I Vescovi sardi: il lavoro prima emergenza

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Lettera pastorale dei Vescovi sui più urgenti problemi sociali e del lavoro – segue –

UN CAMMINO DI SPERANZA PER LA SARDEGNA
Lettera pastorale dei Vescovi sui più urgenti problemi sociali e del lavoro

Carissimi fratelli e sorelle,
è ancora viva in noi la memoria del pellegrinaggio con Papa Francesco ai piedi della Madonna di Bonaria, il 22 settembre dello scorso anno.
Le parole del Papa ci hanno invitato a considerare i doni ricevuti e ad accoglierli con responsabilità: “La Sardegna è una terra benedetta da Dio con tante risorse umane e ambientali, ma serve nuovo slancio per ripartire. E i cristiani possono e debbono fare la loro parte, portando il loro contributo specifico: la visione evangelica della vita” [1].
Per noi, pastori della Chiesa di Dio in Sardegna, ha tracciato un percorso impegnativo, suggerendoci obiettivi e metodo: “Voi, cari Vescovi, indicate la necessità di un discernimento serio, realistico, ma orientate anche verso un cammino di speranza… Questo è importante, questa è la risposta giusta! Guardare in faccia la realtà, conoscerla bene, capirla, e cercare insieme delle strade, con il metodo della collaborazione e del dialogo, vivendo la vicinanza per portare speranza” [2].
Noi vogliamo accogliere con gioia e con responsabilità queste indicazioni, e perciò ci rivolgiamo a voi, cristiani delle nostre comunità, per riflettere insieme su come affrontare i problemi della famiglia, dei giovani, della situazione sociale.
Rivolgiamo la nostra parola anche a tutti i cittadini della nostra Isola, e in particolare a chi ha responsabilità nelle Istituzioni civili, politiche, educative, imprenditoriali e sindacali.

A. Testimoniare la visione evangelica della vita
La fede che ci anima non ci permette di dare “uno sguardo puramente sociologico”, ci obbliga bensì a cercare e utilizzare strumenti utili “nella linea di un discernimento evangelico” [3], poiché il nostro “contributo specifico” è “la visione evangelica della vita” [4].
La Chiesa in Sardegna sta già tentando di operare in questo senso

con le Caritas diocesane, che sono in continuo contatto con le storie di disagio, non solo nelle situazioni di emergenza. Attraverso i Centri di ascolto, gli Osservatori delle povertà e delle risorse e le Caritas parrocchiali, il loro impegno va ben oltre l’assistenza: mettendo al centro ogni persona, si preoccupano di dare risposta non solo alle richieste immediate, ma ai bisogni profondi e spesso nascosti, perché ognuno cresca in umanità e dignità;
con la Delegazione Regionale Caritas, indicata dal Concilio Plenario Sardo come “organismo specifico della Chiesa sarda per meglio aiutare la comunità cristiana dell’Isola a vivere la testimonianza della carità nel servizio dei poveri” [5]. Essa periodicamente pubblica un “Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Sardegna” per gettare uno sguardo più obiettivo sulle situazioni di disagio nella nostra popolazione, nel tentativo di individuare nuove soluzioni pastorali per l’azione di testimonianza della carità delle nostre comunità e anche come servizio alle istituzioni civili, perché possano trarne ispirazione nel doveroso e urgente lavoro di progettazione di un nuovo assetto della nostra società;
con gli Uffici diocesani di pastorale sociale e del lavoro, impegnati a studiare e affrontare le problematiche, oggi particolarmente impegnative, legate alla dimensione economica, sociale e politica della nostra Isola. In questi ultimi anni essi hanno lavorato, anche in dialogo con le istituzioni sindacali e le associazioni di volontariato, nel tentativo di dare voce ai diritti di ogni persona e di ogni famiglia, promuovendo una rinnovata e consapevole cultura del lavoro;
con l’esperienza ecclesiale del Progetto Policoro, iniziativa promossa dall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro, dal Servizio per la pastorale giovanile e dalla Caritas con lo scopo di aiutare i giovani disoccupati o sottoccupati a migliorare la propria condizione lavorativa, sia tramite la formazione e l’informazione personale, sia con la fondazione di cooperative o piccole imprese;
con “un Osservatorio regionale per un puntuale e documentato monitoraggio del tema “lavoro” in Sardegna, indagando sulle occasioni mancate, sugli ostacoli per mantenerlo e crearne di nuovo, sulle potenzialità da sfruttare e sulle eventuali proposte concrete da avanzare” [6], proseguendo così nell’impegno sollecitato dal Concilio Plenario Sardo, che affidava alla Delegazione Regionale una “funzione di studio, di denuncia, di proposta, di formazione” [7].
