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Cari amici,
il ventre della guerra che nessuno ha voluto fermare è sempre più gonfio e genera mostri. È arrivata la crisi della Siria, i jihadisti al potere, che saranno anche moderati e pacifici ma è strano che gli Stati Uniti, Israele e tutto l’Occidente cantino vittoria, mentre la Turchia si agita, e Israele ne approfitta per bombardare la Siria, occupare le alture siriane del Golan e proclamarlo suo “per tutta l’eternità”; continua intanto lo scempio di Gaza e a questo punto non si può arguire quale sarà il futuro del Medio Oriente e quali saranno le sfide che ne verranno per tutto il mondo; si incrudelisce la guerra in Ucraina, Biden e tutta l’Europa, quella dell’Unione Europea, che ormai non è più un’unione ma appare brutalmente divisa, cercano di cogliere l’ultimo tempo utile prima del passaggio di poteri negli Stati Uniti per “sconfiggere la Russia”, cioè per colpirla con le più potenti e penetranti armi della NATO e dell’Occidente, ciò a cui la Russia risponde con i missili supersonici, e insomma i fratelli nemici giocano col fuoco e spensieratamente rischiano una guerra mondiale, e non vogliamo neanche pensare che possa essere una guerra nucleare. In proposito pubblichiamo nel sito un preoccupato articolo di un deputato europea di larga esperienza.
Intanto il Consiglio della Comunità Ebraica di Bologna ha dato riscontro alla Lettera agli Ebrei della Diaspora, che ben conoscete e che molti di voi hanno firmato (e che può essere ulteriormente da altri firmata). Vi mandiamo in allegato sia questa lettera che la nostra risposta (in un unico documento).
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
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Roma, 12 dicembre 2024.
Cari amici,
il Consiglio della Comunità Ebraica di Bologna ha dato riscontro alla nostra Lettera agli Ebrei della Diaspora, con la mail che vi mandiamo in allegato. Come prima risposta, con riserva di ulteriori approfondimenti nel dialogo che si è così avviato, abbiamo scritto alla Comunità di Bologna questa lettera:
ALLA COMUNITÀ EBRAICA DI BOLOGNA
Cari Amici,
vi ringraziamo della vostra risposta alla nostra lettera, che indica un’apertura al dialogo tra noi, che resta possibile purché nessuno pensi che l’altro voglia “pontificare” con i suoi argomenti.
Vogliamo subito ribadire che, non “a differenza di voi”, siamo profondamente sensibili ai patimenti degli Ebrei di Israele, sommati a quelli dei Palestinesi di Gaza, ma pensiamo che se si scompone questa somma non considerando i pluriennali patimenti vicendevolmente inflitti come causa scatenante delle rispettive violenze, nessun discorso attendibile si può fare né per l’oggi né per il futuro. Non si può nemmeno dire che è questione di proporzione, che fino a un certo punto la devastazione e la strage sono la misura giusta che la popolazione di Gaza si è meritata. A ciò si può aggiungere, sul piano dei sentimenti e della comunicazione di massa, che purtroppo l’entità, la durata e le intenzioni dichiarate della offensiva israeliana a Gaza, hanno funzionato come un colpo di maglio sul manifestarsi e perdurare dello sdegno per la efferata azione terroristica del 7 ottobre.
La cosa che più ci preoccupa nella risposta ricevuta è la vostra reiezione dell’ONU. Se essa ha reiterato le sue pronunzie lo ha fatto in rapporto alle ripetute condotte dello Stato di Israele, e di certo ha manifestato in questa e in altre occasioni i limiti gravi della sua possibilità d’intervento, dominata com’è dalle grandi Potenze; ma se si liquida l’ONU viene meno anche il virgulto di un ordinamento pacifico mondiale, che è un inderogabile obiettivo se si vuole un futuro, e sarebbero anche per sempre smentite le visioni universalistiche dei profeti d’Israele. Siamo anche sconcertati per l’avallo. che forse vi è sfuggito nella vostra lettera, all’uccisione degli operatori dell’ONU, ritenuti collusi con Hamas e perciò “entrati nel mirino dell’IDF”: avallo che implicitamente si estende a tutte le uccisioni dei membri di Hamas e di quelli che sono considerati collusi con essa, come Israele considera l’intera popolazione di Gaza e molti dei cooperanti stranieri.
