Nulla d’intentato per la Pace
Cari amici,
la lettera firmata da molti di voi “ai nostri contemporanei del popolo Ebraico della Diaspora” è stata inviata in data 29 novembre 2024 a tutte le comunità e le sezioni dell’ebraismo italiano, alla Presidente dell’Unione e al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Essa è stata pubblicata dai siti del Fatto Quotidiano, del Manifesto, di Adista; altri siti l’hanno pubblicata nella versione circolata in precedenza nella fase di gestazione. Le ultime firme sono state quelle del premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel e del Presidente dell’Agorà degli Abitanti della Terra Riccardo Petrella.
Una prima risposta da parte dei destinatari è giunta dalla comunità ebraica di Napoli e dalle sezioni del Sud e delle Isole; è una replica in forte dissenso ma articolata e indizio del fatto che un dialogo può essere istituito e dunque è un riconoscimento dell’utilità di questa iniziativa. In particolare la comunità ebraica di Napoli sostiene “che l’antisemitismo non è stato determinato dalla guerra a Gaza ma semplicemente si è manifestato in modo plateale e pubblico nel momento in cui Israele è apparso vulnerabile. E questo perché, piaccia o meno, nell’immaginario collettivo Israele viene identificato con gli Ebrei, con tutti gli Ebrei, e gli Ebrei vengono identificati con Israele”. Il nostro intento è appunto quello di contrastare questo antisemitismo anche mediante il riconoscimento della distinzione tra Ebrei e Israeliani. Altro tema assai discutibile riguarda la storia che ha portato alla situazione attuale su cui sarà bene continuare la riflessione e l’indagine. La comunità di Napoli afferma “l’evidenza storica e demografica di uno Stato creato in una ex provincia dei vari regni e imperi che si sono succeduti in quella regione dove c’era spazio a sufficienza per creare due Stati, ma che invece, per il rifiuto della parte araba ad accettare uno Stato non musulmano in quei luoghi ha portato paradossalmente alla nascita dello Stato non accettato (Israele) e alla mancata indipendenza di quello per il quale tutto il mondo arabo diceva e dice di battersi”: sono appunto queste tormentate origini che occorre rivisitare, perché è a partire da una corretta lettura della storia passata che si può trovare una soluzione alle tragedie del presente.
Questi primi riscontri alla lettera ci incoraggiano a proseguire in questa ricerca e in questo dialogo e con una empatia per tutte le vittime che gli amici ebrei di Napoli ci contestano di non avere espresso abbastanza nel nostro documento.
La lettera agli Ebrei, come è detto in calce alle firme, può essere liberamente riprodotta e scambiata così da promuovere e incentivare il necessario dialogo.
Nel nostro sito pubblichiamo una intensa lettura di Roberta De Monticelli sul difficile processo attraverso cui si è giunti ai mandati di arresto della Corte Penale Internazionale, e un articolo sull’iniziativa di 2500 città contro la pena capitale.
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
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Roma, 30 novembre 2024.
Cari amici,
la lettera agli Ebrei della Diaspora che insieme abbiamo predisposto e firmato è stata inviata in data 29 novembre 2024 a tutte le comunità e le sezione dell’ebraismo italiano, alla presidente dell’Unione delle comunità Ebraiche, e al Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Essa è stata pubblicata dai siti del Fatto Quotidiano, del Manifesto, di Adista; altri siti l’hanno pubblicata nella versione circolata in precedenza nella fase di gestazione. Le ultime firme sono state quelle del premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel e del Presidente dell’Agorà degli Abitanti della Terra Riccardo Petrella.
Una prima risposta da parte dei destinatari è giunta dalla comunità ebraica di Napoli e dalle sezioni del Sud e delle Isole; è una replica in forte dissenso ma articolata e indizio del fatto che un dialogo può essere istituito e dunque è un riconoscimento dell’utilità di questa iniziativa. In particolare la comunità ebraica di Napoli sostiene “che l’antisemitismo non è stato determinato dalla guerra a Gaza ma semplicemente si è manifestato in modo plateale e pubblico nel momento in cui Israele è apparso vulnerabile. E questo perché, piaccia o meno, nell’immaginario collettivo Israele viene identificato con gli Ebrei, con tutti gli Ebrei, e gli Ebrei vengono identificati con Israele”. Il nostro intento è appunto quello di contrastare questo antisemitismo anche mediante il riconoscimento della distinzione tra Ebrei e Israeliani. Altro tema assai discutibile riguarda la storia che ha portato alla situazione attuale su cui sarà bene continuare la riflessione e l’indagine. La comunità di Napoli afferma “l’evidenza storica e demografica di uno Stato creato in una ex provincia dei vari regni e imperi che si sono succeduti in quella regione dove c’era spazio a sufficienza per creare due Stati, ma che invece, per il rifiuto della parte araba ad accettare uno Stato non musulmano in quei luoghi ha portato paradossalmente alla nascita dello Stato non accettato (Israele) e alla mancata indipendenza di quello per il quale tutto il mondo arabo diceva e dice di battersi”: sono appunto queste tormentate origini che occorre rivisitare, perché è a partire da una corretta lettura della storia passata che si può trovare una soluzione alle tragedie del presente.
