Noi, la Guerra e don Milani

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 118 del 1 giugno 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 299 del 1 giugno 2023
UN SECOLO E L’ALTRO

Cari Amici,

meno male che Kissinger ha cento anni, perché se ne avesse cinquanta di meno farebbe dell’Ucraina un Vietnam, dettando tutto da solo le scelte della politica estera americana, come oggi dice di aver sempre fatto in passato.
Il Vietnam costò agli Stati Uniti 60.00 morti e 153.000 feriti, per non parlare dei milioni di Vietcong e civili vietnamiti che in quella guerra persero la vita. Ma Biden nonostante le promesse di sostenere l’Ucraina fino alla fine, si guarda bene dal farne il suo Vietnam, e per suo mezzo debellare la Russia. Il supporto incondizionato a Kiev si può in realtà rivelare come un bluff, nel momento in cui l’Ucraina, illusa dalla schiera dei suoi alleati di poter vincere la guerra contro la Russia, si accorge che questo è impossibile e non ha come uscirne: deve rinunziare all’annunciata controffensiva di primavera, non riesce a riconquistare le terre irredente, non ha la strada dei negoziati che essa stessa ha precluso, né può dettare la pace alle sue condizioni, come le fanno credere i suoi partners europei. Nè può farlo al suo posto l’America: sarebbe contro natura per gli Stati Uniti giungere a uno scontro armato e finale con la Russia, come essi stessi hanno dimostrato con ben diversa sapienza durante tutto il corso della guerra fredda: e ci sono illustri reduci di quella vecchia America che ormai lo gridano sui tetti lanciando appelli alla diplomazia sul “New York Times”. Proprio perché credono all’Armageddon, gli americani non ci vogliono passare.
Se finisce il bluff del “morire per l’Ucraina”, finisce anche il bluff, o l’illusione, del “nuovo secolo americano” e dell’Impero globale dominato dagli Stati Uniti, che non dovevano essere superati, ma nemmeno eguagliati, come dicono, da alcuna altra Potenza.
Possiamo così sperare che il conflitto in Europa si concluda prima che il suo contagio si diffonda o degeneri in una guerra mondiale, secondo l’avvertimento che viene dal Kosovo.
Ma per noi è troppo poco che questa guerra finisca, innescando magari un lungo periodo di guerra virtuale e di “competizione strategica” fino alla “sfida culminante” con la Cina, come minacciano i documenti sulla “Strategia nazionale” degli Stati Uniti. Dobbiamo invece uscire dal sistema di dominio e di guerra e passare a un’altra idea del mondo, come un mondo di mondi diversi in relazione tra loro, fondato sulla pace, sulla cura della Terra e sulla dignità di tutte le creature.
In questi giorni un altro secolo è stato celebrato, quello dalla nascita di don Lorenzo Milani, sul quale pubblichiamo nel sito [e anche qui] un importante articolo di Tomaso Montanari uscito sul “Fatto” di lunedì 29 maggio: la scuola – diceva don Milani alla fine della sua vita – non deve servire, “a produrre una classe dirigente, ma una classe cosciente”; e Montanari commenta: “Oggi , al tempo del ministero dell’Istruzione e del merito, la situazione è anche peggiore di quella che Milani combatteva. La scuola è stata messa al servizio dello stato esistente, non del suo scardinamento. Serve a trasformare i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è. Fa ancora parti uguali tra diseguali, e lo chiama ‘merito’. Manda ancora via i malati e la chiama ‘selezione’’’. Per non dire, potremmo aggiungere, della guerra alla quale, caduta in disuso l’obiezione di coscienza, non è ammessa nemmeno “l’obiezione dell’intelligenza”.
Con i più cordiali saluti,

Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Costituente Terra
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A cento anni dalla nascita
ATTUALITÀ DI DON MILANI
1 GIUGNO 2023 / EDITORE / DICONO LA LORO /
Il prete di Barbiana, perseguitato in vita, è oggi esaltato a buon mercato ma il suo insegnamento è contraddetto dalle imperanti ideologie del merito, della selezione e della guerra. Un articolo di Tomaso Montanari

di Tomaso Montanari

Pubblichiamo questo articolo del Rettore dell’Università per stranieri di Siena uscito sul Fatto Quotidiano del 29 maggio 2023.