Le comunità ecclesiali si apriranno costantemente agli altri, testimoniando la fede non solo negli “impegni intraecclesiali” (che devono essere vissuti come servizio e non come ricerca di visibilità e di potere), ma anche “per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società”, in modo che la loro vita si rifletta “nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico” [8].

B. Individuare insieme nuove strade
1. Nella realtà del lavoro e delle imprese

È indubbio che il problema più preoccupante per la nostra Sardegna è quello del lavoro.
Ricordiamo il grido d’allarme che risuonò nel messaggio del Concilio Plenario Sardo: “La società sarda attraversa un periodo di grave disoccupazione, con risvolti talvolta drammatici. Questo interpella fortemente, per i suoi effetti umani devastanti, anche la Chiesa… La disoccupazione coinvolge soprattutto i giovani, che in questa situazione senza sbocco vengono esposti alla tentazione dello scoraggiamento e del disimpegno e dell’appiattimento nella mediocrità” [9].
Sono trascorsi dodici anni e il dramma è divenuto “tragedia”.
La grave crisi occupazionale è sotto gli occhi di tutti e ha specifici risvolti drammatici in riferimento all’età, ai ruoli, alle responsabilità familiari e sociali.
In Sardegna la storia delle attività lavorative negli ultimi decenni è stata accompagnata da svariati elementi di criticità. Il mercato globalizzato ha messo sempre più in evidenza le difficoltà e i ritardi dell’economia sarda. Il mancato riconoscimento dello stato di insularità non ha consentito di recuperare fino ad oggi le diseconomie che condizionano i processi produttivi, come il costo dei trasporti e dell’energia, i ritardi nella infrastrutturazione delle reti e dei servizi, che rispetto al resto d’Italia rendono poco competitive tutte le attività produttive, specialmente quelle industriali. La crisi finanziaria ed economica, con le sue gravi conseguenze nella vita sociale, ha collocato la nostra Isola in uno stato di eccezionale precarietà, aggiungendo nuove povertà alle vecchie [10].
Le tipologie della disoccupazione sono tantissime e tutte molto drammatiche.
Pensiamo anzitutto ai lavoratori dipendenti delle aziende in crisi. L’impatto angosciante della situazione precaria su di essi e sulle loro famiglie è evidente: le tensioni tolgono la serenità, le trepidazioni per gli impegni assunti spesso a lunga scadenza portano allo sgomento e talvolta alla paura di vivere. Come può una persona adulta, che abbia il senso della responsabilità, vivere alla giornata e non sapere oggi se potrà ancora domani realizzare fino in fondo i propri compiti, onorare le proprie responsabilità, procurare il pane per i propri figli?
Anche per coloro che vengono sostenuti da ammortizzatori sociali la sofferenza è continua e angosciante: quale senso nuovo dare alla vita? Ma sono ormai numerosissimi coloro che nell’attività lavorativa non sono mai entrati e stanno “invecchiando” nella disoccupazione [11]. Troppi giovani e adulti – e spesso anche le loro famiglie – sono costretti a far affidamento unicamente sulle pensioni, normalmente molto esigue, dei genitori anziani. Quando avranno la possibilità di fare per la propria vita un progetto a lungo termine?
Possiamo ormai parlare di un danno gravissimo; un danno all’identità dell’uomo in tutte le sue dimensioni: nel costruire se stesso, nella sua vita, nei suoi rapporti umani, nella crescita del suo bagaglio identitario, nella sua personalità.
La preoccupazione più assillante riguarda il futuro della gioventù, che ha dinanzi un mondo senza speranza. Diversi indicatori confermano come la nostra Isola sia un territorio tutt’altro che a misura delle giovani generazioni, risultando incapace di valorizzare i loro talenti e non affidando loro significative quote di partecipazione e responsabilità. Si stanno sempre più sviluppando forme di occupazione precaria che costituiscono la principale modalità d’ingresso nel mondo del lavoro. Ciò si traduce in una instabilità senza possibilità di futuro, con importanti ripercussioni sotto il profilo psicologico e morale riguardo ai progetti di vita personali e familiari. Una precarietà esistenziale, anzitutto, che induce i giovani a rimanere ancorati all’immediato presente, spingendoli a dimenticare il valore delle esperienze passate e a guardare al futuro senza la necessaria fiducia. Una precarietà che, nelle donne, diventa strutturale e continua ad incidere sulle propensioni procreative: ci si sposa sempre meno e si hanno sempre meno figli; si progetta sempre meno e sempre più tardi si intravvede un futuro autonomo.
Facciamo nostre le forti parole di Papa Francesco: “Non ha futuro questo mondo. Perché? Perché loro non hanno dignità! E’ difficile avere dignità senza lavorare. Questa è la vostra sofferenza qui. Questa è la preghiera che voi di là gridavate: “Lavoro”, “Lavoro”, “Lavoro”. E’ una preghiera necessaria. Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare!” [12].
