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Cari amici,
la Corte Costituzionale ha pubblicato una lunga sentenza con cui dichiara l’incostituzionalità della maggior parte delle norme contenute nella eversiva legge sulle autonomie regionali, detta legge Calderoli, che viene così sostanzialmente a cadere. Sono particolarmente interessanti peraltro i motivi che fondano questa pronunzia, perché sulla scorta della nostra Costituzione, la Corte enuncia i principi di uno Stato binazionale, multinazionale e pluralistico, quale è quello italiano nel quale convivono le identità di due o più popoli (l’italiano e il tedesco del Sudtirolo o Alto Adige, ma anche comunità di altri popoli).
Questo modello così preconizzato dalla nostra Costituzione potrebbe ispirare una rifondazione dello Stato di Israele, nella forma dei “due popoli e uno Stato”, quale abbiamo ipotizzato nella nostra lettera agli Ebrei, dato il tramonto della soluzione a due Stati. In particolare la Corte ricorda che il regionalismo, che è una caratteristica fondamentale del nostro Stato, «è connotato dall’attribuzione alle regioni dell’autonomia politica, che si specifica in autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria», ciò che nel caso di Israele potrebbe configurare il dualismo tra l’ordinamento del territorio dello Stato quale risulterebbe dagli accordi di Oslo e la Cisgiordania. Al tempo stesso, dice la Corte, «fin dai principi fondamentali, la Costituzione definisce la Repubblica come “una e indivisibile”», caratteri che «si fondano sul riconoscimento dell’unità del popolo», a cui la Carta «attribuisce la titolarità della sovranità». Si tratta perciò di uno Stato che «riconosce e garantisce pienamente il pluralismo politico, sociale, religioso, scolastico, della sfera economica». Tuttavia, «tale accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale – precisa la Corte – non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo». È una «compresenza e dialettica di pluralismo e unità che può essere mantenuta solamente se le molteplici formazioni politiche e sociali e le singole persone, in cui si articola il “popolo come molteplicità”, convergono su un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva. In essa confluiscono la storia e l’appartenenza a una comune civiltà», ciò a cui «si riferisce la stessa Costituzione quando richiama il concetto di “Nazione”».
In questo quadro, a coronamento di una riconciliazione tra Israeliani e Palestinesi, si può pensare a un Patto tra lo Stato e la confessione ebraica, che introduca un ordinamento di laicità, pluralismo e libertà religiosa, col riconoscimento giuridico dell’identità e della professione individuale e collettiva della fede, come fa, agli art. 7 e 8, la nostra Costituzione.
Si dirà che questo invidiabile disegno costituzionale non si è veramente realizzato, ma per colpa nostra, che non si può parlare, per Israeliani e Palestinesi (dentro e fuori la Diaspora), di un solo popolo, di una sola nazione, di una comune identità. Ma si può rispondere che una cosa è un ordinamento giuridico, e altra cosa sono le realtà umane e sociali che corrono nella storia; di certo è possibile una più alta politica, e in ogni caso il trapasso d’epoca che stiamo vivendo può essere superato solo se concepiamo un’altra forma di identità che non sia ripiegata su se stessa ma si apra all’altro, che si tratti del migrante, dell’altro popolo, dell’altra lingua, dell’altro colore, dell’altra cultura.
Questo modello è quello che potrebbe salvare lo Stato di Israele, che a causa dello sgomento suscitato dalla guerra di sterminio a Gaza, è a rischio di perdere lo scudo protettivo della Diaspora ebraica, e di rimanere isolato precipitando in una guerra perpetua con gli odiati Palestinesi e gli Stati del Vicino Oriente. Un inedito Concordato si stabilirebbe così tra lo Stato ferrigno di Israele e la sua anima ebraica: “Gerusalemme nostra giustizia” come è chiamata con Geremia in questa prima settimana d’Avvento.
Di tutto questo potremmo discutere nelle nostre lettere.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Umberto Baldocchi che in occasione del miracolo della nuova inaugurazione di Notre Dame, dopo l’incendio eroicamente spento dai “pompieri” francesi, delinea quella che dovrebbe essere la missione dell’Europa. Pubblichiamo anche la prima parte e la conclusione di una straordinaria enciclica di papa Francesco, la “Dilexit nos”, che, uscita già da qualche tempo, il 24 dell’ottobre scorso, è caduta nel silenzio, forse perché è lunga e percorre tutta la storia della Chiesa, ma anche perché parla dell’amore vero, che dovrebbe sussistere tra le persone e i popoli.
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
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