Questi primi riscontri alla lettera ci incoraggiano a proseguire in questa ricerca e in questo dialogo e con una empatia per tutte le vittime che gli amici ebrei di Napoli ci contestano di non avere espresso abbastanza nel nostro documento.
La lettera agli Ebrei, come è detto in calce alle firme, può essere liberamente riprodotta e scambiata così da promuovere e incentivare il necessario dialogo. Noi continueremo a tenervi informati; speriamo di poterlo fare anche con i firmatari della lettera che non abbiamo potuto raggiungere perché non ne conosciamo l’indirizzo mail, che speriamo ci venga trasmesso.
In allegato vi trasmettiamo la lettera nella sua forma definitiva e con le firme finora raccolte e quella con cui l’abbiamo accompagnata.
Con i più cordiali saluti,
Raniero La Valle
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Lettera alle comunità Ebraiche.
Carissimi amici delle Comunità Ebraiche di …,
Ci permettiamo inviarvi una lettera idealmente indirizzata all’intera comunità ebraica. È una lunga lettera di 11 pagine, cinque delle quali sono occupate solo dalle firme dei mittenti – a cominciare dal premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel – tra cui sono anche numerose comunità, associazioni, partiti. È solo un indizio della grande compenetrazione popolare nell’attuale sofferenza di tanta parte del mondo e del coinvolgimento di molti nell’attuale tormento del popolo ebraico; e ciò tanto più nel momento di un doloroso rapporto tra le istituzioni politiche e giudiziarie della Comunità internazionale e lo Stato di Israele nelle persone dei suoi governanti.
Noi vediamo il pericolo che i responsabili delle Nazioni non sappiano né comprendere né governare un mondo la cui popolazione è ormai più numerosa della sabbia del mare, come tale oggetto di un unico amore.
La motivazione della lettera è, come abbiamo scritto, l’angoscia per tale stato di cose che investe tutti, per cui l’accento al di là della distinzione tra noi è posto sulla nostra condizione di “contemporanei”. Ci sono tra l’altro anche cose difficili a comprendersi, pur da persone di media cultura. Molti ad esempio si stupiscono per il parallelismo stabilito dal premier israeliano nel discorso all’ONU tra l’attuale severa guerra che il suo esercito sta conducendo a Gaza e “la stessa scelta senza tempo che Mosè pose davanti al popolo di Israele migliaia di anni fa mentre stavamo per entrare nella Terra Promessa”.
La lettera contiene opinioni che possono essere non condivise, ma la sua ispirazione più profonda è che il ripudio, pur universale, dell’antisemitismo, non basta più, ma dovrebbe in positivo accompagnarsi a una profonda riconciliazione tra il popolo ebraico nella sua integrità fisica e spirituale – che noi diciamo da riconoscersi come “patrimonio dell’umanità” – con tutti gli altri popoli, ivi compresi i palestinesi e quanti sono oggi in conflitto con esso.
Con questa speranza, porgiamo i più fraterni ossequi
Raniero La Valle e i Comitati Dossetti per la Costituzione, Domenico Gallo per il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Roberta De Monticelli e il Centro di Ricerca PERSONA, Sergio Mercanzin e “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, Riccardo Petrella e l’Agorà degli Abitanti della Terra
La lettera agli Ebrei della Diaspora.
Carissimi Ebrei della Diaspora,
vi scriviamo per parteciparvi una duplice angoscia che cresce in noi a partire da quel 7 ottobre del 2023, quando un’efferata azione dei palestinesi di Hamas fece scempio di un gran numero di ebrei di Israele e di molti non israeliani sui bordi della “striscia” di Gaza.
Insieme al dolore per le vittime e alla esecrazione per la brutalità dell’aggressione, la prima di tali angosce ha tratto origine dalla percezione che le conseguenze di quella azione, con tutto il male che portava con sé, sarebbero ricadute sulla intera popolazione di Gaza e sul popolo palestinese in quanto tale, ovunque situato, nei territori colonizzati della Cisgiordania come nei Paesi vicini.
L’altra angoscia è sorta, ed è cresciuta nel tempo, dalla considerazione che le conseguenze della spietata ritorsione intrapresa dagli Israeliani delle Israel Defence Forces, con tutto il male che porta con sé, ricadranno sull’intero popolo ebraico, sia privando di ogni sicurezza, ad onta di ogni possibile difesa, i cittadini dello Stato di Israele, sia mettendo a repentaglio, con risultati imprevedibili, il popolo ebraico della Diaspora in quanto tale.
A questa duplice angoscia si aggiunge quella per ciò che può accadere a causa dell’allargamento del conflitto al Libano e all’Iran, e per le conseguenze che ne possono derivare per tutto il Medio Oriente e la residua pace del mondo. Ciò che ci accomuna di fronte a questi eventi, è la nostra condizione di terzietà che ci fa trovare con voi dalla stessa parte sia al cospetto delle attuali condotte dello Stato di Israele, che sono in odore di genocidio, sia delle reazioni violente e illegittime dei suoi antagonisti, sia della responsabilità che tutti abbiamo in ordine alla “questione palestinese”.
