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Editoriale
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Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni
Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Giovedì 23 gennaio 2025CRIPTOFASCISMO PLANETARIO
Cari Amici,
l’Occidente che non è andato a Washington per l’inaugurazione di Trump ha passato lunedì, 20 gennaio, una giornata di sgomento e di incubo. Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. La democrazia, come sacro valore dell’Occidente, è in crisi, e addirittura, come hanno detto i primi sconsolati commenti seguiti alla festa di Capitol Hill, sarebbe finita. Non però per un destino, bensì per responsabilità e scelta di coloro stessi che oggi la rimpiangono. Quella che è finita è in realtà la democrazia ridotta a puro esercizio elettorale, non a caso disertato dai più, senza tutto quello che ci avevamo messo dentro noi nella nostra Costituzione, ciò per cui l’Italia dovrebbe essere un modello, altro che Salvini.
L’America paga il conto, e lo fa pagare a noi, delle scelte sbagliate che ha fatto dopo la caduta del muro di Berlino e l’attacco alle due Torri di New York. Inseguendo, come del resto fa da sempre, il mito dell’“America first”, – prima l’America – ha creduto che la sua sicurezza e la sua fortuna stessero nel dominio del mondo, nell’avere un’Armata quale non si era mai vista prima sulla Terra, e perfino nel disporsi alla guerra preventiva, perché “la migliore difesa è una buona offesa”. Questo era il diafano Biden, non a caso bersaglio del rigetto elettorale. Dava per ormai finita la Russia, e per questo le ha lanciato contro la povera Ucraina, e proclamava urbi et orbi (nei documenti sulla strategia nazionale americana) la competizione strategica e la sfida finale con la Cina, il solo avversario che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Sicché Casa Bianca e Pentagono hanno messo nella spesa militare 800 miliardi di dollari all’anno, mentre la Russia ce ne mette 80, togliendo centinaia di miliardi di dollari all’anno al benessere del popolo americano. Dobbiamo a questo, come ha detto Bernie Sanders, l’eterno candidato alla Presidenza della sinistra americana, se “non c’è una ragione razionale per cui abbiamo una disuguaglianza enorme e crescente di reddito e ricchezza, non c’è una ragione razionale per cui siamo l’unico grande Paese a non garantire l’assistenza sanitaria per tutti, non c’è una ragione razionale per cui 800.000 americani sono senza casa e milioni di altri spendono più della metà del loro reddito per mettere un tetto sopra la testa, non c’è una ragione razionale per cui il 25% degli anziani in America cerca di sopravvivere con 15.000 dollari all’anno o meno, per cui abbiamo il più alto tasso di povertà infantile di quasi tutte le nazioni ricche, per cui i giovani lasciano l’università profondamente indebitati o per cui l’assistenza all’infanzia è inaccessibile per milioni di famiglie”.
Ciò spiega gli eventi di oggi, come si sia passati dall’Occidente “allargato” fino all’Indo-Pacifico, al Giappone e all’Australia di Biden al cripto-fascismo globale di Trump, con tanto di autarchia (i dazi), le sanzioni, gli ordini esecutivi a pioggia, la confusione dei poteri, la giustizia di regime, la pena di morte, l’immunità fiscale dei super-ricchi, e la pretesa di decidere quando cominciare o finire queste “ridicole” ma sempre tragiche guerre.
Tuttavia, il peggio che si è materializzato in America in questo lunedì nero del 20 gennaio, potrebbe non essere tale da contagiare il mondo intero. Potrà fare grandissimi danni, e fare scuola soprattutto nelle maggioranze silenziose, ma potrebbe restare circoscritto a ciò che si è visto tra il Campidoglio e la Capital One Arena, un bagno di folla osannante e soggiogata, chiuso però in una bolla che è l’America e non è il mondo. Non c’è un solo globo terracqueo, il mondo non è pronto per un fascismo planetario, ha altri pensieri, un’altra vocazione. Certo, dipende da noi, ma ora è chiara l’alternativa: o la resa a questa caduta della storia, o la resistenza e la costruzione di una vera comunità internazionale di diritto con un’umanità indivisa.
