martedì 18 febbraio, in giro con la lampada di aladin…
- COMMENTI ELETTORALI. GIORGIO MELIS. La cacciata di Cappellacci, uno squarcio nelle tenebre. Ma sia un nuovo inizio. Articolo pubblicato il 17 febbraio 2014 da SardiniaPost
GIORGIO MELIS. La cacciata di Cappellacci, uno squarcio nelle tenebre. Ma sia un nuovo inizio
Articolo pubblicato il 17 febbraio 2014 da SardiniaPost
L’assesSoru è presidente. Alla faccia dello spregiudicato pallonaro Ugo Cappellacci. Voleva demonizzare Francesco Pigliaru, richiamando come un insulto la sua bella esperienza nella Giunta Soru: da lui stesso troncata per difendere la propria dignità, rinunciando a poltrona e ruolo prestigiosi. Cappellacci ha insultato e deriso, scivolando anche nello squallore sulla “stazza” di Michela Murgia. Ma naturalmente non è lui l’”Ugo merda” evocato nella micidiale barzelletta di Berlusconi.
Comunque, la cacciata di Cappellacci apre un minimo squarcio nelle tenebre che coprono la Sardegna. Dopo i cinque anni di massacro da parte della peggior Giunta di tutti i tempi (una trentina di assessori, en passant,) e soprattutto del suo presidente. Contava intanto e soprattutto che venissero defenestrati. Altrimenti la Sardegna desertificata e senza più speranza avrebbe celebrato la definitiva sepoltura. Le urne semivuote sarebbero state anche funerarie, se Cappellacci avesse rivinto.
Benché arcisicuro fino alla tracotanza, è stato battuto da quel professore che non grida, non spara promesse miracolistiche, è rimasto se stesso, col suo stile sobrio dal primo all’ultimo giorno della corsa elettorale: continuerà da presidente. Deve scalare la montagna di macerie lasciate dal predecessore. Che fino all’ultimo ne ha accumulato di nuove, vergognose, bassamente clientelari e forse illegittime o golpiste come il piano paesaggistico approvato a urne socchiuse. Mai tanta spregiudicatezza si era vista in viale Trento. Ecco perché contava intanto e soprattutto sbatterlo fuori con la sua corte scatenata.
E’ una buona notizia che così sia stato. Festeggi chi vuole e se la sente: aiuta dopo tanta disperazione rassegnata. Perché significa (forse) che c’è un limite al masochismo minchione dell’elettorato nel correre dietro a sparate tanto più ridicole quanto più mirabolanti e reiterate nel tempo. Dai milioni di turisti in arrivo alla zona franca integrale dopo i 100 mila posti di lavoro, la frottola sarda e tutte la balle spacciate per cinque anni. Sotto l’ala vergognosamente protettiva della mala informazione foraggiata con i soldi pubblici. Il voto significa (forse) che c’è un limite all’accettazione del voto di scambio, praticato su scala industriale. Senza illudersi troppo: forse il vero limite è che i soldi, i posti e le poltrone non erano bastevoli.
Il cambio della guardia non sarà né salvifico né risolutivo. Sarà una lunga marcia nel deserto. Occorreranno anni prima di cominciare a risalire la china. E sempre che la recessione nazionale non finisca di sprofondare nel baratro la Sardegna: ha pagato il prezzo più alto anche per l’insipienza tracotante del governo regionale. Altro che delirio e sogni (incubi?) indipendentisti! Tutte le colpe (vere) dello Stato non pareggiano quelle che ci infliggiamo da soli. Specie ma non solo col servilismo dei maggiordomi che dal 1994 hanno fatto dilagare il berlusconismo , secondo la corretta constatazione di Cossiga sulla Sardegna “canile di Arcore”.
Conta niente che l’improbabile, autolesionista centrosinistra sardo offra a Renzi la prima, forse inaspettata vittoria elettorale da premier appena incaricato: nonostante la brutalità dell’atto di forza per far fuori Letta e autoincoronarsi. Niente indica che abbia influito, semmai all’opposto. Significa e conta di più che il Caimano abbia fatto flop (non lo perdonerà a Cappellacci) nel suo impegno elettorale in Sardegna: non incanta più con le sue imbolsite perorazioni.
Sulla giornata pesa come un enorme macigno la diserzione militante del 48 per cento dell’elettorato, conferma del rifiuto motivato delle urne anche nelle ultime consultazioni. Non è solo scollamento: è crisi fatale delle democrazia, forse finale se non arriverà quel colpo di reni che finora ha steso solo gli elettori. Significa in definitiva che Pigliaru (o chiunque al suo posto) sarà presidente solo con poco più del 20 per cento degli elettori. Il dato aritmetico non sminuisce il successo politico. Ma ne fissa le dimensioni e il peso. Con un apporto decisivo di Mauro Pili, “grande elettore” non inconsapevole di Pigliaru. Il suo quasi 6 per cento di voti è la differenza che per fortuna liquida Cappellacci: aveva stomacato anche nel suo schieramento e non solo Pili, che resta molto più credibile e soprattutto non pericoloso.
Sulla giornata pesa negativamente anche una ridicola legge elettorale (ma impari anche chi pasticcia maldestramente tra liste singole e coalizioni improbabili) che lascia fuori dal Consiglio Michela Murgia e lo stesso Pili, ovvero quasi il 16 del 52 per cento di voti espressi. Un altro vulnus di rappresentanza e ricchezza dialettica in uno scenario balbettante una subpolitica disperante. Mancava solo il tocco grottesco di uno spoglio da età della pietra: una giornata intera per scrutinare una sola anche se complessa scheda-lenzuolo. Abbiamo fatto ridere l’Italia, proviamo a vergognarcene un poco, è un atto dovuto.
Si, è andata bene perché Pigliaru ha vinto. C’è di nuovo una persona integra e sicuramente per bene alla guida della Regione, disastrata dal predecessore ridicolizzato nella sicumera tracotante. E’ già tanto. Ma basta solo per provare a ricominciare.
Giorgio Melis
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