Il nostro coinvolgimento in questa tragedia è determinato anche dal fatto che essa non investe direttamente solo i due popoli in lotta, né è solo un evento di portata locale, ma investe tutti i popoli e gli Stati ed ha una portata di carattere mondiale. Se, non risolvendosi questo conflitto, esso lasciasse dietro di sé due popoli irrimediabilmente nemici, la cui spinta vitale fosse la distruzione l’uno dell’altro, così ogni altro popolo potrebbe cadere nella stessa sindrome di annientamento reciproco, in modo tale che l’unità della famiglia umana sarebbe rotta e il mondo non potrebbe sussistere.
Perciò, e non solo per molte altre ragioni di cui si potrebbe parlare, noi sentiamo il vostro problema come nostro, e vi scriviamo non per darvi moniti e consigli che non abbiamo l’autorità di darvi e che voi potreste non trovare alcuna ragione di accogliere, ma perché siamo convinti che insieme dobbiamo farci carico di questa sfida e insieme immaginare e cercarne la soluzione sul piano effettuale e politico. Se siamo, come si dice, a un “cambiamento d’epoca”, tutti noi contemporanei ne siamo responsabili e autori.
Un’altra ragione per farlo, senza che questo voglia dire un’interferenza in una questione che è solo vostra, è il fatto che come noi comprendiamo ed è di dominio comune, alla radice di questa terribile vicenda c’è una realtà di fatto che non è solo dello Stato di Israele, che in oltre 70 anni non è riuscito a dare soluzione al problema del rapporto sulla stessa terra con un gran numero di residenti che hanno altra origine, storia, lingua, religione e cultura, ma è anche e sempre più potrà diventare un problema anche nostro; e ciò in ragione delle correnti migratorie, regolari e irregolari, che affluiscono nei nostri Stati e che le nostre politiche sembrano non in grado di fronteggiare. La differenza sta nel fatto che mentre gli Ebrei sono gli “altri” sopraggiunti a sovrastare una popolazione già esistente, i nostri Stati sono la popolazione esistente a cui si aggiungono gli “altri” che arrivano sempre più numerosi, provocando in essa inevitabili cambiamenti. Se i nostri Stati affrontassero il problema del rapporto con i migranti nella prevalente preoccupazione di una “identità” e invarianza da preservare, il rischio sarebbe di vivere “la questione migratoria” con la stessa ambascia con cui lo Stato di Israele fin dall’inizio ha avvertito “la questione palestinese”. E sarebbe una catastrofe se noi volessimo difendere la “nazione” e i valori nazionali, ben oltre la chiusura delle frontiere e dei porti, in modo corrispondente alla perentorietà con cui lo Stato di Israele rivendica e tutela la propria identità nella sua Legge fondamentale. Tale Legge, adottata per iniziativa del premier Netanyahu ma con l’opposizione del Presidente di Israele Reuven Rivlin il 19 luglio 2018, com’è noto definisce Israele come “Stato Nazione del Popolo Ebraico”, la Terra di Israele (più volte identificata in Israele con la terra che si stende dal mare al Giordano) come “la patria storica del popolo ebraico in cui lo Stato di Israele si è insediato” e “Gerusalemme integra e indivisa” come la capitale di Israele.
Si può obiettare che l’identità che rende così tipico e coeso il popolo ebraico è ben più forte e storicamente sperimentata di quella che unisce i cittadini dei nostri Stati, che sono ormai inclusi in società per larga parte multietniche e pluraliste, legittimate da ordinamenti democratici, a differenza dello Stato di Israele in cui la citata Legge fondamentale riserva il “diritto di autodeterminazione” come “diritto esclusivo del popolo ebraico” e, come ha spiegato il presidente della Knesset Amir Ohana presentando la legge, se i diritti umani sono per tutti, i “diritti nazionali” cioè i pieni diritti di cittadinanza, appartengono solo al popolo ebreo. Ma se si rifiuta di cogliere la “differenza ebraica” nella specificità razziale, che è stata usata a fondamento della perversione dell’antisemitismo (“razziali” si chiamavano le leggi che l’hanno promosso) si deve cercare altrove il cemento di questa unità e specificità del popolo cui appartenete; e noi lo troviamo nella storia di Israele, nella sua fede, nel suo riferimento alla tradizione biblica e talmudica, (“la Legge e i Profeti”!), e nella solidarietà nel dolore determinata dall’esperienza e dalla memoria delle persecuzioni subite.
Ma allora di nuovo si scopre quanto abbiamo in comune e come sia anche nostro il problema delle politiche e della figura attuali dello Stato di Israele.