Del resto non tutto quello che Trump ha annunciato e minacciato col suo sguardo torvo si realizzerà veramente, sembra più un bluff da miles gloriosus che un vero annuncio. Non ci sarà nessun approdo e insediamento su Marte entro la fine di questo mandato presidenziale. La scienza è stata tassativa: a questo punto dell’evoluzione della specie, l’umanità non è in grado, fisicamente e antropologicamente, di affrontare un viaggio in quel pianeta lontano. Non foss’altro che per la durata del viaggio, due anni per l’andata e il ritorno esposti alle radiazioni cosmiche, soggetti all’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subirebbe in una lunga permanenza nello Spazio, con i connessi scompensi del tono muscolare cardiaco. Occorrerebbe costruire enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre, ciò che si potrebbe fare solo direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse lassù (da asteroidi o dalla Luna); per non parlare della vita su Marte, fino a 126 gradi sottozero.
Ciò vuol dire che il mito dell’accoppiata Trump-Musk è già caduto, e se l’obiettivo politico più simbolico di tutte le promesse presidenziali si mostra come impossibile e falso, vuol dire che anche il resto non è troppo sicuro, a cominciare dalla deportazione, o espulsione, di milioni di migranti, dati per criminali internazionali e invasori: si dovrebbe fare con l’esercito schierato sul confine meridionale col Messico, lasciando “i nostri guerrieri liberi di sconfiggere i nostri nemici”, come dice Trump; ma con questo finisce il mito della fortezza americana, l’idea che mai nessuno potrà varcare in modo offensivo la frontiera degli Stati Uniti; ecco che secondo Trump questo sarebbe già avvenuto ad opera dei migranti, essendo mancata la difesa dei confini, neanche l’America fosse Lampedusa come è nell’immaginazione ossessiva di Salvini.
E per quanto riguarda il ritorno incondizionato al petrolio, al carbone, così da irradiarlo a suon di dollari in tutto il mondo, in che consiste l’”America first”? Consiste nel fatto che l’America sarà la prima a risentirne, insieme alle isole che saranno sommerse dal mare, e ne avrà cicloni e tornado sempre più devastanti, e bruceranno le città, come ieri l’incendio di Chicago e oggi quello di Los Angeles, dove perfino i ricchi “hanno perso le loro case”.
E che dire di questo presentarsi di Trump come il Messia che Dio stesso avrebbe protetto col suo scudo perché compisse la sua missione in America e nel mondo? Per l’America non si tratta di una novità, c’era il giovane Bush che andando a distruggere l’Iraq diceva di “piangere appoggiato alla spalla di Dio”. E ora Trump tira fuori la religione come sgabello ai suoi piedi, e mette Dio sopra di sé, a garante del suo potere. Solo che il Dio della tradizione ebraico-cristiana a cui si rifà il messianismo giunto in America attraverso la Ginevra di Calvino, non è un Dio che si può chiamare in servizio a fare da scudiero ai potenti, ma è il Dio che rovescia i potenti dai troni ed esalta gli umili, il Dio tutto misericordia e niente vendetta di papa Francesco. E dunque se religione deve essere e si giunge a giurare su due Bibbie al Campidoglio, come se una non bastasse, quella di Lincoln del 1861 e quella donata a Trump dalla madre nel 1955, bisogna ricominciare a chiedersi chi è questo Dio a cui si fa così plateale appello.
Forse, di fronte a queste sfide, bisognerebbe ripensare alla cattiva qualità della secolarizzazione quale l’abbiamo acriticamente fatta in Occidente: anche per questo sarebbe importante che l’identità spirituale e profetica dell’ebraismo tornasse a risplendere, non trascinata negli stermini, non ristretta a una sola etnia, non tradita dalle politiche dello Stato di Israele.
Con i più cordiali saluti,Lo Scriba per “Prima loro”
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