Una risposta può venire solo da una nuova cultura economica che guardi meglio il nostro territorio, le sue capacità e le sue proposte e promuova lo sviluppo delle risorse locali – agricoltura, allevamento, artigianato, pesca, turismo – e la sostenibilità delle piccole e medie imprese. Per riuscirci occorre anzitutto che l’intera comunità, a partire dagli amministratori, sappia impegnarsi a suscitare corresponsabilità. Responsabilizzare le persone, coinvolgere quelle capaci e disposte a lavorare per se stesse e per gli altri è un lavoro fondamentale che sta alla base di un reale cambiamento. Costruire un’agenda condivisa di speranza sul versante di una nuova cultura economica, promuovendo un continuo confronto nei diversi ambiti della socialità (comuni, parrocchie, scuole, associazioni, istituzioni imprenditoriali e sindacali) è il compito arduo ma irrinunciabile che attende tutti noi.
Diventa anche sempre più necessario porre attenzione, nella cultura e nell’attività umana in ogni ambito, alla salvaguardia del creato. La recente alluvione ha drammaticamente messo davanti ai nostri occhi l’insensatezza di tanti irresponsabili comportamenti nei confronti della natura e dell’ambiente. Non possiamo dimenticare le pesanti lacune nel campo della responsabilità ecologica che gravano sulla vita delle nostre popolazioni. È sufficiente aprire gli occhi per vederne le deleterie conseguenze, pure a distanza di anni, nelle antiche zone minerarie e intorno agli impianti industriali anche recenti. Una nuova cultura sociale ed economica dovrà tenerne conto, per la nostra vita attuale e per il bene delle future generazioni.
2. Nella vita delle famiglie
L’attuale crisi economica ed occupazionale sta creando ulteriori gravi difficoltà ai giovani che si preparano al matrimonio e accresce inevitabilmente le tensioni all’interno delle famiglie già formate, nei rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli. L’assillo della mancanza improvvisa di stabilità economica si aggiunge pesantemente agli effetti negativi di una cultura che privilegia il sentimento, l’emozione, la gratificazione affettiva, la provvisorietà, rispetto alla necessità di un profondo impegno per la costruzione di una totale comunione di vita e di una incondizionata dedizione al bene dei figli.
Come insegna la Christifideles laici, “la coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l’impegno sociale dei fedeli laici” [13]. La Chiesa cattolica, che si sta preparando per il 2015 al Sinodo sulla Famiglia, è ben cosciente dell’importanza di essa: “Nel tempo che stiamo vivendo l’evidente crisi sociale e spirituale diventa una sfida pastorale, che interpella la missione evangelizzatrice della Chiesa per la famiglia, nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale” [14].
La crisi che l’istituzione familiare attraversa anche nel nostro territorio chiede ai cristiani un non facile supplemento di impegno nel riscoprire il progetto di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, per darne testimonianza viva nelle gravi difficoltà che gli uomini e le donne di oggi incontrano.
Anche nella nostra Isola sta crescendo il numero di famiglie disgregate per la separazione dei coniugi e il divorzio [15]; aumentano le convivenze; diventa sempre più preoccupante il fenomeno della violenza domestica. Cresce – anche in molte madri di famiglia – il vizio della dipendenza dai giochi d’azzardo, che non di rado conduce alla schiavitù dalla drammatica e inumana piaga sociale dell’usura. Si sviluppa una cultura di separazione tra sessualità e amore. Il tasso di natalità continua a registrare un preoccupante declino [16]. Aumenta una “cultura dello scarto” rispetto al valore della vita, nel suo inizio con il ricorso all’aborto [17] e nel suo termine con la mancanza di attenzione agli anziani.
Non possiamo accettare questi comportamenti con indifferenza o addirittura piegarci a credere che essi siano manifestazione di autonomia e segno di libertà. Il problema demografico ha conseguenze deleterie non solo sulle persone e sulle famiglie, ma anche a livello sociale. È sempre più fievole il grido delle zone interne, abitate ormai prevalentemente da persone anziane. L’esistenza di un centinaio di comuni a rischio di totale spopolamento, con il conseguente abbandono delle zone rurali, fa prevedere il pericolo che la popolazione sarda diminuisca di un terzo entro pochi decenni.
Diventa sempre più urgente l’attenzione da parte delle istituzioni governative e amministrative a non lasciare sole le famiglie e a studiare e realizzare interventi utili ad alleviare, sul fronte dell’organizzazione del lavoro e sotto il profilo della fiscalità, quella fatica che in tante di loro sta diventando sempre meno sostenibile.
3. Nelle responsabilità educative
Sollecitate dagli Orientamenti pastorali dei Vescovi italiani per questo decennio [18], le nostre Chiese diocesane stanno lavorando per affrontare in modo positivo il problema della “emergenza educativa”.