Prima di tutto ci sembra che il riferimento alla fede e alla tradizione religiosa di Israele apra uno spazio fecondo di dialogo tra voi, popolo ebraico della Diaspora, e i vostri fratelli ebrei che vivono nello Stato di Israele. Diverso, infatti, nei due casi ci appare questo rapporto. I cittadini anche non credenti che si riconoscono nella definizione dello Stato di Israele come “Stato nazione del popolo ebraico” fanno riferimento alla religione ebraica e le professano fedeltà come fondamento e garanzia dello Stato, che fin dall’origine ha scelto di stabilire in essa la propria legittimazione; infatti essa è implicitamente riconosciuta dalla comunità internazionale che correntemente si riferisce ad Israele come allo “Stato ebraico”. Questo però comporta una lettura del patrimonio spirituale dell’ebraismo in termini temporali e politici, non sempre prudenti, che distorcono agli occhi degli osservatori esterni il significato della fede ebraica e che nei momenti di crisi sono accentuati dai governanti di Israele per difendere le loro scelte e ottenere una sorta di insindacabilità delle loro politiche, mettendo in carico all’antisemitismo le riserve e le critiche che vengono loro rivolte. Il danno di questo uso strumentale dei tesori dell’ebraismo ci è apparso ingigantito nel corso di questa crisi, per il frequente ricorso che vi ha fatto il premier Netanyahu, rivendicando una filiazione diretta delle sue scelte dai comandi di Mosè e dalle gesta di Giosuè, stabilendo una continuità di fatto tra le azioni distruttive di oggi e gli stermini di ieri dei popoli vinti da Israele nell’epica conquista della Terra promessa, interpretando settariamente l’effetto della presenza di Israele sulla “mappa” del mondo in termini di benedizione e maledizione, presentando lo Stato di Israele nella forma di un messianismo realizzato e rompendo con la comunità delle Nazioni in una rinnovata contrapposizione tra Ebrei e “Gentili”. Una linea di governo che si è manifestata bollando l’Organizzazione che le riunisce, l’ONU, come una “palude di antisemitismo”, non risparmiando la vita dei suoi operatori umanitari, attaccandone i militari in missione di pace, dichiarando persona non grata il suo massimo rappresentante e sdegnando le pronunzie i moniti e le accuse dei suoi organi istituzionali e giudiziari. Siamo particolarmente raccapricciati e appare blasfema la pratica di uccidere i nemici uno per uno e promettere di ucciderli tutti invocando il nome di Dio, avendo in premio la luce e l’entusiastico consenso di Biden,
Vogliamo rendervi atto che molto diversa è la testimonianza dei valori dell’ebraismo che si sprigiona sia da vasti settori della stessa società israeliana, sia dal vasto mondo degli Ebrei della Diaspora. Anche tra voi ci sono credenti e non credenti, e senza dubbio è ragione di arricchimento per tutti la presenza e l’integrazione degli Ebrei della Diaspora nelle nostre società laiche e nella costruzione di autentiche democrazie. E se teniamo conto della ricca varietà di posizioni espresse in seno all’ebraismo, dovunque insediato, vediamo come una gran parte dei sapienti d’Israele e dell’ebraismo rabbinico ha respinto nel passato, e in notevole misura lo fa anche oggi, una interpretazione del messianismo in senso politico e mondano, professando come riservata a Dio l’attuazione delle promesse messianiche, ha giurato di “non forzare la fine”, si è dissociata da una versione del sionismo in un suo intreccio perverso con lo Stato, rivendica il valore della vita ebraica “nel differimento” della redenzione e nell’esilio, legge in modo non fondamentalista il libro sacro e ha parole di vita riguardo a molte altre cose. Per tutto ciò il popolo ebraico è, e noi vorremmo che venga riconosciuto che sia, un “patrimonio dell’umanità”. Grande perciò dal nostro punto di vista, sarebbe l’importanza di una crescita del dialogo e del confronto tra il mondo della Diaspora e gli Ebrei che vivono nello Stato di Israele, in vista di un cambiamento e di una rettifica degli errori commessi (denunciati perfino dagli Stati Uniti) e anche ai fini di un contenimento e di un antidoto al risorgente mostro dell’antisemitismo o, come è stato chiamato anche da autorevoli Ebrei, al “suicidio di Israele”.
La seconda realtà chiamata in causa dal riferimento alla fede e alla tradizione biblica di Israele è quella dell’Occidente, il quale non a caso è collocato, da un luogo comune di cui molti ignorano la vera portata, nella filiazione dalla tradizione “ebraico-cristiana”.
Se questo è vero, si pone un problema molto grave per noi, al di là delle opzioni di fede di ognuno. A questa nostra tradizione appartiene una parola di Gesù detta alla donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe, tramandata dal Vangelo di Giovanni, che afferma: “La salvezza viene dai Giudei”. La nostra esperienza attuale e la tragedia di Gaza insinuano che ne venga invece la perdizione e la fine. Il problema consiste nel fatto che o lasciamo cadere come infondata e inattendibile la predizione di Gesù, ma allora è tutto il Vangelo che cade, oppure la situazione presente viene rovesciata e questa profezia si traduce in lieto preannunzio di un altro futuro e in un compito da assolvere. Nella storia della cristianità per molto tempo questa seconda ipotesi è stata scartata (“i perfidi Giudei”!) ma nel nostro tempo il rovesciamento è avvenuto, come dimostrano la riforma della liturgia, la fede espressa nel documento “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II, il dialogo ecumenico e quello ebraico-cristiano, il riconoscimento degli Ebrei come “nostri fratelli maggiori” secondo la pronunzia di Paolo VI, il documento di Abu Dhabi e la “Fratres omnes” di papa Francesco, così come nel mondo laico il ravvedimento è attestato dal pentimento e dalla condanna universale della Shoà insieme all’onore e al sentimento favorevole riservati agli Ebrei contro ogni antisemitismo. A ciò si aggiunge, da parte della storiografia scientifica e della ermeneutica cristiana una lettura non pedissequa della Bibbia (quella letterale sarebbe secondo i teologi cattolici “un suicidio del pensiero”) che non considera “storici” i libri “storici” dell’Antico Testamento, scritti molti secoli dopo i fatti narrati, e perciò non attestanti fatti effettivamente avvenuti. Ciò significa liberare il popolo ebraico dalla pretesa origine da un delitto fondatore, e addirittura da un passato di decreti di sterminio ed eccidi di interi popoli (molti dei quali all’epoca nemmeno esistenti) su commissione di un improbabile Dio violento, a sua volta successivamente ucciso nel Figlio, e cancellare l’intero armamentario ideologico su cui è stata storicamente fondata la persecuzione antisemita. Per contro un passato di delitti fondatori e di messianismi letali lo hanno molte realizzazioni genocide e colonizzazioni insediative dell’Occidente “civilizzatore”, come nella “scoperta” e conquista dell’America, nell’America cosiddetta “latina”, nell’Africa non solo del Sud, in Oceania e altrove.
