Buggerru
Banne Sio
L’eccidio di Buggerru tra letteratura, arte, teatro, cinema, musica e poesia
Le zone minerarie sono state oggetto di numerosi studi e analisi a partire dal lavoro di Quintino Sella “Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna”.
Alla storia delle miniere nella nostra isola, ha dedicato attenzione, soprattutto dopo gli anni ’60 del secolo scorso, anche la rappresentazione poetica, letteraria, artistica e cinematografica.
È evidente che gli artisti, dei settori più vari, non restarono, e non restano, insensibili di fronte a quel sacrificio di vite umane per ottenere condizioni di lavoro più accettabili. Due sono, a mio avviso, i motivi principali che hanno spinto, e spingono, a rappresentare in forma artistica la vita dei minatori: il recupero della memoria, dando voce a chi non l’ha spesso avuta dalla storiografia ufficiale e il bisogno di raccontare la realtà delle miniere sarde, che, fino a qualche decennio fa, era stata assente da queste forme di narrazione, anche con lo scopo di avvicinare il lettore a problematiche sociali importanti quali i diritti dei lavoratori.
Poesia/musica
Partiamo dalla poesia. Per quanto attiene alla poesia si registra il fenomeno dei poeti-minatori, cioè sono gli stessi minatori che scrivono della loro condizione.
Uno di questi è Sebastiano Moretti, grande poeta improvvisatore di Tresnuraghes che lavorò come minatore nell’iglesiente, che scrive un’opera, pubblicata nel 1903, dunque prima dell’eccidio, che si compone di 46 ottave: Su gridu de su minadore. I versi sono in lingua sarda. Questo non sorprenda, in quanto voleva raggiungere un’ampia fascia di minatori che proveniva dal mondo delle campagne e ancora non aveva una coscienza di classe. Questo testo in limba, come altri per esempio Metremolla di Giuseppe Cappellu, contribuì a sindacalizzare questa componente lavorativa. I testi erano, infatti, in esplicito appoggio all’opera di Giuseppe Cavallera: davano voce alla protesta e alla denuncia contro le ingiustizie e le prepotenze delle compagnie minerarie ed esortavano e cercavano di convincere la massa operaia ad aderire alle leghe: Coraggiu frades duncas ite pensamos/Semus beninde troppu cattivados/A sos Uffitzios de sa Lega andamos/Non restemus pius isparpagliados/Cando semus unidos forzas amos/E benimos pius bene tratados. /Sa forza naschet dae s’unione/E da sa forza naschet sa rejone.
Un altro esempio di poeta/minatore è Manlio Massole, insegnante e minatore a Buggerru, unanimemente riconosciuto come il cantore della categoria. Ha scritto numerose poesie nelle quali Massole descrive in modo straordinario la figura di questi lavoratori, le loro sofferenze, la loro fatica. Egli ne ha messo in evidenza il vero spirito, la solidarietà e umanità. Massole diceva: “in miniera si entra dicendo io e si esce dicendo noi”. Nella raccolta Bethger: il lungo dolore, pubblicata nel 1976, nella poesia Lezione di storia: compaiono i versi per l’ecatombe dei minatori del 1904: Era domenica quel quattro di settembre, il mare era in tempesta e il cielo livido, il quattro di settembre del millenovecentoquattro. Noi nascemmo in quel giorno, dal sangue che moriva, di Felice Lìttera, di Salvatore Montixi, di Giustino Pittau. I servi volevano essere meno servi, gli uomini un po’ più uomini.
Nel 1993 alcune poesie di Massole furono il fulcro del progetto musicale-teatrale Pelle di mulo del gruppo trentino Turya Trance, con musiche di Carlo La Manna.
La poesia Pelle di mulo, inoltre, è stata messa in musica dal duo toscano Secondamarea, inserita nel libro-CD pubblicato nel 2009 intitolato Canzoni a carburo – Memoria e miniera.
Oltre ai diretti interessati la vita mineraria è stata fonte di ispirazione per altri poeti.
L’opera più nota è forse quella di Sebastiano Satta: I Morti di Buggerru. Ma ve ne sono altre.