Cosa possiamo fare per dare risposte positive a questi problemi?
Occorre dare fiducia agli stessi giovani. Essi hanno tante doti e capacità che noi adulti purtroppo non sappiamo riconoscere e valorizzare. Non dobbiamo considerarli solo oggetto di informazione, ma veri protagonisti della propria crescita in un autentico rapporto educativo: essi sono il nostro futuro. Ad essi perciò – a partire dai giovani cristiani – vogliamo ricordare l’invito pressante loro rivolto da Papa Francesco a Cagliari: “Prendete il largo e calate le reti, giovani di Sardegna! Prendete il largo!… Non è buono – non è buono – fermarsi al «non abbiamo preso nulla» [19], ma andare oltre, andare al «prendi il largo e getta le reti» di nuovo, senza stancarci! Gesù lo ripete a ciascuno di voi” [20].
Una grande responsabilità è affidata all’Istituzione scolastica, a tutti i livelli. Essa ha da ripensare continuamente, nella sua struttura e nell’impegno di tutti coloro che vi operano, i propri obiettivi per giungere ad offrire ai ragazzi e ai giovani una educazione integrale che dia loro la possibilità di proporsi criticamente, superando ogni ideologismo, e diventare capaci di progettualità utili al bene loro personale e di tutta la società.
Oltre ad un rinnovato impegno degli operatori scolastici, bisognerà lavorare per incrementare positivamente significative alleanze educative, anzitutto con la famiglia e con il mondo del lavoro, ma anche con chiunque – persone e associazioni – abbia a cuore la crescita integrale dei giovani.
Solo attraverso queste alleanze potremmo superare il triste fenomeno degli abbandoni e della dispersione scolastica [21]. Se non si interviene efficacemente a limitarlo e annullarlo, rischiamo una generazione di giovani non motivati e impreparati a dare il proprio contributo specifico alla crescita della società.
È presente anche nella nostra regione la realtà della scuola cattolica, in particolare nel mondo dell’infanzia. Essa non è scuola privata, ma pubblica paritaria, distinta dalla scuola statale ma ugualmente impegnata nell’educazione dei bambini e dei giovani; essa non chiede privilegi, desidera solo poter dare il proprio contributo con serenità ed equità. Tale presenza, affidata alla passione di Istituti religiosi o di laici cristiani, sta incontrando attualmente gravi difficoltà economiche. Non possiamo tacere di fronte alle inadempienze delle Istituzioni politiche a questo riguardo: toglierle la possibilità di sussistenza è irrispettoso dei diritti delle famiglie che la scelgono, senza dimenticare che la sua attività è di aiuto allo Stato anche dal punto di vista economico.
Fin da ora invitiamo a partecipare all’appuntamento del 10 maggio prossimo a Roma per chiedere alle istituzioni un maggiore impegno per tutta la scuola italiana.
Ci sembra anche urgente ripensare il problema della formazione al lavoro [22]. È diffusa la denuncia dello scollamento tra istituzione scolastica e mondo del lavoro, oltre che la consapevolezza di una grave carenza nella organizzazione della formazione professionale. Al di là dell’importanza della formazione tecnica, appare necessario formare i giovani ad una nuova cultura del lavoro, ad affrontare il lavoro con coscienza e responsabilità, non solo come opportunità economica a sostegno del proprio progetto di vita, ma anche come vera occasione di crescita personale e di contributo da offrire allo sviluppo del bene comune.

4. Nel servizio delle istituzioni
Noi credenti abbiamo un’opinione di società improntata ai valori della giustizia sociale, della libertà, della solidarietà. Quando vengono a mancare questi ideali, si manifestano con maggiore forza i problemi che abbiamo già precedentemente evidenziati.
Le recenti elezioni che hanno rinnovato il Consiglio regionale sono una occasione che ci richiede una riflessione approfondita. Anzitutto a motivo dell’alta percentuale di astensionismo. Il nostro popolo attende una Amministrazione regionale che sappia comprendere e affrontare con coraggio i problemi e le aspettative della Sardegna, custodendo e rivendicando la sua specialità anche sotto il profilo giuridico, e che si ingegni a trasformare la condizione attualmente sfavorevole dell’insularità in una risorsa di positiva opportunità.
È indispensabile che chi è stato chiamato ad amministrare la Sardegna vi si dedichi con vero spirito di servizio e si lasci guidare dai principi della solidarietà. Gli amministratori sappiano contribuire a cementare la necessaria coesione tra le persone, i territori e le istituzioni, privilegiando la ricerca del bene comune, a partire dall’attenzione a chi soffre maggiormente. Per questo sarà necessario che diano priorità a risolvere i problemi del lavoro e della lotta alla povertà e sappiano essere costantemente vicini alla gente.
