Ite remiras o partigianu
Successo di pubblico e di critica della manifestazione teatrale e musicale “Ite remiras o partigianu”, promossa dall’ANPI e dalla CGIL in occasione della Festa di Liberazione del 25 aprile. Testi di Gianni Loy, regia di Cristina Maccioni, con le letture di Lia Careddu, Stefano Ledda, Gisella Vacca, con la partecipazione del Coro Città di Cagliari, diretto dal maestro Fabrizio Cungui. Per gentile concessione dell’Autore Gianni Loy di seguito pubblichiamo il secondo capitolo del testo della piece. A corredo alcune foto tratte dal servizio fotografico di Dietrich Steinmetz, che ringraziamo, pubblicato sulla sua pagina fb. Al termine dell’evento sono intervenute Simona Fanzecco, segretaria provinciale della CGIL e Lidia Roversi, ANPI Cagliari.
(…)
2. Giaime era sardo.
Giaime era sardo. Aveva trascorso l’adolescenza nelle pendici di Cagliari, giocando con le cerbottane con Luigi, suo fratello maggiore, prima di volare nel continente per dare sfogo alla sua vocazione letteraria.
Mi sono chiesto cosa avrebbe potuto fare Giaime, se il 1° dicembre del 1943 non fosse stato dilaniato da una mina, a Castelnuovo al Volturno. Quel giorno, Giaime cercava di attraversare le linee tedesche per raggiungere le organizzazioni partigiane che operavano nel Lazio. Ma i tedeschi, proprio il giorno prima, avevano minato l’area lungo il Garigliano. Solo che Giaime non poteva saperlo. E così è morto, a 24 anni.
Ma perché Giaime – Giaime Pintor – si trovava lì, quella notte, in compagnia di un gruppo di giovani, con la missione di portare ai rifugiati laziali armi e istruzioni?
Giaime, sebbene ancora giovane, era un letterato già affermato. Traduceva dal tedesco, frequentava i circoli degli scrittori emergenti, era consulente di Luigi Einaudi. Aveva pubblicato saggi su riviste letterarie, e altri sarebbero usciti postumi.
Giaime, se fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto un “intellettuale con prevalenti interessi letterari”, si sarebbe occupato della storia dell’uomo. È lui stesso a dirlo: “L’incontro con una ragazza, o un impulso qualunque alla fantasia – avrebbero contato, per Giaime, – più di ogni partito o dottrina”. Proprio così quel ragazzo immaginava il proprio futuro.
Chissà se avrebbe fatto ritorno in Sardegna.
Di mezzo c’è la guerra. Quella guerra che tutto sconvolge, che costringe a prendere atto dei pericoli per ogni vita individuale, che persuade gli uomini che nella neutralità o nell’isolamento non c’è possibilità di salvezza.
Se non ci fosse stata la guerra! Già! Se non ci fosse stata la guerra, Giaime non avrebbe certamente sacrificato il proprio individualismo, le proprie passioni, per una fede collettiva.
Poco prima di morire, ha confessato di non aver mai apprezzato, come in quel momento, i pregi della vita civile; ha confessato di esser consapevole delle proprie capacità letterarie e, soprattutto, ha confessato di aver coscienza che: “secondo ogni probabilità, sarebbe stato un mediocre partigiano”.
Alcuni dei suoi amici erano impegnati a fondo nella lotta contro il fascismo. Giaime si sentiva vicino a loro ma, sino a quel momento, non se l’era sentita di seguire la loro strada.
Ma la guerra … È stata la guerra a sgombrare il terreno da ogni possibile alibi, a metterlo brutalmente a contatto con la realtà.
Ma abbiamo contezza – noi che non l’abbiamo conosciuta di persona – di cosa sia stata, di cosa sia una guerra?
Giaime, ad un certo punto, ne ha preso coscienza; si è reso conto che quella di fare il partigiano fosse “l’unica possibilità aperta”. E ha deciso di seguire quella strada.
Giaime sapeva, teorizzava, che “una società moderna si basa su una grande varietà di specificazioni”, ma aveva capito che, in certi momenti della storia, occorre sacrificarle tutte, quelle specificazioni, ad un’unica esigenza. Aveva capito che “a un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune; ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento”.
Giaime ha fatto quella scelta. Giaime, è morto.
——————————
Lascia un Commento