Quale domani è già cominciato con la “chimica verde”?

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Buon lavoro Presidente
di Vanni Tola
Il presidente Pigliaru prepara le dichiarazioni programmatiche della nuova Giunta. Grande attesa e curiosità perché le linee programmatiche certamente sveleranno gli orientamenti e gli indirizzi operativi della compagine di governo finora racchiusi nella sintesi dei programmi elettorali. Naturalmente la tentazione di domandare, proporre o suggerire questa o quella priorità al Presidente è molto forte, la eviteremo. Preferiamo attendere programmi e dichiarazioni prima di esprimere giudizi. Ci limitiamo soltanto a indicare una diffusa attesa di chiarezza riguardante un tema particolarmente importante, richiamato recentemente all’attenzione dell’opinione pubblica anche da un articolo del direttore del quotidiano l’Unione Sarda. La chimica verde. In estrema sintesi la questione si pone in questi termini. Una parte consistente del mondo politico regionale e i maggiori sindacati sostengono la necessità, l’opportunità e l’urgenza di avviare, realizzare o completare il progetto Matrìca per la realizzazione a Portotorres del più grande impianto europeo per la produzione della materia prima necessaria per avviare una diversificata serie di produzioni di materiali plastici e prodotti chimici ricavati da sostanze biologiche anziché da fossile (leggi petrolio e derivati). Naturalmente insieme al risanamento e alla bonifica delle aree industriali inquinate e prefigurando considerevoli ricadute occupazionali e lo sviluppo di un modo nuovo e moderno di “fare chimica”. Di tutt’altra opinione i numerosi Comitati di base che, insieme con un nutrito gruppo di intellettuali, di opinionisti e di esperti con rilevanti competenze tecnico-scientifiche si oppongono al progetto Matrìca per una infinita serie di motivi. La principale considerazione contraria può essere riassunta con l’inopportunità di realizzare una centrale a biomassa in un’area già fortemente e drammaticamente inquinata dall’attività dell’industria petrolchimica e in considerazione del fatto che non vi è alcuna certezza che le produzioni “ verdi” siano necessariamente anche pulite, cioè accettabilmente compatibili con una corretta gestione dell’ambiente e la tutela della salute delle popolazioni. Sembrerebbe il contrario. Esistono, infatti, una infinita serie di studi e ricerche che dimostrerebbero perfino una maggiore pericolosità per la salute e l’ambiente delle centrali a biomasse che produrrebbero una serie di sostanze particolarmente nocive per gli individui e l’ambiente e difficilmente controllabili da sistemi di filtraggio, in grado di superare le barriere naturali dell’individuo e di produrre gravissime patologie. Per necessità di sintesi non entreremo nel merito degli aspetti particolari della vicenda, ci riserviamo di farlo interpellando i protagonisti e gli esperti. Ci limitiamo a esprimere una considerazione conclusiva. E’ necessario comprendere prioritariamente e urgentemente se il progetto chimica verde di Matrìca – lungi dal rappresentare un ulteriore grave minaccia per la salute della popolazione e per l’ambiente – può e deve essere completato per avviare un capitolo nuovo della politica industriale dell’isola o se, come molti affermano, la nuova attività industriale in avanzata fase di realizzazione nell’area petrolchimica di Portotorres, non rappresenti una sorta di nuova “bomba” ecologica, per un’area territoriale con tassi di inquinamento ambientali elevatissimi. Siamo certi che il Presidente, con le dichiarazioni programmatiche, saprà fornire ai sardi ulteriori elementi di conoscenza e valutazione nel merito.
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Chimica verde su Aladinews
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Editoriale del 16 marzo 2014 del direttore de l’Unione Sarda.

L’imbroglio verde dei soliti signori della chimica, di Antony Muroni.
Un buon modo per disturbare i manovratori che – a prescindere dalle elezioni, dai governi e dalle Giunte regionali – sono convinti di poter utilizzare a proprio piacimento il territorio sardo, sarebbe quello di chiamare le cose col proprio nome.
Inquinamento. È quello che per decenni i colossi della chimica, della petrolchimica e dell’alluminio hanno prodotto in alcune vaste porzioni di Sardegna. Scarichi abusivi, accumuli di materiale altamente nocivo, falde acquifere avvelenate, aria resa irrespirabile e malsana. L’effetto dannoso per l’uomo e per l’ambiente è incalcolabile. E, come dimostrato dalle recenti sentenze, nessuno paga.

Bonifiche. Sono quelle che nessuno ha fatto. L’ex ministro dell’Ambiente Orlando (ora diventato guardasigilli, che Iddio ci e lo protegga) ha candidamente ammesso che in Sardegna non le sta facendo nessuno. Né a Porto Torres, né nel Sulcis. L’effetto? La terra, le falde, il mare, tutto resta inquinato. E le grandi lobby dell’energia e della trasformazione dei prodotti chimici e petroliferi possono continuare a fare utili, senza affrontare il capitolo dei costi per il risanamento. L’Eni Syndial, in particolare, non ha mai presentato il piano per le bonifiche su Porto Torres. Ne ha inviato al Ministero uno per il trattamento delle falde ma i tecnici governativi hanno dimostrato che la barriera idraulica proposta non è in grado di contenere un bel nulla. I veleni continuano a finire in mare.