Molto intensi sono i versi contenuti nella poesia Esisti galu del poeta e sindacalista orgolese Peppino Marotto, che esprimono la drammatica condizione dei minatori: sos minadores sardos de Buggerru/da sos isfrutadores inumanos/an afrontadu penas de s’inferru. La poesia sottolinea come la lotta dei minatori di Buggerru abbia avuto un’eco internazionale e sia stata di esempio e abbia innescato altre proteste: sa sarda lota pro su minerale/passat dae Sardigna in Continente/e diventat internazionale. Il testo evidenzia, come la protesta abbia suscitato viva ammirazione nei sardi: sos operajos de s’iglesiente/s’acquistana s’ammirazione/de onzi sardu onestu e intelligente. Anche se Marotto amaramente chiude la sua lirica, datata 1976, scrivendo: ma sa lota no est galu finida/esisti galu sa zente maligna/esisti galu sa zente famida/ancora est mesu morta sa Sardigna.
Questo testo, nel 1976, è stato eseguito da Antonello Giuntini all’interno dello spettacolo teatrale Parliamo di Miniera. La ritroviamo cantata dallo stesso Giuntini e dal Tenore Murales di Orgosolo nell’audiolibro a corredo del romanzo di Gianni Loy Eva e Petra, pubblicato nel 2022.
Altra lirica altrettanto coinvolgente è Pro sos mortos de Buggerru, scritta nel 2004 per rievocare i cento anni trascorsi dall’eccidio, da Paolo Pulina, poeta di Ploaghe, e musicata da Antonio Carta. I versi della canzone esprimono la drammaticità dell’episodio: s’annu de sas dies de ifferru/a sos padrones de Buggerru/no interessaìat trattare/ma usare solu su ferru e sottolinea che i padroni della miniera erano sempre pronti a fare il bello e il cattivo tempo allo scopo di perseguire i loro interessi: Sos padrones cheren aer rejone/e, si pessan chi est netzessariu/cambiàna puru sas istajones/e magari su calendariu.
Il poeta improvvisatore di Onifai, Bernardo Zizi oggi 95enne, ha scritto, e cantato, un sonetto dal titolo Su Minadore, nel quale descrive la figura del minatore, mettendone in risalto il coraggio ed il valore di chi affronta l’ignoto nei sotterranei infidi e pericolosi. Questi i primi otto versi: In s’umida e oscura miniera/tribaglias generosu minadore/versende da sa fronte su suore/a turnu ’e note o da manzanu a sera/in sa tua pesante carriera/cantos drammas as bidu de dolore/e puru afrontas totu cun amore/de cambiare destinu in s’ispera.
Nell’ambito del panorama musicale italiano, citiamo due canzoni: una è dello dello storico gruppo emiliano dei Nomadi, dal titolo Naracauli, pubblicata del 1978 che prende il nome da un villaggio del comprensorio minerario di Ingurtosu, nel comune di Arbus. La seconda composta negli anni Sessanta dal gruppo musicale di rock progressivo dei New Trolls, e che ha come titolo Una miniera. Su una musica lenta e malinconica scorre un testo dal forte potere evocativo: i primi versi descrivono ciò che il minatore percepisce, attraverso i sensi, in miniera: Le case, le pietre ed il carbone dipingevano di nero il mondo. Il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggiù nel buio. Nessuno parlava solo il rumore di una pala che scava, che scava.
Gli ultimi versi, invece, esprimono il dramma e il dolore: Ma un’alba più nera, mentre il paese si risveglia, un sordo fragore ferma il respiro di chi è fuori, paura, terrore, sul viso caro di chi spera questa sera, come tante, in un ritorno.
Letteratura
Diverse opere con forme narrative differenti (romanzi, pièce teatrali, romanzo a fumetti) hanno descritto le condizioni di lavoro dei minatori sardi. Testi che ci raccontano la vita nell’inferno minerario, la vita del popolo delle tenebre, e hanno come denominatore comune l’enfasi riservata allo sciopero. Forma di resistenza per eccellenza, lo sciopero si rivela il vero nucleo narrativo di quasi tutte le opere.
La prima opera, in ordine cronologico, è Sonetàula di Peppino Fiori, pubblicata nel 1963. Fiori rievoca le condizioni dei minatori di Buggerru nel dialogo tra tziu Giobatta e Sonetàula. Quest’ultimo vorrebbe andare nel Sulcis a lavorare in miniera, perché la condizione di miseria alla quale è ridotto come teracu pastore lo ridurrà alla fame, ma Giobatta Irde smorza il suo entusiasmo. L’uomo ha lavorato nella miniera di Buggerru “nelle budella del diavolo, in un fumo nero, bagnato”, dove per “dodici ore di lavoro” gli operai ricevevano “due lire di paga”. Fiori riporta anche un dialogo di Giobatta con il direttore della miniera Achille Georgiades, a cui dice; “Lo trattate da bestia, il minatore. E quando s’ammala via, nell’immondezza”.
