lo rende più denso dell’aria (circa una volta e mezza) e solo lentamente esso si riscalda, mescolandosi nell’aria, con cui forma miscela esplosiva, se la sua percentuale è compresa tra il 5% e il 15%. Una brezza può spingere questa infernale mescolanza verso terra e, alla prima scintilla, si ha una gigantesca esplosione o una serie di gigantesche esplosioni, con un equivalente esplosivo, nei casi peggiori, dell’ordine di un megatone. Tanta energia, sviluppata in fronte ad un centro abitato come Genova o Napoli o Venezia, oltre a distruggerlo completamente, innescherebbe incendi, coinvolgenti quantità di energia persino superiore a quella sviluppata dall’esplosione, indomabili per la messa fuori servizio di tutti i servizi antincendio. Nulla di ciò può avvenire in un disastro nucleare, pur avendo questo in comune con il precedente la liberazione di sostanze cancerogene.
Tale situazione è stata messa in evidenza, anche se studiata solo in parte, perché non si è mai spiegato che, in simile conflagrazione, le sostanze oncogene si formerebbero in grandi quantità, spargendosi nel mondo, senza che alcuno sia attrezzato e abbia intenzione di attrezzarsi a misurarle. Rischi di poco inferiori sarebbero legati alla costruzione di grandi serbatoi di metano liquefatto, che sarebbe necessario creare per avere una infrastruttura di deposito a terra, qualora si espandesse eccessivamente l’impiego di metano a spese della altre fonti energetiche; a questo punto, infatti, non sarebbe più sufficiente l’uso di giacimenti metaniferi italiani, come caverne di contenimento di sufficienti quantità di gas, pulsandone la pressione fra un valore minimo e un valore massimo. Quanto alla rete metaniera, esso è un serbatoio di modestissima capacità, visto che i 20.000 km di tubazioni della sezione di 1 m2, oscillanti in pressione d 10 atmosfere, equivalgono a un serbatoio di 200 milioni di metri cubi. Applicando questi numeri all’Italia, si vede che la rete è sufficiente per la pendolazione giorno-notte, ma come serbatoio non può fornire più di due giorni del fabbisogno.
1. Mario Silvestri, 1919-1994, ingegnere e storico, ordinario di impianti nucleari, poi di fisica tecnica e quindi di energetica nella Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, medaglia d’oro del Collegio degli ingegneri e Architetti di Milano.
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