Riguardo alla ricostruzione degli eventi passati, non è nostra l’accusa di colonialismo, che è un fenomeno moderno, mentre sappiamo bene che il rinnovato stabilimento in quella Terra è la secolare aspirazione della storia ebraica, e oggetto della triplice preghiera quotidiana degli osservanti. Tuttavia non si può dimenticare che fin dall’inizio l’insediamento ebraico in Palestina è stato concepito come realizzabile solo attraverso la violenza contro i “nativi”, come allora venivano chiamati i Palestinesi; lo stesso Ben Gurion, uno dei padri fondatori, nel 1936 diceva all’Agenzia ebraica che era «assolutamente fuori questione» che quel progetto si potesse realizzare attraverso un accordo: «Gli Arabi non potranno mai accettare uno Stato di Israele se non dopo essere arrivati alla completa disperazione», e il fondatore dell’Irgun, Jabotinsky, scriveva nel 1923 che “qualsiasi popolazione indigena si opporrà ai nuovi arrivati finché avrà la speranza di liberarsi dal pericolo di insediamento di stranieri”. La sola strada, quindi, passava «dal muro di ferro, ossia dall’istituzione in Palestina di una forza che non possa in alcun modo essere modificata dalla pressione araba… O sospendiamo la nostra attività insediativa o andiamo avanti senza prestare attenzione allo stato d’animo dei nativi. Gli insediamenti dovranno così svilupparsi sotto la protezione di una forza che non dipende dalla popolazione locale, dietro un muro di ferro che essi non possono infrangere”.
Ci si può chiedere peraltro se tale nuovo radicamento ebraico in Israele possa avvenire solo nella forma di uno Stato, concepito secondo la violenta ideologia moderna, e in ogni caso fino a quanti morti, a quante distruzioni, a quanti dolori, anche secondo il punto di vista ebraico, è lecito perseguire la definitiva sicurezza di questa realizzazione; né si può pensare che quella che viene considerata la missione ebraica nel mondo, si possa onorare solo nello Stato di Israele e non anche nella condizione della Diaspora, a cui ci siamo rivolti nella nostra lettera. Altrimenti anche questo sarebbe “un sogno irenico”; E anche noi ci chiediamo, con Gershom Sholem, se questa realizzazione storica del “ritorno a Sion” “potrà mantenersi senza precipitare nella crisi dell’istanza messianica”.
Infine ci teniamo a precisare che il nostro riferimento alla problematica delle migrazioni in Italia e negli altri Stati, non si riferiva affatto ai profughi palestinesi che, se scacciati da Israele, avrebbero comunque il diritto d’asilo quale che sia il loro numero, ma si riferiva al problema strutturale delle migrazioni e dello scambio tra i popoli che è ormai un problema ineludibile del nostro tempo, oggi criminalizzato da cattivi governanti.
Con rinnovati cordiali saluti,
per i firmatari della Lettera AI NOSTRI CONTEMPORANEI DEL POPOLO EBRAICO DELLA DIASPORA
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Gentili signori, il Consiglio della Comunità ebraica di Bologna comprende che la vostra lettera è
stata dettata dall’angoscia suscitata in voi dalla sanguinosa guerra tra Israele e Hamas, dal
riconoscimento delle difficoltà che stanno vivendo i Palestinesi in Medioriente e in genere dalle
preoccupazioni per la pace nel mondo. Queste angosce, queste preoccupazioni le viviamo anche
noi, ma, a differenza di voi, conosciamo e riconosciamo anche le difficoltà e le sofferenze che
stanno vivendo gli Israeliani. Infatti, dopo gli orrori del 7 ottobre – con torture, stupri, morti atroci e
rapimenti – i circa 40.000 razzi e droni sparati in questi 14 mesi dalla Striscia di Gaza, dal Libano,
dalla Siria, dall’Iraq, dallo Yemen e dall’Iran hanno ucciso o ferito indiscriminatamente ebrei e non
ebrei, hanno distrutto abitazioni, scuole, sinagoghe, attività produttive, bruciato ettari ed ettari di
campi e creato decine di migliaia di sfollati; la guerra in atto ha ucciso o mutilato tanti soldati, la
maggior parte ragazzi di leva o riservisti. Se le vittime israeliane non sono state più numerose il
merito va alle costosissime e sofisticate difese anti-missile e al capillare sistema di rifugi di cui
Israele si è dotato.
Abbiamo deciso di scrivervi toccando in maniera succinta i principali punti che non ci sono piaciuti
in questa lettera, che riteniamo peraltro dettata da buone intenzioni.