Lavoro. In quei settori si è dissolto ed è sempre meno garantito, sia dal punto di vista qualitativo che economico. Eppure in tanti non gradiscono parlarne. Prevalgono i discorsi del tipo «ma se vanno via le grandi industrie – va bene, inquinano e ci pagano poco – noi cosa facciamo?». Stati d’animo comprensibili. Ma forse ci vorrebbe una politica capace di offrire alternative. Con le idee chiare sul fatto che questo modello di (sotto)sviluppo vada presto abbandonato, prima che altro territorio venga sottratto a idee nuove, più affini alla storia, alle caratteristiche dell’ambiente naturale, alla naturale predisposizione dei sardi.

Da mesi sentiamo parlare – propagandata dai maggiori partiti italiani, che pure qualche conflitto d’interessi in quanto a rapporti economici con l’Eni ce l’hanno – dell’ineluttabilità e della centralità della riconversione industriale di Porto Torres, legata alla chimica verde, quasi che bastasse un colore friendly a rendere più presentabile un mostro che conosciamo già in tutte le sue manifestazioni.
Il progetto – rigorosamente targato Eni, sposato in pieno dall’ex governatore Cappellacci – prevede la produzione di bioplastiche e una centrale a biomasse da 43,5 Mwe. Domanda. In quale maniera questa nuova industria può essere funzionale allo sviluppo economico della Sardegna? Nessuno risponde, se non riferendosi alle buste paga che questo nuovo colosso sarebbe in grado di erogare.

La solita storia, il solito ricatto, i soliti miraggi, le solite collanine luccicanti, sul modello di quelle che i colonizzatori del Sud America mostravano agli indigeni all’inizio del XVI secolo, per rabbonirli.
Film già visti quando dall’Europa arrivarono un paio di piatti di lenticchie, che molti sardi ebbero il torto di accettare in cambio dell’espianto di vigneti, oliveti, campi di cereali. Pochi soldi, con i quali ci siamo venduti il presente e una parte del futuro. Stessa identica modalità con la quale molte amministrazioni comunali (e molti privati), per tacere delle complicità politiche a livello governativo e regionale, cedono territorio per far impiantare a grosse multinazionali cinesi, indiane, russe, spagnole e tedesche immensi campi fotovoltaici o parchi eolici.

Viene fatto perché in Sardegna si possa produrre più energia e, conseguentemente, il sistema produttivo dell’Isola e i privati possano stare meglio? La realtà ci dice che è esattamente il contrario. Di energia ne produciamo già in surplus e le nostre imprese (e tutti i cittadini) finiscono comunque per pagare una bolletta più cara del resto d’Italia.
Resta dunque la miope logica del “pochi, maledetti e subito”, riferiti a euro volatili che si bruciano in poco tempo, lasciando alle spalle nient’altro che cenere. Altamente inquinante sia per l’ambiente che per lo sviluppo economico.

La chimica di Porto Torres, per tornare a bomba, sarebbe verde perché brucerebbe cardi e non olio combustibile. Immaginate che Sardegna stanno progettando i signori dell’Eni e i loro complici politici: un’immensa distesa di cardi, capace magari di estendersi per mezza Isola e – dunque – di consumare territorio (precludendo, dunque, lo sviluppo dell’agroalimentare). Il tutto su terreni precedentemente inquinati e mai bonificati. E poi lavoro (precario e sottopagato) per pochi, legato allo sviluppo e alle bizze del mercato.
Nel frattempo al benzene, al dicloretano, al cloruro di vinile monomero già lasciati in eredità da decenni di chimica andrebbero ad aggiungersi le diossine, i furani e le polveri ultrasottili.
Va da sé che a tutto questo occorre dire no. Servirà una grande mobilitazione di popolo per impedire che un nuovo scempio possa essere perpetrato, in spregio alle leggi naturali. Non ci sarà nessuna legge formale, approvata da parlamentari che dimostrano di votare gran parte dei provvedimenti senza nemmeno conoscerli, nessun atto di indirizzo degli uffici ministeriali, nessun (eventuale) complice silenzio della Regione, nessuna prepotenza da parte delle lobby che potrà arginare una coscienza di popolo.
Ma la coscienza bisogna avere voglia di formarsela. Il problema è che siamo troppo anestetizzati o incavolati col mondo, spesso impegnati a sparare a zero su tutto quello che ci passa davanti, per impegnarci. Ma si tratta di un dovere civile. E tutti, per primo il più diffuso e autorevole quotidiano dell’Isola, abbiamo il dovere di provarci.

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