Verso le elezioni sarde. Torniamo a votare
IL CONVITATO DI PIETRA E L’ARABA FENICE: uno sguardo sulle elezioni regionali
di Tonino Secchi
In questo fine agosto 2023, memorabile per le calure storiche e gli incendi devastanti in diverse aree del Mediterraneo, si respira in Sardegna una sorta di stordimento della memoria soprattutto nell’ambito della politica che ha chiuso i battenti prima delle “vacanze estive” con due vicende significative: l’assemblea del campo largo del centrosinistra al Molentargius e l’imbarazzo del centrodestra alla ricerca affannosa di un nuovo leader. I giocatori di questa partita sembrano non accorgersi di un convitato di pietra che quasi li osserva dispiaciuto e incredulo dagli spalti quasi a ricordare che i giochi sono già fatti e che a vincere può essere proprio lui: una presenza invisibile ed inquietante, conosciuta da tutti e che nessuno nomina per timore, l’astensionismo elettorale dei sardi che sfiora la clamorosa percentuale del 50%. Chi ha vinto le precedenti elezioni regionali del 2019 ha totalizzato un numero di voti pari a 364.059, su una popolazione di 1.470.401 elettori, di 790.709 votanti di fatto e dunque di 679.692 non votanti. Ecco perché il convitato di pietra ci guarda oggi con un ghigno ironico: “con questi numeri ho già vinto” in una Sardegna spopolata, ferma a 1.573.664 abitanti che hanno deciso, perché costretti, ad abbandonare i paesi dell’interno per riversarsi nelle grandi aree metropolitane di Cagliari, Sassari e Olbia. Ma il fatto più preoccupante è stato il totale silenzio delle stampa sarda e dei mass media che al termine degli scrutini del 2019 hanno ignorato l’astensionismo isolano esaltando il “trionfo” di chi aveva vinto semplificando il messaggio: la democrazia rappresentativa fondata sul concetto della maggioranza aveva tenuto dunque la Regione viene governata da chi ha vinto. Che la sovranità appartenente al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art.1), sia stata espletata seppure in un solo frangente unico, cioè con la partecipazione al voto, è sufficiente per dire che la democrazia ha funzionato? La scienza politica sarda, oppure la pura e semplice vita politica dei partiti isolani, non ha avuto il coraggio di guardare con attenzione dentro il buco nero dell’astensionismo per riconoscere che la democrazia sarda si è avviata verso un percorso accidentato di vera e propria crisi della sua autonomia speciale per trasformarsi in una democrazia ibrida e senza popolo. Ma come interpretare questo fenomeno, ormai diffuso anche a livello nazionale? Una teoria americana semplifica l’analisi in poche battute: l’astensionismo è figlio dell’ignoranza e gli elettori che si astengono dal voto sono poco meno che degli hobbit, degli uomini piccoli. La semplificazione di questo ragionamento si associa all’idea consolatoria, molto europea, che in fondo non c’è da preoccuparsi dell’astensionismo perché caratterizza tutte le democrazie più evolute: male comune mezzo gaudio. Oppure mentre evapora proprio in Europa il ruolo del popolo nella vita democratica si accentuano le pratiche populiste e sovraniste di leader politici che inaugurano modelli di democrazia autoritaria. Dunque la Sardegna cosa può raccontare di se’ stessa? Nel modello del bipolarismo imperante, almeno dal 1994, inaugurato da Berlusconi e oggi vigente, chi vince non ha motivo di perdersi in studi e ricerche e ripeterà: peggio per loro che non votano noi abbiamo il consenso della gente. Chi perde invece riuscirà almeno a riconoscere che i voti sciupati se non sono andati alla destra potrebbero essere voti smarriti dalla sinistra? Ecco perché è diffusa la messa in stato di accusa del sistema maggioritario e si evoca l’assenza di un centro nella vita politica italiana segnata anche dalla diaspora dei cattolici, dispersi ormai da un trentennio a destra e a sinistra, cioè presenti dappertutto e da nessuna parte perciò ininfluenti o irrilevanti. L’astensionismo si conferma materia seria e molto complessa per lo stesso futuro dell’isola se solo si volesse aggiungere che è in crisi anche il modello della democrazia rappresentativa dei partiti e del loro fallimento nella costruzione di una moderna democrazia partecipativa. E’ infatti risuonata nell’isola qualche voce coraggiosa che si chiedeva: ma dov’è il popolo sardo, dove sono i suoi intellettuali, esistono ancora i corpi intermedi della vita sociale e religiosa che hanno sostenuto la fiducia della gente comune nelle istituzioni della Prima Repubblica? Oppure anche la Sardegna è scossa dal cambiamento epocale che investe le democrazie liquide dell’occidente e che ha esaltato il fenomeno dell’individualismo a scapito del senso del noi e del legame comunitario? Una sorta di esproprio della propria cultura locale a vantaggio di quella omologante della globalizzazione vorace del danaro e degli scarti conseguenti! Dietro l’astensionismo non ci sono hobbit ma persone che hanno smarrito la fiducia e la speranza nel futuro e che devono essere aiutate a riscoprire l’amicizia sociale e l’importanza di vivere insieme legati da un solo destino nella bellezza della storia e dell’identità sarda. Non c’è molto tempo anzi dobbiamo ripeterci che non c’è più tempo per lanciare una lettera d’amore al popolo sardo implorandolo a non perdere la memoria, e a ricordarsi che l’Autonomia sarda non ci è stata regalata anzi che insieme alla Costituzione italiana è stata pagata con il sangue anche delle giovani generazioni sarde e che la nostra salvezza viene dall’Europa, rinnovata e unita nello spirito di pace, libertà e giustizia voluto dai suoi padri fondatori e lasciato a noi in eredità preziosa. Torrausu a votai, turremu a vuta’, scriviamolo in tutti i muri delle nostre città e paesi in campidanese, logudorese, gallurese e barbaricino e celebriamo in questo modo le nostre feste popolari che non siano solo manifestazioni di folclore bello e colorato ma soprattutto di orgoglio e onore di appartenere a questa terra benedetta che non è più un paese d’ombre ma il luogo della felicità dei sardi. Questa è la nostra Araba Fenice, l’uccello mitico che può rinascere dal fuoco e dalle ceneri! Se il popolo sardo non parteciperà alle elezioni altri lo faranno non per il bene comune ma soltanto per i loro interessi particolari. Ecco perché non ha senso dire che ci impegneremo in una nuova politica “per” il popolo sardo ma che lo faremo “con” il popolo sardo, unico garante della propria libertà e del proprio futuro. (Tonino Secchi)
——————————
Lascia un Commento