In Italia e nel Mondo
Costituente Terra Newsletter n. 113 del 19 aprile 2023
Chiesadituttichiesadeipoveri n. 294 del 19 aprile 2023
STEREOTIPI CADUTI
Cari amici,
lo smantellamento della protezione speciale per gli immigrati, appassionatamente perseguito dal governo, in realtà era stato sancito nel decreto legge varato dal macabro Consiglio dei ministri riunito a Cutro dopo il tragico naufragio. Si trattava di un messaggio rivolto ai cadaveri appena finiti sulla riva. Diceva loro: “siete venuti per godervi la protezione speciale, e noi ve la togliamo”. Di questa norma, in attuazione della linea Piantedosi, nessuno, tranne l’Avvenire, si era accorto, mentre l’attenzione generale si era rivolta alle fantasiose norme penali che la presidente Meloni voleva andare a far valere in tutto l’orbe terracqueo. Se ne sono accorti ora, quando il decreto legge è arrivato all’aula del Senato, e a questo punto l’unica speranza è che non sia convertito in legge. Le norme abrogate sono quelle, non a caso chiamate umanitarie (sicché è ora disumano abolirle), per le quali anche gli immigrati che non godevano della protezione internazionale ordinaria in virtù del diritto di asilo, non potevano essere espulsi dall’Italia se si erano inseriti in modo “effettivo” nella sua vita sociale, e se vi avevano contratto o potevano eccepire effettivi vincoli di natura familiare, sicché il loro allontanamento coatto avrebbe comportato “una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del migrante”. Mettere ora i migranti fuori del diritto, significa renderli clandestini, ascritti a una “regola non bollata”, non più “occupabili”, se non in nero, e ridurli a “paria” (come i russi per Biden), esiliati e apolidi.
Aggiunto alla proclamazione dello stato di emergenza, alla lettura come errori di grammatica del fascismo di ritorno celebrato al vertice delle istituzioni, e a tutto il resto, lo smantellamento della protezione per i naufraghi, i profughi , i migranti e i loro familiari, fa cadere anche l’ultimo stereotipo della celebre definizione che Giorgia Meloni in spagnolo ha dato di se stessa. Infatti una donna non si fa chiamare “il Signor Presidente del Consiglio”, una madre non manda armi che imparzialmente vanno a uccidere bambini e altri figli di mamma che si combattono tra loro, una italiana non fa la sovranista in Italia e la suddita (o vassalla, come dice Macron) degli Stati Uniti e del norvegese Stoltenberg, e una cristiana non toglie protezione a nessuno, anzi addirittura dovrebbe soccorrere il prossimo, amare i nemici e considerare fratelli gli stranieri. E non va in Abissinia (come i fascisti chiamavano l’Etiopia) ad abbracciare i bambini neri “a casa loro”.
Resta però una domanda che riguarda Silvio Berlusconi. Le sue condizioni sono migliorate e l’augurio sincero (non come quello di certi “coccodrilli” troppo precipitosi) è che guarisca del tutto e torni al suo ruolo e alle sue responsabilità politiche. E la domanda è: che cosa c’entra Berlusconi con queste impietose politiche del governo? Non voleva interpretare una destra liberale, democratica, inclusiva, non voleva con le sue televisioni e promesse di governo raccontare un mondo di felicità e festose relazioni? Che cosa c’entra con l’accanimento contro i migranti e i naufraghi, cosa c’entra con la guerra ad oltranza che uccide l’Ucraina e vuole eliminare la Russia, che cosa c’entra con la riabilitazione del fascismo il cui abbandono da parte di Fini a Fiuggi consacrò sdoganando il Movimento Sociale-Alleanza Nazionale? Che c’entra con questo governo di destra retrodatata? Nella sua esperienza di governo egli ne ha fatte molte di cattive e sbagliate, ma come non vedere che quest’ultima, tenendo in piedi questo governo, è la peggiore, e perfino tradisce la coscienza che egli ha di sé? Non lo diciamo per tornare sulla sua vicenda personale, ma perché ne va della democrazia italiana.