Lo stesso Fiori in un’altra opera, Vita di Antonio Gramsci, pubblicata nel 1966, scrive che, ai primi del ’900, il socialismo in Sardegna muoveva i primi faticosi passi, in particolar modo nel Sulcis-Iglesiente. E qui introduce la figura di Giuseppe Cavallera e parla dell’eccidio di Buggerru. “Era il primo sangue sparso nell’isola per lotte sociali”, scrive Fiori. “Fu proclamato in tutt’Italia lo sciopero generale, il primo di simile ampiezza nella storia del movimento operaio italiano. In Sardegna, per debolezza di organizzazioni, tutte ancora allo stato larvale (…) il movimento di protesta non ebbe echi. E tuttavia si era ugualmente a una svolta”.
Altro importante romanzo, che ebbe grande diffusione e che contribuì significativamente a far conoscere i fatti di Buggerru è Paese d’Ombre, di Giuseppe Dessì, pubblicato nel 1972. Sante Follesa, l’alter ego di Giuseppe Cavallera, bracciante di Norbio-Villacidro, che aveva fatto importanti esperienze operaie nel continente venne chiamato d’urgenza a Buggerru, dove arriva il 3 settembre 1904 per partecipare alle trattative con il direttore Georgiades, che aveva imposto la riduzione della pausa da tre a due ore. Dessi descrive bene le condizioni di sfruttamento alle quali erano sottoposti i minatori e i momenti drammatici precedenti l’eccidio. Scrive Dessì: “Dal fondo della piazza volò un sasso che passò sopra la folla e finì contro i vetri della falegnameria. Fu l’inizio di un crescendo. I sassi ormai cadevano fitti quando, nel panico di un istante (…), qualcuno, rimasto sempre sconosciuto, diede un ordine secco ed energico che i soldati eseguirono automaticamente. (…) Più tardi, durante l’inchiesta, risultò che i fucili avevano sparato da soli e che le autorità ignoravano che i soldati avessero le giberne piene di cartucce. (…) La notizia della strage rimbalzò per tutta l’Italia operaia. A Milano fu comunicata alla folla durante un comizio di protesta e provocò uno sciopero generale in tutta la Penisola. Solo in Sardegna rimase senza eco, e il silenzio di Buggerru, dopo la strage, in quel triste pomeriggio di settembre, era il simbolo del silenzio di tutta l’isola nella compagine nazionale”.
Sui fatti di Buggerru è stato scritto, dall’autore cagliaritano Otto Gabos, anche un romanzo a fumetti dal titolo proprio L’eccidio di Buggerru. L’albo fa parte della collana Storia della Sardegna a fumetti ideata da Bepi Vigna e pubblicata nel 2013 dall’Unione Sarda. L’opera ripone una particolare attenzione sulla figura di Georgiades, sulla sua prepotenza, alterigia, sul suo cinismo. E mette in evidenza le differenze tra i minatori costretti a una vita di sofferenze, di privazioni, che vivono in baracche malsane, sfruttati e malpagati, il cui salario viene drenato dalle botteghe controllate dai padroni delle miniere, rispetto alla vita agiata del direttore della miniera, del Turco, così veniva chiamato dai minatori, che gira in automobile, vive in una villa sfarzosa, si fa portare il karkadè direttamente da Costantinopoli, il cumino dal Gran Bazar, e beve Bordeaux di annate pregiate.
Nel 2022 arriva la prima opera in prosa in limba sarda sui fatti di Buggerru, scritta da Gianni Loy, dal titolo Eva e Petra. Il libro, un romanzo breve, tra l’altro presentato proprio l’altro ieri qui a Buggerru, ha anche un sottotitolo: Dae su boccidorgiu de Buggerru a su sciòperu generali, e racconta dell’amicizia di due bambine, Eva e Petra, una figlia di un minatore e l’altra del direttore della miniera. Loy, attraverso lo sguardo delle due bambine guida il lettore nel paese di Buggerru ai primi del ’900 di cui descrive la realtà storica, le dinamiche sociali, quelle economiche, il vissuto dei minatori. Tutti gli avvenimenti storici sono visti con lo sguardo delle due protagoniste delle quali Loy ha interpretato le passioni, le emozioni, le paure, i dubbi.
