Manifestazioni del 15 marzo 2025. The day after

img_2291 Comunicato di Comitato Marcia PerugiAssisi (…)
————————
Tonino Dessì su fb
(…) , anche ammettendo un riflesso difensivo (ma non quello del ReArm Eu), che rimetta in sesto le esigenze di sicurezza continentale, non è quella l’Europa che serve.
Non si può vagheggiare alcun improbabile e improponibile suprematismo, ma neppure praticare alcuna chiusura a riccio minoritaria e nostalgica.
Serve un’Europa illuminata da un respiro universalista, umanista, progressista, democratico, plurale, cooperativo, inclusivo, attraente e attrattivo.
Ancora ne siamo sideralmente lontani.
Ma l’asta del salto è fissata a quell’altezza: o la si raggiunge o ci aspetta la polvere.
——————————-
Per un’Europa di pace
Contro la guerra e la corsa al riarmo, sabato 15 marzo abbiamo portato a Roma, nella piazza per l’Europa, la bandiera di Aldo Capitini, la bandiera della PerugiAssisi, la bandiera della pace e del disarmo, la bandiera della nonviolenza.
Ed è stata un’altra occasione per dire “Disarm Europe!” L’Europa che vogliamo è un’Europa di pace, un’Europa che deve ricominciare a lavorare per la pace, che deve fare ogni sforzo per fermare le guerre. Non per alimentarle. Senza usare due pesi e due misure. In Ucraina come a Gaza.
Per ore e ore hanno tentato in tutti i modi di farci chiudere la bandiera della PerugiAssisi ma non sono riusciti ad impedirci di dire che “La bandiera dell’Europa e la bandiera della pace camminano insieme”.
Ci hanno escluso dal palco ma non ci potranno impedire di continuare ad impegnarci per la pace, contro il mostro della guerra e i piani di chi ci sta trascinando nel suo vortice, rendendoci ogni giorno più poveri e vulnerabili. La lotta per la pace è la lotta per il futuro.
——————————-
Facciamoci costruttori di pace

“Sono la prima sindaca donna della città che ha dato i natali ad Aldo Capitini. E per me è un’emozione enorme vedere oggi in questa piazza le bandiere che Aldo portò alla prima marcia della pace.
Oggi siamo qui per immaginare un’Europa diversa. Perché un’Europa che dimentica le proprie origini è un’Europa che non sa guardare al futuro. Perché anche una fortezza, anche la più armata, se è priva dei valori che rendono uniti, può essere espugnata.
Abbiamo bisogno di riscoprire il valore della pace, di non arrendersi all’idea che la guerra debba rappresentare sempre e necessariamente il presupposto di ogni ragionamento politico.
Dobbiamo non aver più pudore nel dire che dobbiamo farci costruttori di pace perché siamo nati con questo sogno. Viva l’Europa unita. Evviva l’Europa della pace.”