Così ristabilito l’orizzonte in cui operare, si apre la possibilità di un’alleanza di tutti i soggetti fautori di pace con gli Ebrei della Diaspora e dello stesso Israele per un dialogo con lo Stato di Israele così come oggi è realizzato, la ricerca di una soluzione e la costruzione di un’alternativa riguardante non solo Israele e i palestinesi ma la pace e l’unità stessa del mondo.
Sarebbe una presunzione e ancora il riflesso di una mentalità egemonica stabilire i termini di tale soluzione, che possono scaturire solo da una ricerca comune e dalla inventiva della storia. Si può però affermare con un sufficiente grado di certezza che una soluzione può risiedere solo in una riconciliazione tra Israeliani e Palestinesi e non solo venire da artifici politici e diplomatici. Per la costruzione di un’alternativa si deve ormai abbandonare la fuorviante soluzione a due Stati, per la quale ci vorrebbe ben più che una riconciliazione, tra due Stati limitrofi e indiziati a combattersi, anche ove mai tale soluzione fosse stata possibile e auspicabile in passato, nonché la finzione di negoziati in realtà ordinati a confermare e preservare la situazione qual è, come è stato sostenuto anche in un dialogo tra due culture diverse, quale il dialogo tra Ilan Pappé con Noam Chomski. Resta la soluzione a uno Stato, ma allora va costruita attraverso una riforma della figura di Stato vigente, riforma che pertanto riguarda non solo lo Stato di Israele, nel quale l’identità etnico-religiosa spinta all’estremo ha dato luogo a un regime di dominio e di guerra, ma la stessa forma di Stato moderno, quale si è andata a fissare negli Stati esistenti, che nel loro insieme ormai globalizzato si presentano come un coacervo di sovranità in competizione se non in lotta tra loro, che hanno eletto come ultimo (e spesso anche primo) giudice tra loro, la guerra. Lo Stato rispondente alla nuova realtà di una comunità mondiale pluralistica e multiculturale dovrà piuttosto costruirsi in una pluralità di ordinamenti giuridici interagenti tra loro, che insedino come sovrana la pace, assicurino l’eguaglianza, riconoscano non solo come affare individuale e “privato”, ma sociale e significante per tutti, le culture le religioni e le tradizioni diverse, e aprano le frontiere e i porti alla libera circolazione non solo delle economie e delle merci, ma delle persone e dei popoli. Si potrebbe perfino pensare che nel nuovo “villaggio globale” agli organismi che corrispondono ai tre poteri competenti nelle relazioni interne agli Stati, legislativo, esecutivo e giudiziario, possa aggiungersi un altro organo, quello della diplomazia, con poteri di consiglio e di controllo sui rapporti esterni e le scelte internazionali dello Stato, a partire dalla scelta costituzionalmente obbligante della pace, della salvaguardia del creato e della dignità delle creature. Così come si potrebbe pensare a uno sviluppo del diritto che giunga ad abrogare e sanzionare la figura del “Nemico”; e ciò non solo in Europa, quando perfino nell’Impero ottomano Ebrei e Islamici hanno vissuto insieme pacificamente per secoli, senza ombra di antisemitismo.
Questo volevamo dire agli Ebrei con noi conviventi, nostri vicini, concittadini, sorelle e fratelli in quest’epoca nuova.