E’ corredato da un audiolibro, curato da Alessandro Olla per i suoni, sotto la direzione artistica di Cristina Maccioni. Attraverso la scansione di un codice QR si può ascoltare il libro in tre versioni linguistiche: italiana letta da Marco Bisi, campidanese da Lia Careddu e logudorese da Mallena Mesina.
Teatro
Anche il teatro ha riservato particolare attenzione all’eccidio. La prima opera è datata 1970, Quel giorno a Buggerru del drammaturgo nuorese Romano Ruju. Si tratta di un Dramma che rievoca lo sciopero del 1904. Dall’intensità dei dialoghi dei personaggi si percepisce tutta la precarietà del rapporto fra i minatori e una classe padronale che vuole comandare sempre, su tutto e fino in fondo. La sofferenza dei lavoratori costretti a condizioni di vita disumane culmina nella ribellione, soppressa dagli spari dei soldati. Il tragico epilogo dei fatti di Buggerru è reso da Ruju con grande suggestione lirica.
Pochi anni più tardi, nel 1976, Enzo Giacobbe, medico, commediografo e scrittore di San Vito, scrive la commedia Poi, la collina, nella quale ricostruisce le vicende di Buggerru, dalle prime lotte minerarie all’abbandono delle attività estrattive.
Sempre nel 1976 Gianfranco Mazzoni scrive Parliamo di miniera, portato in scena dalla Cooperativa Teatro di Sardegna. Un pubblico enorme affolla tutti i teatri dell’isola. Un’opera di grandissimo successo che ricostruisce la storia del movimento operaio delle miniere sarde a partire dalla protesta di Buggerru fino al 1976. Da questo lavoro, nel 1979, viene elaborato un programma radiofonico per RAI 3 dal titolo “Sa sarda lotta pro su minerale”.
Nel 1999 è la volta di un’altra opera teatrale di grande successo La piccola Parigi di Nino Nonnis, di cui abbiamo sentito un estratto questa mattina. Petit Paris era il nome dato al borgo minerario di Buggerru, in quanto i proprietari della miniera, francesi, vi si erano trasferiti in massa con le proprie famiglie, creando una sorta di società parallela a quella dei minatori. La Piccola Parigi racconta l’eccidio: le condizioni disagevoli dei lavoratori, il montare della rabbia, lo sciopero, gli spari. E’ il racconto di questa società parallela, vista attraverso gli occhi dei minatori massacrati dal lavoro.
Un’altra opera teatrale di Nino Nonnis, anche di questa abbiamo sentito un breve brano questa mattina, è Quel mattino di marzo 1913, che racconta di quel 18 marzo del 1913 quando quattro cernitrici, Maria Saiu di 36 anni, Anna Pinna, di 24, Laura Lussana, di 20, e Anna Rosa Murgia, di appena 15 anni, sono state travolte dal minerale grezzo precipitato da una tramoggia e sono morte sul lavoro, nella miniera di Genna Arenas, qui a Buggerru.
In ricordo di questo tragico evento Stefano Floris, ha scritto una poesia dal titolo Cernitrici. Floris richiama nella sua lirica il duro lavoro delle operaie, spesso bambine: Donne/mani segnate da cicatrici/mani piegate/mani ferite/mani indurite dai calli./Donne/sfinite da dieci ore di fatica/condannate senza sosta e senza intervallo/avvezze alla marra e al paiolo/all’uso del martello. (…) Cernitrici, donne del passato/vittime sacrificali sull’altare del lavoro/Il vostro ricordo/è scolpito in ogni miniera/sulla lapide della memoria.
Nel 2023, dunque in tempi recentissimi la compagnia teatrale toscana I Girasogni porta in scena l’opera di Gianni Loy, Eva e Petra, un Monologo teatrale il cui interprete è Fabrizio Passerotti, con la regia di Giulia D’Agostini, che hanno portato lo spettacolo in giro per tutta la Sardegna, ieri a Buggerru, e non solo. Un monologo appassionante che trasporta lo spettatore e che sta contribuendo in maniera efficace a far conoscere i fatti di Buggerru del 1904.
L’ultima opera che voglio citare è il monologo L’eccidio di Buggerru di Luigi Pusceddu, che sentiremo a conclusione del convegno.
