Il direttore su “La Voce Serafica della Sardegna”.

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di Franco Meloni

La democrazia è una forma di governo della sovranità popolare che garantisce a tutti i cittadini la partecipazione, in piena uguaglianza, all’esercizio dei poteri pubblici. Lo prevede la nostra Costituzione. Ma: quanto davvero i cittadini sono posti in grado di esercitare le loro prerogative? Troppo poco. I padri costituenti ne avevano consapevolezza, tanto è che hanno scritto “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che (…) impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Dunque la Costituzione esalta la partecipazione che il documento preparatorio della Settimana Sociale dei Cattolici (Trieste 3-7 luglio 2024) “Al cuore della democrazia” definisce “primo indicatore della salute della democrazia, rivela la condivisione di valori, la stessa identità di una comunità; motore che tiene in movimento le società, che produce nuovo pensiero e nuove visioni del mondo”. Tuttavia prendiamo atto che, non da oggi, la partecipazione è in crisi in tutte le sue manifestazioni. Per il momento elettorale basta considerare l’aumento considerevole della diserzione alle votazioni, ormai complessivamente attestata intorno al 50% degli aventi diritto. Le forze politiche, dopo ogni consultazione, si stracciano le vesti e si propongono di arginare questa disaffezione al voto, senza ammettere che una delle ragioni sta nelle leggi elettorali che esse stesse hanno creato. Basterebbe cambiarle, a livello nazionale e regionale, in funzione dell’allargamento del diritto di rappresentanza dei cittadini. Sul versante della partecipazione non elettorale, che comunque con questa interagisce, parliamo di “cittadinanza attiva”, del Terzo settore e del volontariato. Qui il riferimento costituzionale è stato introdotto con l’art.118: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Tralasciamo la dimensione della sussidiarietà verticale (che attiene alla ripartizione delle competenze tra i livelli istituzionali) riflettiamo su quella orizzontale, per la quale il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più vicine. Al riguardo, come già avviene in numerose amministrazioni locali, ma non ancora in Sardegna, i Comuni devono adottare appositi regolamenti per la cogestione dei beni comuni. Una facilitazione per tali adeguamenti regolamentari sarebbe costituita da un’apposita legge regionale riferita alla stessa istituzione regionale come alle autonomie locali. Dell’applicazione del concetto di sussidiarietà si gioverebbe la Sardegna nella riforma del proprio assetto istituzionale, che richiama la necessità dell’aggiornamento dello Statuto di Autonomia.
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