Si è generata una tendenza alla dilatazione delle disuguaglianze sociali. Perciò la “crescita” può ripartire soltanto se viene fatto salvo il potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Solo così l’economia potrà tornare a generare reddito e lavoro. Saranno necessari interventi adeguati a riorganizzare una politica del lavoro, a garantire con maggiore equità l’accesso al credito, a ripensare una politica della casa, a semplificare con determinazione la burocrazia, a tagliare con coraggio risorse improduttive ed enti parassitari e inutili, a razionalizzare l’esistente per promuovere il bene comune e non l’interesse degli apparati.
5. Nella sfida della mobilità sociale e umana
Una delle cause dell’attuale crisi economica ed occupazionale è pure la scarsa mobilità sociale che caratterizza anche la nostra Isola. Molti giovani, anche preparati culturalmente e professionalmente, non riescono a trovare spazi adeguati a valorizzare i loro talenti e ad esercitare le loro competenze e sono spesso costretti a cercare sbocchi definitivi in altre regioni o in altri Paesi. Diverse indagini sottolineano come proprio nella fascia più giovane si collochi la percentuale più alta di coloro che manifestano una forte resistenza ad accettare mestieri faticosi e di basso prestigio sociale e una sempre più crescente indisponibilità a perfezionare il curriculum scolastico e ad acquisire una migliore formazione professionale, fino a favorire la definizione dell’intera giovane generazione con il distintivo del “non studio, non lavoro e non mi formo professionalmente” [23].
Preoccupa la crescente realtà della nuova emigrazione [24], in particolare quella giovanile. Ne deriva inevitabilmente un calo di presenze attive nell’organizzazione del lavoro e l’impoverimento non solo demografico dell’Isola, soprattutto delle zone interne. È comunque importante considerare che, se da un lato l’emigrazione è conseguenza di una realtà sociale incapace di valorizzare le potenzialità dei giovani, d’altra parte non è corretto scoraggiare a priori una fisiologica mobilità per studio e opportunità di ascesa sociale, purché si tratti di scelta fatta in libertà.
Per la stessa ragione è doverosa l’accoglienza degli immigrati [25]. Pur non avendo a che fare con i numeri dell’immigrazione delle province del Nord Italia, anche la nostra Isola deve saper accogliere adeguatamente quanti, provenendo da altre regioni e Paesi, decidono di costruire da noi un progetto di vita personale e familiare, opportunamente armonizzato con il contesto locale.
“È necessario il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore” [26]. La posizione geografica della Sardegna al centro del Mediterraneo e la tradizionale ospitalità che contraddistingue il nostro popolo può essere interpretato come segno di una vocazione all’accoglienza e alla valorizzazione delle diverse culture presenti nei Paesi che ci circondano.
C. La collaborazione e il dialogo come metodo
In questa nostra lettera abbiamo voluto dar voce ai problemi che ci sembrano i più pressanti nel difficile momento che la Sardegna sta vivendo. Sappiamo anche che per superare le criticità della nostra società non basta conoscerle. Occorre sconfiggere gli individualismi e aprirci all’ascolto e al dialogo verso tutti. Teniamo presente l’esortazione del Papa: “è necessaria la collaborazione leale di tutti, con l’impegno dei responsabili delle istituzioni – anche la Chiesa – per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali, e far crescere una società più fraterna e solidale. Assicurare il diritto al lavoro, il diritto a portare pane a casa, pane guadagnato col lavoro!” [27].