Nel sito pubblichiamo di Gaetano Azzariti un articolo su “Un altro regionalismo è possibile”, di Domenico Gallo un articolo su “Guerra e finzione di guerre”, di Raniero La Valle una relazione a Brescia su “Origini vicine e lontane della guerra in Ucraina” e di Alessandro Marescotti un articolo sul fallimento dell’invio di armi e di Mauro Castagnaro un ricordo di Vittorio Bellavite.
Con i più cordiali saluti,
Chiesadituttichiesadeipoveri – Costituente Terra (Raniero La Valle)
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Dati drammatici
L’INVIO DELLE ARMI IN UCRAINA È STATO UN FALLIMENTO
19 APRILE 2023 / EDITORE / DICONO I FATTI / su Costituente Terra.
Invece di far diminuire le vittime l’invio delle armi in Ucraina le ha accresciute al punto tale che oggi è ufficialmente vietato dalle autorità fornire i dati. Siamo di fronte alla logica della faida, non alla guerra di difesa.
Alessandro Marescotti*
Si combatte in realtà per sconfiggere la Russia, per ottenerne la capitolazione così come avvenne nella prima guerra mondiale quando la potente Germania nel 1918 stramazzò nella polvere, stremata, assieme all’Austria, il cui impero finì per smembrarsi. Se questo è il vero scopo della guerra in Ucraina, è ovvio che vengono messe nel conto vittime a non finire, da non conteggiare per non deprimere il morale della popolazione ucraina che dovrà immolarsi per una vittoria strategica dell’Occidente
Mai come ora, dopo l’inutile strage di Bakhmut, la guerra si sta dimostrando un fallimento, per entrambi gli attori.
Su Youtube si susseguono dibattiti e approfondimenti fra esperti militari. C’è modo di documentarsi da una pluralità di fonti bucando il muro della propaganda a reti unificate. Si trova di tutto su Internet, con aggiornamenti quotidiani. Cartine digitali dell’Ucraina, mappe geolocalizzate del Donbass, dettagliate ricostruzioni dei combattimenti con l’uso dei satelliti. E poi testimonianze oculari raccolte da giornalisti freelance, inchieste di approfondimento della stampa internazionale. Dopo mesi e mesi di attenta ricerca, osservazione e verifica ho imparato a distinguere le fonti più affidabili da quelle che non lo sono.
Top secret il numero dei morti
Tantissimi elementi consentono di comprendere quello che avviene sui campi di battaglia. Possiamo conoscere giorno per giorno i movimenti delle truppe con una precisione straordinaria. I morti invece no: quelli non ce li dicono. Sono segreto militare. Né i governi occidentali li chiedono. Non li conoscono i parlamentari, i quali votano l’invio delle armi come puro atto di fede, senza alcuna possibilità di sapere se quelle armi hanno effettivamente salvato le vite umane degli aggrediti tenendo alla larga gli aggressori. Se non si hanno i dati dei morti in guerra nessuna verifica è possibile circa l’efficacia dell’invio delle armi, né si può verificare la coerenza degli effetti dell’invio delle armi rispetto ai fini auspicati in origine. Piaccia o non piaccia, anche la guerra ha una sua scienza statistica e si possono fare sofisticati calcoli prendendo come riferimento copiosi database con i dati delle vittime subite e di quelle inferte.
Il vero scopo dell’invio delle armi
Il fatto che non ci vengano comunicati i dati delle vittime la dice lunga sui veri fini della guerra e dell’invio delle armi. Che non sono più quelli di una romantica difesa della popolazione. Si combatte in realtà per sconfiggere la Russia, per ottenerne la capitolazione così come avvenne nella prima guerra mondiale quando la potente Germania nel 1918 stramazzò nella polvere, stremata, assieme all’Austria, il cui impero finì per smembrarsi. Se questo è il vero scopo della guerra in Ucraina, è ovvio che vengono messe nel conto vittime a non finire, da non conteggiare per non deprimere il morale della popolazione ucraina che dovrà immolarsi per una vittoria strategica dell’Occidente, il tutto in palese contraddizione con quanto dicono di voler fare i nostri governanti europei con l’invio delle armi.
