Entrate e Statuto: Pigliaru, da chi vuoi farti aiutare? Solo dai partiti o anche dai sardi?
16 maggio 2014 alle 00:11 1
Ma il presidente Pigliaru da chi vuole essere aiutato nel suo immane sforzo teso al cambiamento della Sardegna? La sua giunta è frutto di un certosino lavoro di cencellizzazione, gli uffici di gabinetto sono stati tutti lottizzati dai partiti della maggioranza di centrosinistra e sovranista (con qualche concessione perfino ai partiti dell’attuale opposizione), dopodiché quando si arriva alle nomine fiduciarie dei direttori generali si ripropongono (e si premiano) anche professionalità che si sono già distinte nella precedente esperienza del centrodestra? Perché?
È chiaro che stiamo parlando di dirigenti capaci: ma perché quando si sceglie di non affidarsi né al manuale Cencelli né alla lottizzazione si pesca dal campo avversario dicendo “Ma sono bravi”? Non ce ne sono dirigenti bravi che non hanno avallato le grandi porcherie dell’amministrazione Cappellacci, e che sono di orientamento progressista? Perché, quando si esce dal binomio cencellizzazione/lottizzazione, l’alternativa viene trovata nel centrodestra?
Così l’opinione pubblica viene scombussolata da scelte non comprensibili. Che ci fa l’ex direttore generale della presidenza degli anni di Cappellacci all’assessorato ai trasporti? Se il presidente riteneva che non ci fosse più un rapporto fiduciario, perché invece questo rapporto si ritiene che ce l’abbia un assessore? Tutto ciò non è logico.
E perché un ex candidato di Forza Italia è stato nominato dalla giunta Pigliaru alla guida del collegio dei revisori dei conti di Sardegna Ricerche?
C’è qualcosa che non torna, è evidente. La giunta peraltro opera ancora in maniera molto discontinua, con alcuni assessori che marciano già a pieno regime (Maninchedda, Paci ed Erriu su tutti, ma anche Demuro ha già inquadrato i problemi), altri già preda delle loro contraddizioni (Deiana e Morandi), altri ancora tremendamente incerti (Arru alla Sanità), altri invisibili (Mura al Lavoro) ed altri ancora (come Falchi all’Agricoltura, Firino alla Cultura, Piras all’Industria e Spano all’Ambiente) che sinceramente sembrano faticare più del dovuto ad entrare nel ruolo (“e forse mai ci entreranno…” dicono i più cattivi).
A due mesi dall’insediamento mezza giunta è ancora ai blocchi di partenza, i segnali che giungono sono contraddittori e non c’è da essere molto ottimisti. Anche perché tempo non ce n’è, sia perché la crisi impone decisioni rapide, sia perché l’orizzonte temporale di questo esecutivo non coincide con la durata quinquennale della legislatura, incombendo sul Consiglio regionale i ricorsi (che tutti danno per vittoriosi) e che fra un anno e mezzo cambieranno la geografia dell’aula.
Pigliaru ha quindi diciotto mesi per fare tutto, e cioè essenzialmente due cose: recuperare risorse attraverso la vertenza con lo Stato e ridefinire gli assetti istituzionali della Regione, sia nei confronti dello Stato sia nei confronti del sistema delle autonomie locali, completamente da ridisegnare, possibilmente attraverso il varo di un nuovo Statuto di Autonomia.
Entrate e Statuto: sono due questioni di portata storica e ormai non più eludibili, sia perché se questa giunta non recupera un po’ di soldi a Roma a mio avviso non regge l’urto dei tagli per 900 milioni che ci dovranno essere, peraltro interamente scaricati sul 35 per cento del bilancio, giacché l’altro 65 per cento (cioè la sanità) non sembra voglia essere toccato; sia perché, dopo essere stata a lungo all’avanguardia nell’elaborazione di un nuovo rapporto con lo Stato, ora la Regione insegue Renzi e corre il rischio di subire senza reagire il neocentralismo che già si approssima all’orizzonte.
Entrate e statuto sono due battaglie dure da combattere, ed è per questo che al presidente farebbe comodo avere dalla sua parte una opinione pubblica compatta, non stordita da scelte non facilmente comprensibili come quella delle nomine, ed una assemblea costituente in grado di coinvolgere tutta la società sarda nell’elaborazione della nostra nuova carta costituzionale.
Ora invece ci troviamo davanti ad una cencellizzazione e ad una lottizzazione spietate da una parte e ad una volontà di trattare la riscrittura dello Statuto come se fosse un semplice atto amministrativo dall’altra.
Chi compie scelte autoreferenziali tutte interne ai partiti e ai sistemi di potere accademici e bancari, decidendo di non coinvolgere le forze vive della società nel processo di cambiamento della Sardegna, non potrà poi rivolgersi ad esse quando le strategia messe in campo dovessero rivelarsi fallimentari.
Se la vertenza entrate va male, questa giunta non mangia panettone. E se questa giunta non allarga alle forze vive della società il dibattito sul futuro istituzionale dell’isola, questa in corso passerà alla storia come l’ultima legislatura autonomista.
Caro presidente, i partiti non ti bastano, non sono sufficientemente forti per reggere l’urto della crisi economica e istituzionale che la Sardegna sta attraversando. Ti serve attivare un rapporto più diretto con la società sarda, meno mediato da partiti che ormai non rappresentano nessuno se non comitati elettorali e di affari. E non ti servirà neanche accontentare il centrodestra con qualche nomina sottobanco per assicurarti il suo sostegno nel momento dello scontro.
Non è con il manuale Cencelli, le lottizzazioni e con il consociativismo che la Sardegna esce da questa crisi, ma con un patto onesto tra politica e società sarda. Magari quella stessa che ha sostenuto votato Pigliaru ma che adesso inizia a non capire più le mosse del presidente.
Post scriptum
Insieme alla vertenza entrate e allo Statuto ci sono altre due questioni che non possono più essere eluse e che invece non figurano al momento nell’agenda politica della giunta Pigliaru: la riforma della sanità e il nuovo modello di sviluppo. Cosa si fa, continuiamo a far finta di niente?
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