elettorando con la lampada di aladin…
- I SARDI E I VOTI (GIA’) DI GRILLO. L’analisi di Giorgio Melis (su SardiniaPost) - segue -
- C’è l’EUROPA nelle proiezioni di MICHELA MURGIA. Non lo dice (per non distrarci) ma Michela Murgia pensa già alle elezioni europee! – segue -
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I sardi, la politica. E la “costante autodistruttiva”
di Giorgio Melis.
Articolo pubblicato il 9 gennaio 2014 su SardiniaPost
Beppe Grillo è solo realista mentre fugge dalla sconfitta annunciata in Sardegna. E’ franato in tutte le elezioni regionali recenti. Qui sarebbe stato un altro disastro. Annunciato dallo spettacolo offerto dall’armata Brancaleone dei seguaci nuragici. Uguali e contrari, del resto, alla media nazionale. Ha voluto evitare che il primo schieramento elettorale (quasi 30 per cento) del glorioso 2013 si riducesse a percentuali da partitino dopo un anno esatto.
Fuga ingloriosa? Sì e no. Alla ritirata è stato spinto e incalzato dalla rissa invereconda dei grillini-grullini nostrani. Purtroppo pronti a tutto e incapaci a niente. Soprattutto a sospendere un giorno la guerra per bande e trovare la quadra su una lista condivisa. Di qui la giustificazione anche pretestuosa evocata dal leader-web maximo. Comunque sufficiente e convincente per negare il simbolo a una “lista minestrone“ in extremis, dopo le “minestrine” gruppettare precedenti.
Grillo si tira indietro per evitare figuracce: logoranti alla vigilia del voto europeo dove conta di fare un botto clamoroso. Ma anche perché ha osservato bene i supporter isolani. Ha correttamente concluso, come Matteo Renzi nel Pd: se li conosci, li eviti. Chi? I sardi, belin. Primatisti quasi mondiali della politica come prosecuzione della guerra con altri mezzi. Meno letali ma altrettanto micidiali per la collettività. In tutti gli schieramenti e partiti. Da vent’anni impegnati della distruzione della Sardegna. Complice o succuba silente la maggioranza della cosiddetta società civile: vittima anche della mala-informazione imperante da un decennio.
Dunque, i nostri grillini restano soprattutto sardi. E come tali si comportano appena affacciati alla ribalta pubblica. Il “così fan tutti” li ha inesorabilmente risucchiati nell’autofagia della politica isolana: prima ancora di calcare il palcoscenico di nostra dannata signora Regione. Insomma, anche il flop dei grillini come metafora del comun agire politico sardo.
A chi gioverà l’adieu grillino, scalfirà o ingrosserà lo zoccolo duro dello spaventoso sciopero del voto che cresce a dismisura, da vera emergenza democratica? Troppo presto per capire chi sarà beneficiato e chi penalizzato nell’orgia di liste e candidati: a breve più numerosi degli elettori. E’ male che una pattuglia di grillini, intransigenti e magari responsabili come in Sicilia, non sia presente e incalzi il parlamentino sardo: ancora sordo, grigio e squallido.
Un’assenza per autolesionismo che non è una sorpresa. Semmai disperante conferma che nella politica sarda, anche quella presunta nuova e antagonista, il peggio deve sempre venire. E’ arrivato ora dai grillini. Dopo essersi confermata fino all’estenuazione nel Pd e nel centrosinistra come nel Pdl-Forza Italia e nel centrodestra.
Questa è la quarta legislatura, dal 1994, che finisce disastrosamente. Col primato assoluto, comunque, delle due dominate dalla destra e concluse con la Sardegna a tocchi, casse saccheggiate, deserto economico. Mai come adesso, tuttavia, dopo i cinque anni di Cappellacci e della grande crisi: con un doppio effetto moltiplicatore ed impatto devastante. Senza le grandi speranze e risorse messe in campo dal 2004 in poi: cancellate negli ultimi scellerati anni, in un discredito anche morale vergognosamente coperto o attutito dalla disinformazione regionale foraggiata con i soldi nostri .