Sembra, dalla vostra lettera, che la responsabilità di tanta sofferenza ricada sulla “spietata
ritorsione” di Israele (“in odore di genocidio”) e sul fatto che “lo Stato di Israele in più di 70 anni
non sia riuscito a dare una soluzione al problema palestinese”, come se all’origine di tutto non ci
fosse stata una reiterata volontà degli stati arabi circostanti, prima, e dei leader palestinesi, poi, di
non accettare la presenza ebraica nella regione. Presenza che peraltro voi fate risalire, a dispetto
della verità storica, al fatto che, su quelle terre, “gli Ebrei sono gli “altri” sopraggiunti a sovrastare
una popolazione già esistente”. Senza rendervene probabilmente conto, abbracciate una falsa
narrativa, in base alla quale il progetto sionista appare come un “progetto coloniale” e, come tale, da
combattere per principio. Non era certo volontà della corrente maggioritaria del sionismo cacciare
gli abitanti arabi da quelle terre. Del resto, nell’Israele di oggi vive una popolazione araba che è
circa 4-5 volte quella che vi risiedeva nel 1948, e ha pieni diritti civili e politici, nonostante che nel
2018 sia stata approvata una legge, per alcuni discutibile, la cosiddetta legge dello Stato-Nazione,
che voi ricordate a supporto del concetto, non esplicitato ma sottinteso, che in Israele viga un
regime di apartheid e che sia uno stato teocratico (vi sfidiamo però a trovare in Israele traccia di
discriminazioni su base etnico-razziale).
Ed ecco che, dopo i motivi umanitari (a senso unico, però) e le dichiarazioni pacifiste, emerge un
altro vostro grave motivo di preoccupazione per la guerra in corso: la paura che ci capitino in
Europa centinaia di migliaia, se non milioni, di profughi palestinesi. Sì, milioni, perché i
discendenti dei circa 650.000 palestinesi espulsi (o volontariamente allontanatisi) da Israele nelComunità Ebraica di Bologna
Via de’ Gombruti 9 – 40123 Bologna
tel. O51/232066
E-mail: segreteria@comunitaebraicabologna.it
1948 sono diventati 5-6 milioni in quanto l’UNRWA (a differenza dell’UNHCR, che si occupa dei
profughi del resto del mondo) considera profughi anche i loro discendenti fino all’n-esima
generazione. Siete preoccupati che 5-6 milioni di profughi sovvertano l’identità europea, mentre
trovate naturale che li accetti un piccolo Paese come Israele… Uno strano ragionamento!
Ci preme rispondere ad altri punti della vostra lettera, non tanto per amore di polemica, ma perché
riflettono pregiudizi e conoscenze errate molto diffuse che riteniamo importante correggere.
- Per quanto riguarda l’ONU, numerosi analisti di diversi schieramenti sottolineano da
tempo come tale Organismo abbia perso credibilità e autorevolezza; a riprova della sua
delegittimazione, ha messo a capo della Commissione sui Diritti Umani l’Iran e della
Commissione per la Parità di Genere l’Arabia Saudita, e ha negato l’esistenza di un legame
storico degli ebrei con Gerusalemme. Le mozioni di condanna di Israele sono state più di
quelle comminate a tutti i Paesi mussulmani messi insieme (inclusa la Siria, il Sudan, l’Iran,
ecc.): non c’è da stupirsi se Israele pensa di essere giudicato con un metro ingiusto e le
ignora. L’UNRWA, nato per perpetrare all’infinito il problema dei profughi palestinesi e
non per risolverlo, ha da sempre nei suoi ranghi operatori e insegnanti collusi con Hamas,
quindi non c’è da stupirsi se siano entrati nel mirino dell’IDF; l’UNIFIL aveva il compito di
far rispettare la mozione ONU 1701/2006 ma ha chiuso occhi, orecchie e bocca davanti alle
violazioni quotidiane di Hezbollah, che ha potuto scavare chilometri di tunnel, riempirli di
armi e lanciare circa 13000 missili dal 9 ottobre 2023 al 26 febbraio 2024 (data di inizio
dell’offensiva israeliana nel Libano).
- Alla fine di pag. 3 notiamo un errore: non sono gli Israeliani che gridano “Iddio è grande”
mentre attaccano i nemici.
- Sotto l’Impero Ottomano, i rapporti tra Mussulmani, Cristiani ed Ebrei non erano del tutto
idilliaci. Cristiani ed Ebrei dovevano pagare una tassa per poter esercitare la loro religione e
godevano di minori diritti dei mussulmani. Non mancarono inoltre episodi di intolleranza.