Raniero La Valle e Comitati Dossetti per la Costituzione, Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace, Roberta De Monticelli, filosofa, Domenico Gallo, giurista, Riccardo Petrella, presidente dell’Agorà degli Abitanti della Terra. don Sergio Mercanzin, fondatore del centro “Russia ecumenica”
Con (firme dei mittenti in ordine di apposizione):
Raffaele Nogaro, vescovo cattolico, Claudio Grassi, legislatore, Felice Scalia, gesuita, Elena Basile, ambasciatrice, Luigi Ferrajoli, giurista, Giovanni Ricchiuti, vescovo cattolico, presidente di Pax Christi Italia, Stefania Tuzi, storica dell’architettura, Francesco Di Matteo, avvocato, Francesco Zanchini di Castiglionchio, canonista, Massimo Zucconi, architetto, Fulvio De Giorgi, ordinario di storia dell’educazione, Agata Cancelliere, insegnante, Giorgio Rivolta, docente di filosofia, Santino Di Dio, impiegato, Raffaele Luise, giornalista, Sergio Tanzarella, storico del cristianesimo, Vito Micunco, Comitati pugliesi per la Pace, Nicola Colaianni, già Magistrato di Cassazione; Nicola Costantino, ex Rettore del Politecnico di Bari; Nicola Pantaleo, già Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica Battista di Bari, Antonio Malorni, biochimico, Paolo Cento, legislatore, Fabio Filippi, editore, Enrico Peyretti, insegnante e maestro di pace, Grazia Portoghesi Tuzi, etnomusicologa, Francesco Comina, insegnante, Paola Patuelli, insegnante, Anna Sabatini Scalmati, psicanalista, Angelo Cifatte, funzionario pubblico, Riccardo Valeriani, assistente sociale, Luca Robino, (“Persona al centro”), Don Emilio Maltagliati, Parroco emerito di Cassinetta di Lugagnano (Mi)
e con:
Ottavio Di Grazia, Storico della Shoà, Tonio Dell’Olio, presidente Pro Civitate Christiana, Don Renato Sacco, Pax Christi, Mario Menin, direttore di “Missione Oggi”, Franco Ferrari, presidente “Viandanti”, Giuseppe Limone, filosofo e giurista, Carlo Maria Ferraris, Redazione de “Il Gallo”, Maurizio Serofilli, dei Comitati Dossetti, Emanuele Pellicanò, direttore di Montedomini di Firenze, Maurizio Mazzetto, presbitero (Pax Christi), Paola Mario, insegnante, Gian Piero Saladino, assistente sociale, Paolo Farinella, biblista, Moreno Biagioni (Comitato “Fermiamo la guerra” di Firenze), Giancarlo Piccinni, Presidente Fondazione don Tonino Bello, Alfonso Gianni, saggista, Pietro Soldini, sindacalista, Roberto Rusconi, storico del cristianesimo e delle Chiese, Giorgio Trentin, sinologo, Vincenzo Colli, storico del diritto medievale, Francesco Pistoia, già sindaco e legislatore, Sergio Paronetto, Pax Christi, Flavio Pajer, docente di Pedagogia comparata delle religioni, don Severo Piovanelli, ex parroco, Federico Palmonari, fisico nucleare, Fabrizio Truini, Amicizia ebraico-cristiana, Anna Doria, insegnante, Maria Speranza Perna, docente, Massimo Marnetto, attivista, Carmine Miccoli, prete, Luigi Bertagnolli, libero professionista, P. Abdo Raad, missionario, Manlio Schiavo, docente, Bernardino Zanella, Servo di Maria, Vincenzo Marras, già direttore di “Jesus”, Pier Giorgio Maiardi, pensionato bancario, Roberto Fiorini, Giovanna Monina già dirigente del Servizio Sanitario Nazionale, Antonio Caputo, giurista, Leonarda Stucchi, Gianni Bacci, Cristina Giorcelli, docente americanista, Elena Berlanda, insegnante, Barbara Varelli, Paola Pecco, Luigi Consonni, prete operaio, Lino Prenna coordinatore di “Agire Politicamente” , Vito Capano, “Il Gallo” di Genova, don Mario Marchiori, parroco, Lucia Maccone Sica, insegnante, Giulio Sica, già magistrato di Cassazione, Bice Parodi, fondatrice dell’associazione ’”senza paura” Genova, Luigi Colavincenzo, dirigente pubblico
e con:
Beatrice Draghetti, già presidente della provincia di Bologna, Peppe Sini, Centro per la pace di Viterbo, Daniel Mauri Trezzi, Comunidad Santo Espìritu, Lima, Perù, Francesco Domenico Capizzi, chirurgo, Giovanni Ferretti, filosofo e presbitero cattolico, già rettore dell’Università di Macerata, Francesco Antonio Romito, avvocato, Mario Agostinelli presidente Associazione Laudato Si’, Laura Nanni, docente di filosofia, Art’incantiere, Eleonora Stillitani, insegnante, Piergiorgio Bortolotti, operatore sociale, Roberto Mazzotta, diplomatico, Giovanni Lamagna, docente, Marco Vincenzi, operatore sociale, Andreina Albano, addetto stampa, Eleonora Caltabiano, medico, Santo Di Nuovo, psicologo, Vito Lacirignola, Editore Stilo, Franca Maria Lorusso, avvocato ecclesiastico, Corrado De Robertis, comboniano, Pier Giorgio Taneburgo, Biblioteca Provincia Puglie, frati cappuccini, Francesca Vessia, pedagogista, Claudio