Anche la nuova legislatura sembrava consegnata a un bis di quella conclusa: peraltro non escluso, con i debiti scongiuri. Con lo stesso disastroso centrodestra, pure multiplo e peggiore se possibile. E un centrosinistra dilaniato in faide inestricabili e irriducibili. Si salva in extremis e può riscattarsi col paracadute di una candidatura autorevole e rispettabile come quella di Francesco Pigliaru. Da sola non può bastare, né lo pretende, a risanare anni di disastri. I conti politici sono e restano in rosso, deprimenti. L’autofagia del Pd è assai più grave e inaccettabile della rissa a destra: di matrice solo berlusconiana.
Dal 1994 la sinistra coltiva il vizio assurdo di sbranare senza soste uomini e progetti lontani e diversi: Palomba prima, poi Soru e se stessa. In una continuità tossica e inesorabile che ha cancellato le culture politiche del Pci e della Dc. Resta incapace di una sintesi feconda. Pratica solo basse lotte di potere tra clan e persone squalificate ma senza il respiro di quelle passate. Anche nella contrapposizione e nella polemica sempre presenti, hanno saputo progettare e costruire momenti alti di crescita civile ed economica.
Ora è solo feroce mischia distruttiva: quasi un tratto caratterizzante e specifico di una sardità politica negativa, perfino peggio che nel Mezzogiorno. Parafrasando e rettificando il grande Giovanni Lilliu, l’attuale “costante resistenziale” è questa faida continua e inarrestabile. Mezzo ma anche fine di una guerra senza senso e senza termine, fino alla distruzione della Sardegna. Uno scenario disperante, che appare irredimibile più di quello nazionale.
Il realismo dell’analisi non è catastrofismo assoluto. Semmai l’opposto, per sfidare e sconfiggere coscientemente questo delirio incontrollato. Nel trionfo di tutti gli indipendentismi e sovranismi dilaganti, ricordiamoci che sono popoli veri quelli che hanno saputo prendere in mano il proprio destino: per costruirlo e realizzarlo. Non per cancellarlo. Accusando sempre gli altri. Assolvendo anche i nostri ascari e untori. Indipendentismo sì: ma anche e soprattutto da certi sardi. Giorgio Melis.
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NON LO DICE, PER NON DISTRARCI, MA MICHELA MURGIA PENSA GIA’ ALLE ELEZIONI EUROPEE E A UNA PRESENZA AUTONOMA DI UNA FORTE LISTA SARDA (MAGARI APPARENTATA CON LISTE DELL’INDIPENDENTISMO DEMOCRATICO DI ALTRE REGIONI ITALIANE)
Le elezioni regionali selezioneranno (ferocemente) anche gli indipendentisti/sovranisti, marginalizzando (elettoralmente s’intende) i più piccoli, che pur non superando percentuali bassissime (sotto o di poco sopra l’1 per cento) continueranno nel loro “splendido” (si fa per dire) isolamento. Se Michela Murgia supererà la prova, non dico vincendo come presidente (cosa peraltro possibile) ma anche solo piazzando una consistente pattuglia di consiglieri, il confronto si ripeterà in modo diverso per le elezioni europee. In tale circostanza, per ragioni di sistema elettorale (proporzionale), sarà forte l’attratività dei partiti centrali e il conseguente appoggio, quasi scontato, delle succursali sarde. Allora, sempre se confortata dal risultato regionale, Michela Murgia potrà proporre la sua coalizione come la più credible formazione sarda, abbastanza libera dai condizionamenti continentali, quindi indipendentista/sovranista nella sostanza. Vedremo… (Franco Meloni)
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Da L’Unione Sarda del 07 gennaio 2014
Progettare lo sviluppo della Sardegna
- Il deficit infrastrutturale è pesante
di Aldo Berlinguer
Sono forti i disagi che attanagliano l’Italia, troppo forti per ignorarli. Uno riguarda il deficit infrastrutturale che, dopo gli anni del boom economico, si sta acuendo sempre di più; specchio di una gestione miope, limitata, contingente del territorio.
Non è un caso se, dinanzi a fenomeni meteorologici neppure tanto acuti, i nostri ponti, strade, ferrovie, cadono a pezzi. E sempre più lunga è la lista delle opere infrastrutturali annunciate, incompiute, mal eseguite. Tantissime attendono ormai da decenni: la Pedemontana veneta, il Peduncolo di Biella, la Campogalliano-Sassuolo, vitale per le industrie ceramiche. Ma anche la “due mari” (E78, Grosseto-Fano), la SS172 dei “Trulli” in Puglia, la Ragusa-Catania in Sicilia e l’immancabile SS131, la nostra arteria principale, intitolata a Carlo Felice di Savoia che, nell’immaginario collettivo, avrebbe dovuto comporre la mitica strada europea E25.
