Elezioni sarde
Renato Soru in campo, vent’anni dopo: senza pudore, come se niente fosse
12/11/2023 sul blog di Vito Biolchini
Cagliari, 11 novembre 2023
di Vito Biolchini
Sì, il discorso di Renato Soru mi è piaciuto. Vibrante, coinvolgente. Capace di toccare i punti cruciali della questione sarda, del nostro deficit di sviluppo, della nostra difficoltà ad uscire da una condizione di subalternità. Lucido nel definire i limiti dei partiti, coraggioso nell’annunciare la nascita di un nuovo soggetto politico capace di fare esclusivamente gli interessi della Sardegna, senza compromissioni romane. Tutto vero, tutto giusto, tutto straordinariamente entusiasmante. Sono andato a sentirlo in un salone enorme e austero, quasi sovietico, dove in un clima di frenetica mobilitazione il fondatore di Tiscali ha lanciato ufficialmente la sua candidatura alle prossime elezioni regionali: quelle del 2004.
(pausa)
(pausa)
(silenzio)
Sono passati vent’anni tondi tondi e ieri Renato Soru, in una sala meno sobria di quella scelta nel novembre del 2003 (siamo passati dal salone della Compagnia Portuale al lussuoso Teatro Doglio) ha replicato il suo intervento di allora. Come se nulla fosse successo. Come se non fosse mai stato il presidente della Regione. Poi di nuovo candidato alla presidenza. Poi consigliere regionale. Poi segretario regionale del Pd. Poi europarlamentare. Ha parlato come se in questi ultimi vent’anni non avesse mai avuto incarichi di responsabilità. Come se lo sfascio attuale del centrosinistra in Sardegna non fosse anche, in quota da stabilire, da imputare a lui.
Soru ieri ha parlato, dandosi nuovi obiettivi e un nuovo orizzonte politico. Ma cosa gli ha impedito in questi ultimi vent’anni di fare quello che ha annunciato di voler fare ieri?
Ieri l’ex presidente-consigliere-segretario-europarlamentare si è scagliato contro la politica sarda che è succube delle decisioni romane e ha annunciato la nascita di un nuovo soggetto politico. E mi chiedo: sarà come Progetto Sardegna? Ovvero, anche questo lo scioglierà all’improvviso contro la volontà dei suoi iscritti per portarlo in dote ad un partito italiano con l’unico obiettivo di fare carriera? Perché non dobbiamo dimenticarci che Soru vent’anni fa godeva di un credito straordinario, al punto tale che il centrosinistra tutto pensava a lui quale possibile candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri. E Progetto Sardegna, confluendo nel nascente Pd, fu sacrificato anche sull’altare di questa ambizione.
Ma questo è Renato Soru. Uno che, ipse dixit, sparisce dalla scena politica per sette anni (mai lapsus fu più rivelatore, e alla fine ne parleremo) e poi, come se niente fosse, torna e pretende che il suo partito lo proponga come candidato presidente, che poi imponga le primarie e tutto questo per consentirgli di tornare a governare la Regione? E va pure a Roma per chiederlo alla segretaria Schlein? E questa sarebbe la sua “Rivoluzione gentile” e non la solita arroganza, la solita mancanza di rispetto delle regole (in questo caso, del suo – non mio – partito)?
Soru ieri ha attaccato il Pd. Ma era forse diverso il Partito Democratico in Sardegna quando è stato guidato da lui? Mi verrebbe da chiederlo anche a Romina Mura, che ieri da Palazzo Doglio ha detto cose sensate e condivisibili: ma forse le logiche di oggi non sono le stesse che le hanno consentito di andare in parlamento? E con quali meccanismi l’attuale moglie di Soru, Dolores Lai, attuale componente della direzione regionale del partito, attenta regista dell’iniziativa di ieri (e forse anche di questa candidatura), ha fatto la sua carriera politica? Con le logiche della partecipazione o con quelle dell’appartenenza e della cooptazione? Cosa aspettano Lai e Mura, insieme a Soru, a dimettersi immediatamente dal Pd?