Arte
La prima opera, che voglio ricordare, è quella di Liliana Cano, la potete ammirare tutti, è esposta in questa sala consiliare, di proprietà del Comune di Buggerru. Nel 1972 l’artista sassarese dopo aver letto Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, fu talmente colpita dalle righe evocanti l’eccidio che quella stessa notte fece rivivere, definitivamente, il terribile episodio nella grande tela di 2 metri per 280. All’ ingresso di questa sala è visibile anche l’opera di Maura Saddi che ricorda l’eccidio.
Altri artisti, Gino Frogheri e Giovanni Nonnis di Nuoro, Giovanni Canu di Mamoiada, Giorgio Corso di Cagliari hanno dipinto degli oli ispirati al tragico epilogo dello sciopero del 1904 e tutti esprimono con drammaticità la violenza esercitata nei confronti dei minatori in quel lontano settembre.
Infine voglio ricordare Francesco Del Casino, artista senese e padre del muralismo orgolese, che illustra, con 20 tavole, il libro di Gianni Loy Eva e Petra. Dai suoi dipinti emerge in maniera significativa il potere della rappresentazione visiva; hanno una tale forza e una tale efficacia comunicativa, le sue illustrazioni, che ci trasmettono con immediatezza la drammaticità dei fatti, ci fanno capire gli stati d’animo delle protagoniste, la loro classe sociale.
Del Casino, inoltre, ha donato al comune di Buggerru un dipinto, che evoca l’evento del 1904, insieme a un altro che ricorda la rivolta di Pratobello del 1969. Entrambi ospitati in questa sala.
Tra gli scultori non si può non ricordare Pinuccio Sciola, che, in occasione dell’ottantesimo anniversario, ha voluto rappresentare il simbolo del tragico eccidio dei minatori con tre statue di trachite rosa, distese a terra sulla grande aiuola di Piazza Eccidio.
Cinema
Abbiamo già parlato di Sonetaula come romanzo, nel 2008 diventato un film diretto da Salvatore Mereu, tratto dall’omonimo romanzo di Peppino Fiori.
Esistono altri filmati che meritano di essere ricordati. Il primo è Da Quel giorno a Buggerru dello stesso Fiori. Il filmato sottolinea la posizione faziosa della stampa. “L’unione sarda”: parla di “conflitto tra operai e soldati” e scrive di “legittima difesa dei soldati” e aggiunge “l’autorità del padrone doveva essere zero? La sfrenatezza dei facinorosi doveva trionfare?”
“Il Corriere della sera” non è da meno: “allorché i soldati usciti dalla stazione si preparavano all’accasermamento, gli operai li assalivano con una fitta sassaiola, ferendone sette, furono anche uditi dei colpi di rivoltella. La truppa rispose sparando dapprima a salve, ma continuando e infierendo la sassaiola, ricorse alle pallottole e sparò contro la folla. Tre minatori rimasero morti, altri rimasero feriti”. Il quadro della stampa é chiaro: uno sciopero, proclamato quasi senza motivo, l’intervento dell’esercito per garantire l’ordine, la furia degli scioperanti, i soldati che si difendono e caso strano, gli uccisi e feriti sempre nel campo operaio. Anche se la voce fuori campo riporta i fatti alla realtà: l’Ingegner Georgiades, che non ha intenzione di cedere alcunchè alle maestranze, spera solo nella repressione e in attesa dell’arrivo dei soldati prende tempo fingendo di trattare.
Un altro importante documentario è Buggerru dove nacque la speranza (1982) di Salvatore Sardu che ripercorre la storia del paese, della Piccola Parigi ma anche delle condizioni dei minatori. Il filmato si conclude con la rievocazione dello sciopero del 1904.
Infine un’opera di Giosi Moccia, 1904-1984 Dai fatti di Buggerru l’eredità della miniera. Il filmato propone una suggestiva rievocazione dell’eccidio di Buggerru alla presenza dell’allora Presidente della Regione, Mario Melis. Durante la commemorazione vennero disposte sulla piazza principale del paese le tre sculture in pietra di Pinuccio Sciola, che abbiamo appena ricordato, realizzate in memoria dei tre operai uccisi. Nel filmato, oltre alla cronaca della giornata, vengono ricostruiti i fatti accaduti a Buggerru utilizzando fotografie e documenti dell’epoca.
Come si può desumere, se nell’immediato non vi fu la dovuta attenzione all’eccidio, dagli anni ’60 in poi diversi artisti gli hanno dedicato il loro impegno creativo, rendendo immortale il sacrificio dei minatori.
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