Quello che emerge è drammaticamente evidente nell’assurdità di ciò che si è consumato a Bakhmut. Quelle armi inviate dall’Occidente sono servite per mandare allo sbaraglio e alla morte un numero impressionante e imprecisato di giovani, spesso privi di esperienza.
Lo sgomento degli esperti militari
Mai come ora gli esperti militari sono imbarazzati di fronte all’insensata serie di scelte fatte in questa lunghissima battaglia condotta alla fine per mere ragioni di immagine, senza rilevanza militare. Con effetti persino controproducenti rispetto agli obiettivi dichiarati e perseguiti settimana dopo settimana. Gli esperti e gli stessi militari – di ottimo livello tecnico – che partecipano a questi webinar sono stupiti e avviliti per l’insensata sequenza di scelte compiute con enormi sacrifici umani. Scelte compiute a volte varcando il labile confine che divide la ragion militare dall’idiozia. Noi pacifisti questa strage la vediamo sotto il profilo della “crudeltà”. Loro, gli esperti della guerra, la vedono sotto il profilo dell’inefficacia ai fini pratici del successo militare. Perché questa guerra è un affastellarsi di frustrazioni dall’una e dall’altra parte, con risultati attesi che non arrivano a fronte di enormi perdite umane e di mezzi.
Dall’una e dall’altra parte vengono annunciate offensive e controffensive che si traducono in avanzate di poche centinaia di metri alla settimana e in capovolgimenti militari di modesta rilevanza che le vanificano. E nel frattempo si scavano doppie e triple linee di trincee. Lo spettro che si profila è quello di una guerra infinita. Altro che difesa della popolazione civile, si raschierà il fondo andando ad arruolare vecchi barbuti e giovani imberbi per buttarli nel tritacarne.
La guerra: da medicina amara a veleno
Quello che sta accadendo è il disvelamento dell’assurdità. La guerra, proposta come medicina amara ma necessaria, si sta rivelando veleno. Dopo averla trangugiata fa morire il paziente invece di guarirlo.
C’è materia di riflessione per gli interventisti democratici che, dopo oltre un secolo dalla fine della prima guerra mondiale, ricalcano oggi pari pari gli errori di cent’anni fa. L’interventismo democratico che spaccò il fronte del socialismo pacifista europeo risorge oggi per commettere gli stessi errori, come se la storia non fosse mai stata studiata.
Elly Schlein e il “Washington Post”
Contrariamente a ciò che alcuni avevano sperato, la nuova segretaria del PD continua a sostenere le ragioni dell’invio delle armi. Lo scopo è apparentemente semplice e non sembra fare una grinza: fermare l’aggressore e proteggere l’aggredito.
Nella lettera aperta a Elly Schlein ho cercato tuttavia di fornire qualche elemento di riflessione: le ho scritto (senza ottenere ad oggi risposta) evidenziando che le armi inviate, alla lunga, non hanno fermato il massacro ma hanno illuso Zelensky della vittoria. E da questa illusione nasce la mostruosa situazione descritta dal Washington Post. Battaglioni di 500 uomini, con 100 morti e 400 feriti, rimpiazzati da ragazzi di leva che, quando possono, scappano. Tutte cose a cui occorre dare risposta perché se l’obiettivo dell’invio delle armi è quello di difendere le persone in Ucraina allora esiste un solo modo di verifica: conteggiare le vittime. Ma le vittime della guerra sono coperte dal segreto di Stato in Ucraina. Perché se ci fosse una verifica trasparente e oggettiva si vedrebbe che all’aumentare dell’invio di armi non è seguita una diminuzione delle morti ma al contrario un crescendo impressionante. Stiamo proteggendo l’aggredito o lo stiamo mandando allo sbaraglio?