In una pagina mirabile, il gesuita Michel de Certeau ha ricordato che “la Chiesa è sempre tentata di contraddire ciò che afferma, di difendersi, di obbedire alla legge che esclude, di identificare la verità con ciò che essa ne dice, di censire i ‘buoni’ in base ai suoi membri visibili… La storia dimostra che la tentazione è reale… ma l’esperienza cristiana rifiuta radicalmente la riduzione alla legge del gruppo. Ciò si traduce in un movimento di superamento incessante. Potremmo dire che la Chiesa è una setta che non accetta mai di esserlo. È costantemente attratta fuori di sé da quegli ‘stranieri’ che le sottraggono i suoi beni, che prendono sempre di sorpresa le elaborazioni e le istituzioni faticosamente acquisite, e nei quali la fede vivente riconosce, poco a poco, il Ladro colui che viene”. Una Chiesa, insomma, sempre tentata di lasciare la profezia per essere una società chiusa di ortodossi: e però sempre provvidenzialmente “sconquassata” da “stranieri” (cioè non allineati, non omologati, non conformisti) che in un primo tempo avversa, per poi riconoscere in essi Dio stesso, che disse di sé: “Ecco, io vengo come un ladro” (Ap. 16, 15).

Don Lorenzo Milani, che avrebbe ora compiuto cento anni, è stato uno di quegli stranieri, di quei ladri: uno dei più grandi, dei più duri, dei più teneri. La sua storia è stata scritta una volta per tutte da Dostoevskij, alla fine dei Karamazov: quando Gesù torna sulla terra il Grande Inquisitore, cioè la Chiesa del potere, gli rimprovera di aver voluto la sciare gli uomini liberi, di averli amati quando avrebbe dovuto dominarli. È quello che la Chiesa rimprovera ad ogni profeta: troppo amore! Trattato in vita dalla gerarchia ecclesiastica come un eretico (lui che era invece scrupolosamente ortodosso da un punto di vista dogmatico, e attratto dai sacramenti in modo quasi mistico), Milani oggi viene celebrato con fiumi di retorica: e il rischio è che non si rammenti più che era uno straniero e un ladro, cioè un profeta incendiario. Nato ricco e colto, Lorenzo Milani segue nudo il Cristo nudo, nei suoi poveri, con due stelle polari: il Vangelo per primo, e la Costituzione per seconda. Egli consuma la sua vita per dare ai poveri quella parola, quella lingua, quella dignità che possano permettere loro di non essere più schiavi dei “padroni”: come chiamava, senza reticenze, i ricchi e gli imprenditori. “Ci ho messo venticinque anni a sortire dalla classe sociale che scrive e legge l’Espresso e Il Mondo scrive Non mi devo far ricattare nemmeno per un solo giorno. Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono di loro”. Ascoltiamo lui, allora, quest’anno: rileggiamo i libri suoi (in realtà sempre libri collettivi, scritti con il suo popolo, con i suoi ragazzi) e quelli dei testimoni più stretti e fedeli (Michele Gesualdi, Adele Corradi). Capiremo che don Milani è solo dei suoi poveri, non dei potenti che sabato hanno invaso Barbiana: “Reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri”.

La statura politica del Priore di Barbiana è assodata da tempo. Diceva Tullio De Mauro: “Capiamo meglio oggi Gramsci grazie alla grande luce, alla grande protesta, alla forza intellettuale di penetrazione nelle cose sprigionata da don Milani”. E la sua più ardente eredità politica è racchiusa proprio nelle ultime parole che dice al suo Michele: la scuola non serve a “produrre una nuova classe dirigente, ma una massa cosciente”. Oggi, al tempo del ministero dell’Istruzione e del merito, la situazione è anche peggiore di quella che Milani combatteva. La scuola è stata messa al servizio dello stato delle cose, non del suo scardinamento. Serve a trasformare i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è. Fa ancora parti eguali fra diseguali: e lo chiama ‘merito. Manda ancora via i malati, e cura i sani: ella chiama “selezione”. E la stessa democrazia è ormai a gravissimo rischio, tra astensionismo e ritorno del fascismo: Milani scrive che, in una classe, “ventotto apolitici più 3 fascisti eguale 31 fascisti”.

Non fosse morto prima, sarebbe stato condannato per apologia di reato: l’obiezione di coscienza, che difende con tutta la sua forza. Perché nell’età atomica, scrive, “non esiste piu una ‘guerra giusta’ ne per la Chiesa ne per la Costituzione”. Insegnava ai suoi ragazzi che “se un ufficiale dara loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura…. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce, e cosi non riusciremo a salvare l’umanità. Non e un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima”. Quanto ci manca, oggi: nell’Italia senz’anima che, celebrandolo, lo tradisce.
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