Ciancio, professore di Filosofia teoretica, Loris Nobili, ex dipendente della Banca Nazionale dell’Agricoltura e presente alla strage di Piazza Fontana, Franco Meloni, direttore Aladinpensiero News, Lina Ibba, medico, Stefano Toppi, ingegnere, Alessandro Bellavite Pellegrini, cristiano semplice, Gaetano Dammacco, Docente di diritto ecclesiastico, Paolo Orsolino, architetto, Maria Teresa Cattarossi, insegnante e psicoterapeuta, Luca Ulianich, ricercatore CNR, Roberto Gelpi, ingegnere e biblista, Maria Rosa Filippone, Carolina Goretti, Maria Nella Abbassetti, Ugo Ugazio, filosofo, Susanna Braccia, segretaria. Laura Marotta, impiegata, Sr. Maria Costanza Crippa, eremita, Ilva Palchetti, attivista, Roberto Bertoli, ex giornalaio, Giuseppe Deiana, presidente Associazione Puecher di Milano, Grazia Bellini, presidente della Fondazione Balducci, Liviana Gazzetta, insegnante, Luca Kocci, insegnante
e con:
Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, Antonino Mantineo, professore di Diritto ecclesiastico, Pasquale La Cerra pediatra, Giuseppina Sciacca, Ufficio Approvvigionamenti Sanità, Francesca Scarpat, Pio Zanella, p. Giovanni Belloni, Elisabetta Porro, Flavo Fenici, medico, Ettore Fasciano, Carlo Bolpin e Associazione “Esodo”, Pier Luigi Biamonti, avvocato, Daniela Turato, docente, Giovanni Giuffrida, ingegnere informatico, Giuliana Amadio, madre di famiglia, Paolo Bertagnolli, insegnante, Angela Mancuso, Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà, Franca Littarru, Piccola sorella di Gesù, Emilia Forconi Occorsio, insegnante, Raffaele (Lello) Agretti, poeta, Domenico Garozzo, chimico, Carmelina Loguercio, ordinaria di gastroenterologia, Livia Malorni, ricercatrice CNR, biologa computazionale e madre, Norma Naim, dirigente Regione Campania, Giacomo Meloni, segretario della Confederazione Sindacale Sarda-CSS, Gianfranco Maddoli, già Sindaco di Perugia
e con:
Alex Zanotelli, missionario comboniano, Giorgio Sartori, educatore, Maria Ricciardi Giannoni, “Pace Terra Dignità”, Nicola Sannolo, professore di medicina del lavoro, Pierpaolo Favia, docente. Gruppo Ecumenico di Bari, Franca Maria Lorusso, avvocato ecclesiastico, Corrado De Robertis, Comboniano, Pier Giorgio Taneburgo, Biblioteca Puglie frati cappuccini, Francesca Vessia, pedagogista, Daniele Morelli, insegnante, Francesca Landini, Giuseppe Cotturri, direttore del Centro Riforma dello Stato e presidente di Cittadinanzattiva, Ivano Mariconti, insegnante di Religione, Valerio Caramassi, Giuseppe Maria Angelone, funzionario pubblico, Mario Ghidoni, sindacalista, Renzo Dutto, comunità di Mambre, Massimo Silvestri, ingegnere, Gian Giacomo Migone, docente di Storia delle Relazioni Euro-Atlantiche, Luigi Narducci insegnante di storia e filosofia, Katia Riolo, avvocato, Giuseppe d’Onofrio. professore di Patologia Clinica ed Ematologia, Mario Rinaldi, studente di Giurisprudenza. Rosa Spera, insegnante, Francesca De Vecchi, Silvia Kuchler, Domenico Canciani, Rossella Guadagnini, Francesca Forlè, Carla Poncina, Presidente Istituto della Resistenza di Vicenza, Dario Borso, docente di filosofia, scrittore, Fabrizia Baldissera, Roberta Guccinelli, docente, Marco di Feo, Giuseppe Borrelli, ricercatore, Stefano Sciuto, professore di fisica teorica, Alessandro Portelli, americanista, Edvige Cambiaghi, Anna Paparella, insegnante, Antonio Catozzi, insegnante, Sergio Todesco, antropologo, Giovanni Ambrosini, assistente sociale, Pierpaolo Loi, maestro
e con:
Giovanni Bianco, giurista, Margherita Zaccagnini, docente, Maria Luisa Conti, Giovanna Colombi, Renzo Benassù, cittadino del mondo, Franco Borghi, Giuseppe Saponaro, professore presso la Pontificia Università Antonianum, Ettore Brunelli, medico del lavoro, Patrizia Pulejo, insegnante, Anna Maria Bucciotti, presidente ass. La vite e i tralci, Giuseppe De Marco, ingegnere. presidente della Casa Editrice Officina delle 11, Moreno Biagioni, Comitato Fermiamo la guerra di Firenze, Francesco Marsciani, docente di semiotica, Gianfranco Gilardi, magistrato, Luigi Ghia, sociologo, direttore di “Famiglia domani”, Giovanna Puddu, fisica, Gianni Bacci, Chiara Golfarini, avvocata, Cosimo Regina, docente, Alessandra Mambelli, Pax Christi di Ferrara, Marcello Campomori, Francesca Tittoni, movimento Rinascita cristiana, Egidio Barbieri responsabile nazionale movimento Rinascita cristiana, Sandra Andreolli, Pax Christi di Venezia, Nella Moraschi. psicologa, Marina Clementoni, docente, Giovanni Travaglia, Daniela Marcuccio, docente, Antonella Panzino, Giovanni Evangelisti, Bruno Sozzi, professore, Elisabetta Giovannini, dirigente scolastica, Enrico Andreoni, Patrizia Farronato, ANPI Schio (Vicenza), Catia Martelli, Giusi Santagati, docente di Teologia delle religioni, Franco Palutan, ingegnere, Pasquale De Sole, professore di Biochimica, Angelo Persiani, ex ambasciatore, Margherita e Mario Zaccagnini, rete Radiè Resh, Giovanna La Maestra, insegnante. Giovanna Canavesi, Silvia Ridolfi, Stop Border Violence Mediterranea Saving Humans. Luigi Alfieri, già ordinario di Filosofia Politica, Carmelo Vigna, professore emerito di Filosofia morale, Raffaella Nastasi, restauratrice