La situazione è disastrosa. Ma se tra i compiti di una classe dirigente c’è anche quello di creare una classe dirigente, qual è la classe dirigente che in vent’anni di attività politica Soru ha creato? Che carriere ha favorito? Di che collaboratori si è avvalso a Bruxelles? Mi sembra di ricordare di una sua la cugina nominata assessora regionale e poi anche di una figlia piazzata in consiglio comunale a Cagliari. Ma la classe dirigente che in vent’anni avrebbe dovuto creare, dov’è?
Non c’è. E la sua autocandidatura, fuori dal tempo e dalla storia, ne è la prova più eclatante.
(silenzio)
Tra un ammiccamento e l’altro, ieri Massimo Zedda ha avuto il coraggio della verità. Ha detto: “Se alle prossime regionali andiamo divisi, perdiamo”. Soru gli ha risposto, testualmente: “Non lo so se divisi si perde”. Certo, se l’unico obiettivo è quello di far perdere il centrosinistra che ha scelto come candidata Alessandra Todde, no, la vittoria (della destra) è certamente a portata di mano. E Zedda lo sa; ma non può certo cavarsi dall’impaccio con la battuta delle uova da rompere per fare una buona frittata. Per questo ritengo che alla fine i Progressisti torneranno indietro.
Alessandra Todde ha il nemico in casa. Ma se ha scelto di accettare la candidatura, è anche perché pensa di poter essere più forte di Soru e del candidato del centrodestra messi assieme.
Ieri però ho pensato: che straordinario apporto avrebbe potuto dare oggi Renato Soru, libero da ogni impegno istituzionale, alla Sardegna e alla politica in generale. Senza nulla pretendere in cambio, con il solo obiettivo di far crescere il dibattito, di portare la sua esperienza al servizio della società isolana. Invece ora, senza alcuna generosità, occupa la scena politica con una candidatura senza senso e senza futuro. Con nessuno scopo se non quello di prendersi una ottusa rivalsa che sarebbe potuta arrivare nel segno della generosità. Invece no. Allunga la sua vita politica in maniera fittizia, con una scelta che getta l’ennesima ombra sulla sua carriera, partita in maniera fulgida, poi rimasta impantanata tra giochi di potere, processi vari (occhio che uno è ancora in corso), pulsioni familistiche, assenteismi, contraddizioni.
Fatti che Soru vorrebbe che si dimenticassero, invocando un diritto all’oblio che non c’è e non ci può essere: noi ricordiamo. E ricordiamo bene.
Non stavo certo aspettando la serata di ieri per capire che su di lui c’è stato un grande fraintendimento e che per me lui è stato, come scrissi tempo fa, “the great pretender”. Ma è chiaro che questa ultima fiammata dà una ulteriore chiave di interpretazione del suo percorso politico dal 2003 ad oggi.
Il dramma politico si intreccia col percorso umano. Soru non si accorge che il tempo del protagonismo è passato, che il tempo dei comizi è finito. Sono passati vent’anni, un ciclo si è chiuso e non si può riaprire: non lo ha capito. Poteva lasciare generosamente il campo ad altri, lasciandoli liberi di fare gli stessi errori che ha fatto lui. Ma come sperare che adesso improvvisamente Soru diventasse politicamente generoso quando la sua carriera racconta bene che non lo è mai stato?
Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia alla realtà. Soru ha un unico obiettivo: far perdere il centrosinistra. Potrebbe farcela.
Un’ultima cosa. Ieri Soru quasi si è scusato per essere stato lontano dalla politica “per sette anni”. Sette anni? Forse Soru dimentica (e ne avrebbe motivo) che fino al luglio del 2019 (ovvero, appena quattro anni fa) è stato europarlamentare. Ma di quella esperienza cosa possiamo ricordare, se non le ripetute assenze e un imbarazzante propensione al lobbismo? Ecco, forse mai lapsus fu più veritiero.
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