Ci sembra urgente, ora, proporre alle nostre Chiese alcuni impegni precisi:
ogni nostra Diocesi trovi modi adeguati per proporre a tutti con maggiore intensità, in particolare ai cristiani laici più impegnati nella vita sociale, un impegno rinnovato di formazione e di crescita di consapevolezza nello studio della Dottrina sociale della Chiesa. Ciò avvenga attraverso gli Istituti di Scienze religiose o altre apposite Scuole di formazione, in modo da raggiungere capillarmente le singole comunità parrocchiali, inserendosi nella catechesi ordinaria;
sollecitiamo le nostre Chiese a diventare sempre più testimonianza viva dell’amore di Dio per ogni uomo, attraverso l’animazione delle Caritas parrocchiali e diocesane, degli Uffici per la pastorale sociale e del lavoro in sinergia con gli altri Uffici pastorali e con le attività del Progetto Policoro e di qualunque realtà di volontariato ispirata al Vangelo;
vogliamo impegnarci ad una maggiore sobrietà e trasparenza nell’uso dei beni delle nostre Diocesi, ad esempio con una più attenta valorizzazione del patrimonio immobiliare a servizio della comunione ecclesiale e del bene comune. Invitiamo tutti – singoli, famiglie, comunità – ad uno spirito di maggiore povertà evangelica, da testimoniare concretamente nella conduzione della propria vita economica quotidiana, ma anche, ad esempio, nelle scelte riguardanti le modalità di celebrazione delle feste patronali e dei sacramenti. Vogliamo ricordare in proposito le indicazioni offerte a suo tempo dal Concilio Plenario Sardo: la festa, anche esteriore, “è positiva e significativa se rispettosa del senso e dello stile che la natura dei sacramenti comporta” [28]; altrimenti diventa un insulto ai poveri e a Dio;
le nostre Chiese di Sardegna siano attente a superare le tentazioni dello sconforto e della rassegnazione, sappiano mettersi in costante ascolto della Parola, si impegnino concretamente a seguire lo Spirito di Dio che ci spinge a testimoniare la carità e la fraternità nella ricerca del vero bene comune. “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo” [29];
ogni battezzato sappia vivere le proprie responsabilità evitando la tentazione di legittimare una indebita separazione tra la fede e la vita, tra l’accoglienza del Vangelo e l’azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene, maturando invece una crescita sempre maggiore nella partecipazione attiva alla ricerca e alla costruzione del bene comune [30];
invitiamo le famiglie a riscoprire in tutta la sua realtà il progetto originario di Dio su di esse, rivalorizzando la dedizione, la fedeltà, la capacità di perdono e di incoraggiamento reciproco, la gioia della relazione gratuita e liberante;
le nostre comunità parrocchiali verifichino e rinnovino le modalità di preparazione al matrimonio cristiano, affinché le coppie si sentano adeguatamente sostenute non solo in funzione della celebrazione sacramentale del matrimonio. Si favoriscano nuove forme di accompagnamento delle famiglie in modo che esse sappiano animare il proprio impegno nella testimonianza di fede, anche nei confronti di tutta la comunità ecclesiale e civile;
si dia nuovo impulso a tutta l’azione educativa nelle famiglie e alle iniziative a favore dei ragazzi e dei giovani (in particolare attraverso gli oratori parrocchiali), creando alleanze educative, particolarmente in collaborazione con le istituzioni scolastiche;
la comunità cristiana sappia superare ogni paura e barriera e aprirsi alla “cultura dell’incontro”, affrontando positivamente le questioni poste dalla mobilità sociale e accogliendo i migranti, nella considerazione positiva verso ogni cultura. Vuole esprimere questa valenza l’iniziativa che la Conferenza Episcopale Sarda intende realizzare con il progetto “Centro permanente di studio e formazione ‘Un’isola per il Mediterraneo’”.
Nel rispetto delle responsabilità di ogni persona e di ogni istituzione, anche al di là delle convinzioni religiose, vogliamo chiedere a tutte le persone di buona volontà di saper affrontare con lungimiranza i problemi che affliggono la nostra società, senza cedere alla rassegnazione e senza perdere la speranza:
ognuno sappia superare la tentazione dell’individualismo e ripartire dall’ascolto e dall’accoglienza di ogni persona – e non solo dei loro problemi – in stile di profonda relazione con tutti;
la crisi che stiamo vivendo ci solleciti a comprendere che non possiamo ridurre lo sviluppo alla pura crescita economica, spesso conseguita senza guardare al rispetto dell’ambiente e alle persone più deboli e indifese. “Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri” [31];
è dovere di tutti i cittadini, ma principalmente dei responsabili delle istituzioni sociali, meditare profondamente sul dramma della disoccupazione e sui terribili guasti che essa produce nelle persone, nelle famiglie e nella società. Servono delle politiche attive più incisive e incentivanti in ordine al mercato del lavoro e alla formazione professionale, a maggior ragione in un periodo di crisi strutturale come quello che stiamo attraversando;
sentiamo soprattutto doveroso richiamare i responsabili della vita politica – a livello regionale e negli enti locali – ad un dialogo sincero con tutti i cittadini e con le istituzioni sociali, imprenditoriali e sindacali e ad affrontare con maggiore decisione e oculatezza i problemi che stanno alla base della grave crisi che opprime la nostra Isola.

D. Artigiani di speranza
Le gravi difficoltà che la nostra società sta patendo possono spingerci alla delusione e alla tristezza. Ma per la fede che abbiamo ricevuto in dono, noi siamo convinti che “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” [32] e che “nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore” [33]. La nostra fede in Cristo – quella che “vince il mondo” [34] – è l’unica fonte che ci permette di affrontare anche i problemi di oggi, nella consapevolezza che il Signore è vicino e non ci lascia soli.
Il realismo non deve trasformarsi in pessimismo. Se affrontiamo le sofferenze nostre e dei fratelli intorno a noi restando fermi nella speranza che ci viene dalla croce di Cristo, e perciò impegnati a crescere nella fraternità e nella solidarietà, sperimenteremo che, con la grazia di Dio, “la forza si manifesta pienamente nella debolezza” [35].