I dati drammatici del “Kyiv Independent”
L’invio di armi doveva difendere i civili ma è diventata la ragione di nuovi arruolamenti forzati che avvengono rastrellando i giovani a Kiev e in altre città dell’Ucraina. Sono tantissimi i giovani che fuggono alla leva e che stanno diventando renitenti. Se ne parla poco ma il problema c’è, ed è vasto
Qualcuno dirà che quei giovani servono a difendere altri civili indifesi. La verità è un’altra. Vengono impiegati in missioni suicide simili a quelle che ordinava il generale Cadorna nella prima guerra mondiale. Ecco qui qualche sprazzo di questa lucida follia. “Il battaglione è arrivato a metà dicembre… tra tutti i plotoni eravamo 500”, racconta Borys, un medico militare della regione di Odessa che combatte intorno a Bakhmut. “Un mese fa eravamo letteralmente 150”, confessa a The Kyiv Independent. “Quando si va in posizione, non c’è nemmeno il 50% di possibilità di uscirne vivi”, afferma un altro soldato. È più un 30/70″.
Capovolgere la narrazione
Più si fa ricerca e più si scopre che la narrazione della guerra si discosta dalla realtà della stessa. E la contraddice.
E’ pertanto il momento di rivendicare orgogliosi la nostra scelta di pacifisti. Occorre capovolgere la narrazione della guerra come scelta dolorosa ma necessaria, perché quella narrazione oggi non regge più alle dure smentite dell’evidenza. Siamo nel pieno di una “battle of narrative”, e la Nato presta molta attenzione allo storytelling della guerra.
La giusta “guerra di difesa”, la retorica dell’aggressore e dell’aggredito, tutto sta saltando perché la guerra diventa pluriennale, rischia di diventare come la prima guerra mondiale. Siamo di fronte alla logica della faida, non alla guerra di difesa e spiace vedere gente intelligente, che ha scritto libri, perdersi di brutto pensando per di più di indicare la strada agli altri.
Persino Luttwak è sconfortato dallo stallo militare e ha parlato di referendum nelle zone di guerra per uscire dal pantano. Ci hanno illuso che bastassero poche settimane di sanzioni per far collassare economicamente la Russia e l’invio delle armi doveva servire il tempo necessario ad aspettare che arrivasse l’effetto delle sanzioni. Non è stato così.
La tenuta militare della Russia
La Russia – basta studiare, ricercare e approfondire i dati – ha armi, uomini, consenso e risorse economiche per continuare per molto tempo. Ha dimostrato una resilienza notevole. Il resto è propaganda per convincerci che Putin si può scalzare e che un altro invio di armi o altre sanzioni possano fare la differenza. L’unica differenza è se entrano in campo gli F-16 o i missili a lungo raggio per colpire la Crimea o le basi nel territorio della Russia. Ma in questo caso andiamo dritti verso lo scontro nucleare. Dunque la guerra contro la Russia non può essere vinta. E va chiusa al più presto perché non ha senso mandare al massacro altri soldati per non ottenere alcun risultato, tanti costi per zero benefici. I militari lo dicono, lo dice lo stesso generale Milley, capo del Pentagono.
Gli anarchici interventisti
Per concludere, un cenno a chi – di fronte all’aggressione russa verso l’Ucraina – ha sentito sinceramente intollerabile la situazione fino al punto di rinnegare i propri principi pacifisti pur di salvare gli aggrediti.
Di fronte alla prima guerra mondiale, oltre alla fine dell’internazionale socialista, si verificò un’altra crisi interna ad un fronte che tradizionalmente era contro gli eserciti: gli anarchici. La Germania invase il Belgio neutrale e lo devastò brutalmente. Lo definirono “lo stupro del Belgio”. La cosa scosse chi credeva nella neutralità. Fu così che Pëtr Kropotkin e altri 15 intellettuali anarchici si espressero a favore della guerra contro la Germania, sostenendo che la Germania rappresentava una minaccia per la libertà e la democrazia, e che l’intervento alleato sarebbe stato giustificato per difendere l’Europa dal militarismo tedesco. Fu criticato dall’anarchico italiano Errico Malatesta.
Quante similitudini!
Kropotkin poi si pentì. Ma ormai era troppo tardi.
* Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
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Eventi segnalati
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Venerdì 21 aprile 2023
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Martedì 25 aprile 2023 Festa di Liberazione
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Venerdì 28 aprile 2023 Sa Die de sa Sardigna
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Lunedì 1 maggio 2023 Festa del lavoro e dei lavoratori
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Lunedì 1 maggio 2023 Sagra di Sant’Efisio
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Mercoledì 3 maggio 2023
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