e con:
(da Bergamo) Marco Sironi, consigliere comunale di Seriate, Roberto Cremaschi, già consigliere comunale di Bergamo, Lidia Parma, movimento Le Veglie contro le morti in mare (insieme a Angela Bellagamba, Carmen Rota Martir, Luisa Nappo, Sergio Genini, Maria Grazia Sangalli, avvocata, Silvia Galiano, Rita Giacomini), Maria Laura Pirovano, CSA Orobica, Giannarosa Marino, Volontari Terzo Mondo Magis Mestre, Edgardo Maria Ioza, associazione Melitea, Francesca Romano, ASGI, Serenella Angeloni, Donne in Nero, Ornella Giudici, già Consigliera Circoscrizionale di Bergamo e responsabile di GAIA animali e ambiente. Giulio Mario Baroni, educatore, Giovanna Enrica (Gianrica) Filippi, insegnante, Raffaele Tecce, segreteria nazionale Rifondazione Comunista, già senatore, Claudio Carrara, associazione NaturalMente, Giuliano Donadoni, Comitato PACEsubito!, Cornelio Montalbetti, Gap (Gruppo acquisto popolare), Bruno Brolis, già assessore comune di Zanica, Associazione il Porto gruppo accoglienza migranti Dalmine di Bergamo, Maria Luisa Rolla, insegnante di lingua ai Migranti, Comunità di San Fermo, Luigia Laura Spini, assistente sociale, Donatella Esposti, Savino Pezzotta, già Segretario nazionale CISL, Battista Villa, assessore comune di Bonate Sopra (Bg) e dirigente di Pax Christi, Gianni Sentieri, insegnante in pensione, già Consigliere provinciale di Bergamo, Simona Forlini, Presidente di “Mesa Popular” di Bergamo, Vittoria Battaglia, Presidente Anpi di Seriate (Bg), insegnante, Dino Greco, già Segretario generale Cgil di Brescia e direttore di “Liberazione”, Vittorio Armanni, già Consigliere comunale e provinciale di Bergamo, Maurizio Rovetta, già consigliere comunale di Torre Boldone (Bg), Dario Cangelli, già presidente Anpi Bergamo, Paolo Longaretti, già Assessore del comune di Levate (Bg), Eugenio Beccali, consigliere comunale di Montello (Bg) Giorgio Colombo, segretario circolo Rifondazione comunista di Trezzo d’Adda (Mi), Roberto Corona, segretario Cisl/pensionati di Bergamo, Carla Di Filippo, pensionata, Gerardo Melchionda, Tavola della Pace Valbrembana, già segretario regionale Basilicata di Rifondazione Comunista, Martino Signori, già Segretario generale Fiom/Cgil di Bergamo, Ugo Cornaro, Consigliere Comunale di Seriate, Claudio Merati, ingegnere, Andrea Agazzi, Segretario generale Fiom/Cgil Bergamo; Enrico Togni, delegato Fp/Cgil Rsu di Bergamo, Vittorio Agnoletto, medico, già Parlamentare Europeo e portavoce del “Genoa Social Forum”, Tiziano Belotti, Associazione Sos Diritti, Paolo D’Amico, già Consigliere provinciale di Bergamo, Morgan Cortinovis, già Consigliere Comunale di Seriate, Tanja Puccinelli, Commissione Rsa di Seriate;
e con:
Anna Murmura, Martina La Scala, Desirèe Cairoti, Sofia Grasso, Fulvio Mirile, Riccardo Lagamba, Carlotta Massa, Mendola Dorotea, Kristel Zungri, Ferraro Maria Teresa, tutti del Comitato Diritti Umani del Liceo Capalbi di Vibo Valentia, Fiorenza Minervini, ex ricercatrice CNR, Bari, Salvatore Gadaleta medico, Dario Minotti, insegnante, Andrea Mariano, Fabiola Schneider Graziosi, Manuela Capelli, architetta. Gino Buratti, Enzo Nisoli, Gabriele Zuti Giachetti, Grazia Viaggi, educatrice, Hasbi Vladimir Sabillòn, Pane Pace Lavoro, “Agire Politicamente”, Coordinamento di Cattolici Democratici, Adelaide Rossi, docente, Giovanna Pitrone, insegnante, Sergio Nastasi, architetto, Maria Del Zanna, Refugees Welcome, Siena, Luca Pratesi, neurologo, Anna Maria Montagna
Roma, 27 novembre 2024
Le motivazioni di ogni mittente firmatario sono conservate in archivio. Il gran numero di quanti hanno voluto unirsi ai mittenti di questa lettera indica come essa interpreti il pensiero e possa ispirare l’azione di tanti altri tra Ebrei e Gentili intesi a promuovere un mondo diverso.
Questa lettera può essere liberamente riprodotta, scambiata tra destinatari e mittenti, integrata con osservazioni e proposte.
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