Nemmeno la fragilità di ciascuno di noi e delle nostre Chiese possono distrarci da questo impegno: “ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle” [36]. “Nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà”, abbracciando la nostra croce di ogni giorno, sapremo trovare le strade giuste per superare anche le peggiori angustie che affliggono oggi la nostra società e “dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti nel buio” [37].
Ci stiamo preparando a celebrare la Pasqua: Gesù Cristo, il crocifisso risorto, è la sorgente della salvezza dell’umanità e la fonte della missione evangelizzatrice della Chiesa, anche riguardo alla dimensione sociale della vita dell’uomo.
Desideriamo fare nostro l’auspicio del Santo Padre nel suo Messaggio per la Quaresima: “La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà… Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole… Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» [38], sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia” [39].
E vogliamo ancora chiedere a tutto il nostro popolo di rivolgere al Signore la preghiera sgorgata dal cuore di Papa Francesco a Cagliari nel suo incontro con il mondo del lavoro:
Signore Dio, guardaci!
Guarda questa isola. Guarda le nostre famiglie.
Signore, a Te non è mancato il lavoro,
hai fatto il falegname, eri felice.
Signore, ci manca il lavoro.
Gli idoli vogliono rubarci la dignità.
I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza.
Signore, non ci lasciare soli.
Aiutaci ad aiutarci fra noi;
che dimentichiamo un po’ l’egoismo
e sentiamo nel cuore il “noi”,
noi popolo che vuole andare avanti.
Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro:
dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro
e benedici tutti noi. Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo.

19 marzo 2014 – Solennità di San Giuseppe
+ Arrigo Miglio – Arcivescovo di Cagliari
+ Paolo Mario Virgilio Atzei – Arcivescovo di Sassari
+ Ignazio Sanna – Arcivescovo di Oristano
+ Antioco Piseddu – Amministratore Apostolico di Lanusei
+ Sebastiano Sanguinetti – Vescovo di Tempio-Ampurias e Amministratore Apostolico di Ozieri
+ Giovanni Dettori – Vescovo di Ales-Terralba
+ Mosè Marcia – Vescovo di Nuoro
+ Giovanni Paolo Zedda – Vescovo di Iglesias
+ Mauro Maria Morfino – Vescovo di Alghero-Bosa
+ Antonello Mura – Vescovo Eletto di Lanusei
NOTE
[1] Francesco, Incontro con il mondo del lavoro, Cagliari 22.9.2013.
[2] Ivi.
[3] Cfr. Francesco, Evangelii Gaudium, n. 50.
[4] Cfr. Francesco, Incontro con il mondo del lavoro, Cagliari 22.9.2013.
[5] Atti del Concilio Plenario Sardo, n. 131.
[6] CES, comunicato stampa del 31 ott. 2013.
[7] Atti del Concilio Plenario Sardo, n. 144.
[8] Ivi, n. 102. Cfr. Francesco, Evangelii gaudium, n. 102.
[9] Atti del Concilio Plenario Sardo, 2001, § 7.
[10] Nel 2012 è risultato in condizione di povertà relativa il 20,7% delle famiglie sarde, a fronte del 12,7% a livello nazionale (cfr. Istat, La povertà in Italia. Anno 2012, report pubblicato il 17 luglio 2013).
[11] La Banca d’Italia (Economie regionali. L’economia della Sardegna – Aggiornamento congiunturale, novembre 2013) rileva che tra il primo semestre del 2012 e il primo semestre del 2013 le aziende attive sono passate da 146.682 a 144.752. Nello stesso periodo il tasso di disoccupazione (nella classe d’età 15-64 anni) è passato dal 15,0% al 18,6%. Come pone ancora in luce la stessa Banca d’Italia «i livelli occupazionali in regione risultano inferiori di quasi il 10 per cento rispetto al 2007, anno in cui l’occupazione ha iniziato a ridursi»; inoltre, il calo degli addetti «è stato solo parzialmente attenuato dal ricorso alla Cassa integrazione guadagni», in diminuzione nel periodo gennaio-agosto 2013 riguardo alla componente ordinaria e quella in deroga (-31,7%), mentre risultano in aumento le ore autorizzate di cassa integrazione straordinaria.
[12] Francesco, Al mondo del lavoro, Cagliari 22 settembre 2013.
[13] Giovanni Paolo II, Christifideles laici, n. 40.
[14] Documento preparatorio al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, 2013.
[15] Nell’Isola il tasso di separazione (per 10.000 abitanti) è passato dal 7,4 del 1999 al 14,2 del 2010, mentre a livello nazionale dall’11,4 al 14,6 (cfr. Istat, Separazioni personali del coniugi, 2013). Appare in crescita anche il fenomeno dei divorzi (cfr. Istat, Scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, 2013): il tasso di divorzio (per 10.000 abitanti) è passato dal 3,6 al del 1999 all’8,8 del 2010 (dal 6,0 al 9,0 a livello nazionale).
