Le elezioni che vengono, tra fantasmi ed attese
Abbiamo chiuso una settimana migliore delle precedenti, se concordiamo su una politica che abbia quale orizzonte di giudizio la fuoruscita dal governare presente e la prospettiva di insediamento nelle istituzioni di progetti di libertà per/con il nostro popolo.
Progetti: come aggettivarli? Sardisti, sovranisti, autonomisti, indipendentisti, separatisti… I concetti, che questi aggettivi sottendono, lasciano ciascuno una particolare e differente zona d’ombra o un cattivo ricordo, per come sono stati applicati o per le difficoltà a stenderli serenamente su un futuro percepibile. Rassicurano, però, due fatti: primo, la destra non è più sicura di vincere; secondo, l’ala ‘sardista’ (quella per la quale la Sardegna diviene il referente principale del pensare e dell’agire politico) forse non sarà espulsa del tutto dall’istituzione regionale.
Rassicurano, però, fino a un certo punto. Il cambio di guida del centro sinistra non risolve, di per sé, il dato di un PD reso retroguardia di un qualsiasi anche debole pernsiero autonomistico sia dall’incalzare della coscienza sovranista/indipendentista e sia dalla baraonda rivendicativa di un centrodestra che si è impossessato, quasi sempre stravolgendola, di parte significativa della strumentazione libertaria sarda disponibile (zona franca, flotta sarda, riduzione delle accise, limba …) . Visto che, nell’ultimo secolo, tutto quanto riguarda la libertà dei sardi come popolo è nato all’interno o intorno al partito sardo, con il suo precipitare nell’ultimo ventennio sono rimasti disponibili tutti i gioielli di famiglia, divenuti ingredienti che ogni cuoco politico cucina a seconda della dieta che ha scelto conveniente imporsi. - segue –
Restano ancora pochi giorni, poi la frenesia degli adempimenti lascerà il posto alla ricerca del consenso. Forse sarà possibile individuare qualcosa dell’idea di Sardegna che ciascun raggruppamento propone, recuperando spunti o filiere di proposte che offrano una speranza. Sarà interessante riprendere alcuni snodi problematici su cui ci soffermiamo da anni e che qualificano quei protagonismi. Le tematiche sono da tempo quelle, connesse tra loro, che si incontrano e si condizionano a vicenda.
Il tema istituzionale sarà immediatamente all’ordine del giorno del prossimo consiglio regionale, se non altro per le decisioni che verranno assunte in Italia e per la spinta realizzatrice dei nostri dieci referendum. Con quale rappresentanza i sardi parteciperanno all’organismo che sostituirà il senato della Repubblica? Cosa succederà delle istituzioni sarde nuovamente sottomesse al centralismo cagliaritano con l’abolizione delle province? In quale misura si intenderà rispettare il dettato referendario sulla partecipazione popolare alla rifondazione delle istituzioni sarde attraverso l’assemblea costituente? E andare a capire dove porti il presente silenzio su ciò che attende l’Europa e l’assenza di noi in essa.
In economia si profila all’orizzonte la caduta dell’ultimo birillo industriale, la Saras. Probabilmente non saranno i Moratti a gestirla, ma degli industriali ‘barbari e crudeli’, probabilmente russi o cinesi. Questa caduta farebbe molto male a tutta la politica, soprattutto a sinistra. In prospettiva allargherebbe il campo alla presa asiatica (‘vicina, media, estrema” sulla Sardegna, già dominante in Costa. Una volta che le pianure irrigue venissero sfruttate a fondo per produrre cardi per la chimica (30/50 anni?), una Eni divenuta nel frattempo proprietaria di quelle terre potrebbe vendere ai cinesi (o ad altri arabi), nuovi potenti alla conquista del mondo. L’Isola ‘cinesizzata’ – finalmente centrale tra Europa, l’Asia e l’Africa (per di più in regime di zona franca?) – potrebbe funzionare da grande emporio di passaggio delle merci, mentre si vedrebbero sparuti gruppi di sardi allocati nei paesi più grossi ed in talune zone residuali, divenuti oramai macchie di riserva indiana. Finis Sardiniae. Questa non è fantascienza, basta seguire dove portano le azioni di chi ci governa e gli interessi di coloro che gli stanno dietro.
Le città ed i paesi, dopo lo shock di Olbia, la solidarietà degli umani (sardi e continentali) e la furbizia impotente e bugiarda dello Stato. Olbia (simbolo e luogo cruciale) rinascerà? Trasformando quei quartieri in slums o ripensando finalmente se stessa? C’è qualcuno di quella classe dirigente che sia capace di ripensare il luogo della propria storia, oltre che semplicemente piangere e pietire? La consapevolezza sulla scomparsa dei paesi della Sardegna non tocca minimamente le scelte dei politici cittadini quando decidono di lottizzare. Ad Olbia e a Cagliari, prima di tutti. C’è proprio bisogno di ‘una Sardegna nuova’!
In Sardegna tutto è più semplice e più complesso. Si tratta di ripensarla e di rifarla: questo è l’obbligo morale delle presenti generazioni. Nella modernità. Secondo il nostro genius loci. La cultura – nel senso delle idee e delle azioni – rappresenta il nostro punto cruciale. La lingua è ben altro che un pannolino per chiamare in sardo le terre espropriate!
Chi osservi la Sardegna ‘con intelletto d’amore’ non sa se temere di più il precipizio che descrivono queste tendenze, il tedio dei mediocri, la fame dei ladri o la rassegnazione dei buoni. Oppure, tutte queste cose insieme. In realtà non bisognerebbe soggiacere alla paura, ma pensare e fare. Combattere e costruire. Per questo talora è bene mettere all’aria i propri fantasmi.
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