Ma il deficit infrastrutturale non è ovunque lo stesso e noi, in Sardegna, lo sappiamo bene. Non abbiamo un’autostrada. Non abbiamo una ferrovia degna del nome, abbiamo un sistema portuale polverizzato, mal dotato e non integrato, acquedotti che fanno acqua da tutte le parti.
Cosa avverrà, nel 2014, con i collegamenti via mare? Cosa accadrà se anche Alitalia, dopo Meridiana, per ragioni legate a un bilancio endemicamente fallimentare, ridurrà ancora i collegamenti? Ce ne occuperemo quando accadrà o tentiamo da ora, nei limiti del possibile, di progettare alternative?
Pensiamo anche alla politica industriale. Nell’ultimo periodo la Regione ha adottato una serie di atti incongrui, finalizzati all’implementazione della zona franca (D.lgs 75/98). Si è visto di tutto, delibere di Giunta, leggi programmatiche, progetti di emendamento dello Statuto regionale. Una cosa però non abbiamo visto: un progetto di sviluppo dell’isola, un’idea, ancorché abbozzata, che consenta di declinare la locuzione “aree industriali collegate e collegabili” in termini progettuali. Quali aree vorremo collegare con quali porti? con quali aeroporti? in vista di quale sviluppo? per quali produzioni?
Anche l’inerzia degli amministratori non è un fatto solo sardo, vero. Infatti a Milano, negli scorsi giorni, Assolombarda si è fatta parte diligente ed ha presentato un piano triennale con 50 progetti operativi. Si parla di tutto, innovazione, accesso al credito, internazionalizzazione, scuola-lavoro. Viene disegnata una Milano come “Start Up Town” con 17 linee di azione su vari temi chiave: spin-off universitari, green economy, energia, Expo e aree dedicate, le quali vengono già da ora ripensate anche ex post, per aumentare l’attrattività del territorio.
Quali sono i progetti per la Sardegna? Facciamo due esempi. La riconversione del Sulcis è una priorità improcrastinabile. La Commissione europea ha appena pubblicato importanti bandi nel settore delle materie prime, ivi compreso quello minerario.
È un’opportunità che non possiamo permetterci di perdere. Quali progetti riusciamo a concepire per poter convertire il settore e rilanciare sviluppo e competitività?
Altro tema delicato: nel 2013 in Europa sono stati chiusi impianti di raffinazione petrolifera per 350 mila barili al giorno. Lo dice l’Unione Petrolifera che evidenzia anche il pericolo di ulteriori chiusure, oltre ai cambi di proprietà in favore di russi, cinesi, indiani. Negli anni ’70, in Italia vi erano ben 34 impianti a regime, oggi solo 13. E le lavorazioni diminuiscono a vista d’occhio (71 milioni di tonnellate nel 2013, con un decremento del 11,9% rispetto al 2012). Non a caso, dopo Cremona e Pantano ora toccherà alla Ies di Mantova che chiuderà il 6 gennaio.
Cosa succede? Tanti sono i fattori critici: tutti noti. Il consumo di carburante diminuisce a vista d’occhio sotto il peso del carico fiscale, ormai insostenibile. Solito refrain: tassare troppo significa ottenere meno. E il carico fiscale sulla benzina è giunto al 60%, quello sul gasolio al 56%, il più alto in Europa. Non parliamo poi dei costi energetici, male endemico ancora irrisolto. Si aggiunga infine la lenta, inesorabile svolta verso i veicoli ad alimentazione ibrida, elettrica o alternativa.
Insomma, anche questo genere di produzioni, un tempo assai redditizio, potrebbe rimanere penalizzato. E la Saras? Potrebbe venir interamente acquisita dai Russi? Ridurre la produzione? Che tipo di scenario è lecito immaginare nel 2014? A Mantova l’impianto della IES diverrà un polo logistico. Esiste già un progetto. Ora, con l’avvicinarsi delle elezioni regionali, ormai fissate per il 16 febbraio, quali progetti per la Sardegna le forze politiche proporranno agli elettori? Su quali modelli di sviluppo verrà incentrata la campagna elettorale?
Aldo Berlinguer
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