[16] Nel corso del decennio 2002-2012, il tasso di crescita naturale della popolazione sarda (ottenuto dalla differenza tra il tasso di natalità e il tasso di mortalità) è stato costantemente negativo (-0,39 nel 2002 e -1,94 nel 2012) e con valori superiori alla media nazionale: -0,34 nel 2002 e -1,32 nel 2012 (cfr. Istat, Bilancio demografico della popolazione residente, 2014).
[17] In Sardegna le interruzioni volontarie della gravidanza sono state 2.138 nel 2011 e 2.219 nel 2012 (cfr. Istat, Rilevazione sulle Interruzioni volontarie della gravidanza, 2013) costituendo un tasso rispettivamente del 5,4 e del 5,7 ogni 1.000 donne tra i 15 e i 49 anni (in Italia, nello stesso periodo: 7,8 e 7,7).
[18] CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 2010.
[19] Cfr. Lc 5, 1-11.
[20] Francesco, Incontro con i giovani, Cagliari 22 settembre 2013.
[21] Si tratta di una vera e propria “emergenza generazionale”, stando ai dati forniti recentemente dall’Istat (cfr. Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, 2014). Secondo l’Istituto nazionale di statistica, infatti, la Sardegna registra la quota più elevata in Italia di giovani che abbandonano prematuramente gli studi: 1 ogni 4 nel 2012, pari al 25,5% (a fronte di una media nazionale pari al 17,6%).
[22] Il sistema regionale della formazione professionale, in una fase come quella odierna, caratterizzata da altissimi tassi di disoccupazione giovanile, di abbandono e dispersione scolastica, nell’anno 2013 è stato in grado di soddisfare il fabbisogno formativo di 1.800 destinatari, potendo disporre di una spesa pubblica complessiva, suddivisa tra risorse di bilancio regionale (FR) e Fondi europei (FSE), pari a circa 14 milioni di euro (13.967.320,46 euro), secondo dati CISL del 2013.
[23] Così come per la dispersione scolastica, anche i dati sui cosiddetti “Neet” (Not in Education, Employment or Training), ovverosia i giovani che non studiano, non si formano e non lavorano, rendono urgente la già richiamata “emergenza generazionale”. Difatti, secondo i dati Istat (cfr. Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, 2014) la Sardegna si colloca al sesto posto fra le regioni d’Italia per la quota di giovani, tra i 15 e i 29 anni, che non lavorano e non studiano (col 28,4% nel 2012, a fronte del 23,9% a livello nazionale). Nel 2004 tale quota era pari al 23,9% (19,5% a livello nazionale).
[24] I dati Istat pongono in luce, per il periodo 1995-2012, una media di 8.516 cancellazioni per trasferimento di residenza dalla Sardegna ad altre regioni italiane (sono state 8.111 nel 1995 e 8.670 nel 2012). Nello stesso periodo, le cancellazioni per trasferimento di residenza dalla Sardegna per l’estero sono state in media 1.391 (843 nel 1995 e 2.203 nel 2012). Utilizzando i dati dell’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) il Rapporto Italiani nel Mondo 2013 della Fondazione Migrantes segnala come, dei 4.341.156 italiani residenti all’estero al 1° gennaio 2013, il 2,4% provenga dalla Sardegna (pari a 105.375 unità). Di tale quota oltre un emigrato sardo su cinque (21,7%) appartiene alla classe d’età compresa tra i 18 e i 34 anni.
[25] Il XXIII Rapporto Immigrazione Caritas/Migrantes rileva che all’inizio del 2013 la popolazione straniera iscritta nelle anagrafi comunali della Sardegna ammontava a 35.610 unità, accogliendo soltanto lo 0,8% di tutti gli stranieri residenti in Italia.
[26] Francesco, Messaggio Giornata Migranti 2014.
[27] Francesco, Omelia, Cagliari 22 settembre 2013.
[28] Atti del Concilio Plenario Sardo, n. 111 e 115 § 7.
[29] Francesco, Evangelii gaudium, n. 187.
[30] Cfr. Giovanni Paolo II, Christifideles Laici, n. 2.
[31] Francesco, Messaggio Giornata Migranti 2014.
[32] Francesco, Evangelii gaudium, n. 1.
[33] Paolo VI, Gaudete in Domino, n. 22.
[34] 1Gv 5, 4.5.
[35] 2Cor 12,9.
[36] Francesco, Messaggio Quaresima 2014.
[37] Ivi.
[38] 2Cor 6,10.
[39] Francesco, Messaggio Quaresima 2014.

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