Tuttavia, rispetto alle persecuzioni cui erano in genere fatti segno nei Paesi cristiani, gli
Ebrei dell’Impero Ottomano vivevano sicuramente meglio. La situazione peggiorò dopo la
nascita dello Stato di Israele. Secondo le statistiche ufficiali arabe, 856.000 ebrei furono
espulsi dai Paesi arabi, dal 1948 fino agli inizi del 1970. Circa 600.000 si sono reinsediati in
Israele, rimpiazzando numericamente gli arabi che avevano lasciato Israele nel 1948.
Infine, la soluzione! Avevate dichiarato di voler evitare “un’interferenza in una questione che è solo
vostra” (degli Ebrei della diaspora?) e, ancor più esplicitamente che “Sarebbe una presunzione e
ancora il riflesso di una mentalità egemonica stabilire i termini di tale soluzione, che possono
scaturire solo da una ricerca comune e dalla inventiva della storia.” Ma, nonostante queste
dichiarazioni, eccovi a pontificare sull’impossibilità di portare avanti una soluzione “due popoli –
due stati”. Non si capisce perché per tale soluzione sarebbe necessaria “ben più di una
conciliazione” mentre un unico stato binazionale sarebbe la soluzione che consentirebbe la
convivenza pacifica. Che ne direste se un giudice ritenesse che due coniugi che hanno cercato di
ammazzarsi a vicenda debbano convivere e non stare in due appartamenti indipendenti? Appoggiare
questa bizzarra convinzione sulle opinioni di due personaggi privi di seguito politico (per non dire
altro) come Ilan Pappé e Noam Chomsky (tra l’altro statunitense) è poi un insulto alla memoria di
Rabin, che alla soluzione di due popoli – due stati ha creduto fino alla morte.
Nel rivolgervi a noi ebrei della diaspora riconoscete che siamo stati investiti da un’ondata di
antisemitismo quale da tempo non si conosceva e vi affrettate a ricordare ai cattolici che leggono (e
firmano) questo documento che non sussistono più i motivi teologici dell’antisemitismo – che tante
sofferenze hanno causato – (motivi che esplicitate con tanto dettaglio che uno spiritello maligno ci
suggerisce che si voglia ricordare agli eventuali firmatari cristiani che questo pensiero non fa più
parte del pensiero ufficiale della Chiesa, nel caso, a nostro parere probabile, che non se ne fossero
ancora resi conto…). Però attribuite a Netanyahu e – per traslazione – a tutta Israele, delle
Comunità Ebraica di Bologna
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farneticazioni messianiche, che purtroppo riconosciamo come patrimonio di un partito che partecipa
all’attuale governo ma che rappresenta una piccola minoranza degli ebrei israeliani.
Vi rivolgete a noi ebrei della diaspora in quanto ci ritenete “parte di una comunità mondiale
pluralistica e multiculturale” (in contrapposizione con la comunità tribale presente in Israele?) e ci
chiedete di aprire un dialogo con i nostri fratelli ebrei in Israele (sicuramente per illuminarli,
altrimenti non si capirebbe perché…). E, mentre si leggeva molto bene a pagina 1 che secondo voi
la causa dell’impennata attuale dell’antisemitismo è stata il comportamento aggressivo di Israele e
che la guerra in Medio Oriente (dovuta alla già citata spietatezza della ritorsione israeliana)
potrebbe essere responsabile dell’allargamento del conflitto (“…così ogni altro popolo potrebbe
cadere nella stessa sindrome di annientamento reciproco, in modo tale che l’unità della famiglia
umana sarebbe rotta e il mondo non potrebbe sussistere”), ecco che in chiusura riponete
nell’assennatezza che noi ebrei della diaspora dovremmo infondere ai confratelli israeliani la
speranza che il conflitto possa comporsi nella costituzione di un “villaggio globale” in cui
regni amore reciproco.
Non possiamo che lasciarvi a questo sogno irenico, che farebbe felici tutti quanti.
Tuttavia, noi ebrei della diaspora non abbiamo un pensiero unico, non abbiamo diritto di voto in
Israele e men che meno pretendiamo di influenzarne l’opinione pubblica. Anche senza la vostra
esortazione, intratteniamo con Israele un continuo scambio di opinioni e di informazioni, che ci
consente di rassicurarvi sul fatto che Israele è ancora uno stato democratico in cui tutti hanno il
pieno diritto di esprimere le proprie posizioni politiche, anche in dissenso con il governo; ci è anche
chiaro che Israele sta affrontando con grande spirito di solidarietà questo periodo difficilissimo, ma
che nel contempo le opinioni politiche sono molto diversificate e l’opposizione è molto estesa. Su
tutti però prevale un acuto desiderio di pace.
Il Consiglio
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