Vittoria Ferdinandi, Sindaca di Perugia, sabato 15 marzo
———————————
Tonino Dessì su fb
Non mi ha convinto nessuno.
Ho guardato con interesse alla convocazione della Manifestazione per l’Europa di Piazza del Popolo a Roma e alle progressive numerose adesioni.
Credo che sia stata un’iniziativa volenterosa e che la sua radicale contestazione ex ante, come quelle ex post, siano state inficiate da pregiudizio e da settarismo.
In termini numerici, partecipativi, mi pare si possa parlare di un successo relativo.
Cinquantamila persone a Roma sono una piazza romana, di centrosinistra, non una grande manifestazione coralmente alimentata da tutti i luoghi del nostro Paese.
Ho voluto, mentre si svolgeva, metterla a confronto con le altre manifestazioni che in contemporanea si sono svolte nel Continente, in due Paesi UE (Romania e Ungheria) e in due Paesi non UE, la vicina Serbia e la lontana Georgia.
Tutte (appena un po’ meno nettamente quella di Belgrado) venate di un forte richiamo all’Europa e al suo attuale simbolo politico, quello dell’Unione Europea.
Tutte, diciamocelo chiaramente, piuttosto segnate dal tema del rapporto con la Federazione Russa di Putin, che incombe sulla Romania, Paese UE alla vigilia di delicate elezioni politiche e presidenziali, sull’Ungheria, Paese UE governato da una democratura programmaticamente illiberale ispirata al regime russo come quella di Orban e in contestazione di entrambi, sulla Serbia dello sciovinista grande-serbo Vučić, che mantiene i piedi in due staffe, quella della candidatura di adesione alla UE e quella dei rapporti politici e militari con Mosca e il cui governo in queste settimane è oggetto di una contestazione di massa per corruzione, talchè oggi si pronostica la caduta dell’Esecutivo con l’indizione di nuove elezioni, infine sulla Georgia, Paese candidato all’adesione alla UE spaccato esattamente in due tra un governo filorusso e le piazze europeiste.
Le dimensioni delle quattro manifestazioni contemporanee (decine di migliaia di partecipanti a Budapest, centinaia di migliaia a Bucarest e a Tbilisi, forse un milione a Belgrado) sono enormemente superiori a quella romana.
Da noi in effetti il sentimento europeo non desta entusiasmo, sia perché l’Italia è componente storica, fin dalle origini, della UE, sia perché immagine e modo di essere della UE hanno dato luogo a una disaffezione diffusa.
Cosa spinga altre opinioni pubbliche in altri Paesi a invocare l’Europa più convintamente che da noi si spiega prevalentemente col fatto che l’alternativa, ossia essere riassorbiti nella “sfera d’influenza” della Russia di Putin, da quelle parti fa concretamente paura.
In fondo l’Euromaidan di Kiev aveva le stesse motivazioni e la risposta di Mosca ha lugubremente reso comprensibili la natura e le conseguenze possibili di quell’alternativa.
Nessuna regia comune, ovviamente, tuttavia coincidenze significative.
Eppure.
Ecco, se c’è qualcosa che non mi ha convinto dell’evento romano è che proprio di fronte al dispiegarsi di quelle manifestazioni contestuali l’orizzonte culturale espresso dal palco degli oratori mi è parso preoccupantemente provinciale.
Comprendo magari una certa genericità di Michele Serra, connotata da una forma di volontarismo “pop”, ho dato già nei giorni precedenti una lettura positiva del ragionamento di Antonio Scurati, volto a ritrovare un senso della storia profonda (secoli e secoli di guerre ininterrotte, dalla caduta dell’Impero d’Occidente fino al 1945) del Continente fino alla cesura pacifica e pacifista degli ultimi ottant’anni di tregua, dai quali siamo usciti “migliori”, ma disincantati e privi persino del nerbo che animò la resistenza antifascista e antinazista, non mi associo alle accuse di suprematismo (non solo eurocentrico, ma addirittura “bianco”) e persino di fascismo e di razzismo rivolte a Roberto Vecchioni.
Tuttavia i richiami culturali “indipendentisti”, esemplari quelli di Vecchioni che hanno richiamato alcuni classici della cultura europea, ma hanno eliso tanto ogni riferimento a quella russa (pur sempre europea), quanto a quella anglosassone e a quella prettamente statunitense (come se ormai non permeassero quasi a livello genetico ciascuno di noi), mi son sembrati, mi si perdoni, persino patetici.
Non è pensabile un’Europa rattrappita in quella dimensione, nel XXI secolo.
A Trump, che l’abiura perché “parassitaria” e a Putin, che con Dugin e con Kyril rivendica il primato egemonico della “terza Roma” erede dell’Impero d’Oriente, potrebbe pure andar bene.
A Xi, che sotto gli emblemi “comunisti” della Repubblica Popolare Cinese persegue non meno di Mao la continuità imperiale con la millenaria civiltà Han, non fregherebbe un bel nulla.
Per dire della triade delle grandi potenze (due e mezza, insomma, perché la Russia resta un’entità precaria).
L’Africa nostra dirimpettaia è già rassegnata alla nostra assenza (senza troppi rimpianti del nostro passato colonialista, se non fosse che i nuovi colonizzatori son pure peggio).
Nel Vicino e nel Medio Oriente, crocevia delle tre religioni monoteiste a nessuna delle quali la cultura europea può dirsi estranea, non ci siamo proprio. Israele non è nemmeno più Occidente, se non come presidio degli USA nella regione.
Ecco, anche ammettendo un riflesso difensivo (ma non quello del ReArm Eu), che rimetta in sesto le esigenze di sicurezza continentale, non è quella l’Europa che serve.
Non si può vagheggiare alcun improbabile e improponibile suprematismo, ma neppure praticare alcuna chiusura a riccio minoritaria e nostalgica.
Serve un’Europa illuminata da un respiro universalista, umanista, progressista, democratico, plurale, cooperativo, inclusivo, attraente e attrattivo.
Ancora ne siamo sideralmente lontani.
Ma l’asta del salto è fissata a quell’altezza: o la si raggiunge o ci aspetta la polvere.
———————-

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>