27 gennaio Giorno della Memoria. Memoria e Impegno

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di Mariano Borgognoni*
Il 27 gennaio, quando gran parte dei nostri abbonati staranno per ricevere Rocca, io e mia sorella avremo ricevuto la Medaglia d’onore conferita dal Presidente della Repubblica, alla memoria di mio padre come internato militare italiano in un lager nazista vicino Vienna.
Mio padre fu chiamato alle armi il primo febbraio 1940 e fu rimpatriato il 20 agosto 1945. Come scritto nel suo foglio matricolare con asciutto linguaggio militare: anni 5, mesi 6, giorni 19, di cui anni 2 e giorni 7 di prigionia. Cinquant’anni dopo tornammo a Kassos, nella piccola isoletta del Dodecaneso, nella quale, venendo dal natio borgo selvaggio sorvegliato a distanza dai monti dell’Appennino, vide per la prima volta il mare e, con i suoi commilitoni, conobbe un piccolo popolo di pescatori, di pastori, di contadini e piccoli artigiani che, come loro amava la musica, il canto, il ballo: la stessa stoffa umana. L’imbecillità nazionalista aveva ribattezzato quell’isola Caso, e gli era andata pur bene! L’isola vicina Karpatos era violentata in Scarpanto. Quella gente pregava nelle piccole chiesette bianche e azzurre in lingua greca, quella in cui è stato scritto l’intero Nuovo Testamento e una parte dell’Antico. In quella lingua fu scritto e soprattutto pensato il Credo e forse lo stesso Gesù che parlava usualmente in aramaico o in ebraico nei riti cari al suo popolo, qualche volta avrà potuto recitare la preghiera che ci ha insegnato nella koinè greca. Ma se di questo non vi può essere alcuna certezza è del tutto sicuro che i «suoi» annunciarono in questa lingua comune la buona notizia (anche a Roma nei primi secoli dell’era volgare). Se qualcuno considera quasi sacro il pur meraviglioso latino dovrebbe considerare il greco sacro del tutto! Liturgia è un termine di derivazione greca come una parte importante della nostra lingua, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Dalle mie parti, ma forse anche dalle vostre, si narra che una signora in visita turistica ad Atene raccontasse al ritorno che era stata in Chiesa per la Messa ma che non aveva capito un accidenti, solo due parole in latino: kirie eleison!
In quei pochi giorni a Kassos incontrammo Stavrullis, l’amico calzolaio di mio padre e la moglie di Karalampos l’amico pescatore morto qualche anno prima. Ma la cosa più sorprendente fu l’incontro iniziale al «Kikkis Restaurant» proprio sul porto. Scoprimmo parlando che si trattava del figlio di Giuseppe Chicchi un abruzzese, commilitone di mio padre che aveva sposato un’isolana ed era tornato a vivere lì.
Tuttavia anche in quella bella occasione di un insperato ritorno, mio padre censurò quel giorno, il 13 Settembre del 1943, ormai ricostruito per tabulas, quando i nostri soldati furono fatti prigionieri dai tedeschi e posti di fronte ad un bivio terribile.
Anche lui è stato tra quel novanta per cento di militari italiani che di fronte alla scelta tra aderire alla Repubblica Sociale e combattere a fianco dei «camerati» tedeschi o essere internati senza alcuna tutela e schiavi da lavoro nei lager germanici hanno fatto la scelta giusta.
Un’obiezione di coscienza al fascismo che aveva portato il Paese alla guerra e alla miseria e un rifiuto di combattere sotto il giogo hitleriano.
A proposito della ferma decisione di questi 650.000 soldati, uno di loro, Alessandro Natta (colui che succederà ad Enrico Berlinguer, come Segretario del P.c.i.), nel 1954, scrisse un libro dal titolo «L’altra Resistenza». La casa editrice vicina al partito, gli Editori Riuniti, decise di non pubblicarlo. Come a dire: la Resistenza è solo quella fatta dalle formazioni partigiane. Ed è del tutto comprensibile che coloro che scelsero la via della lotta anche armata contro il nazifascismo furono la parte che più contribuì alla Liberazione dell’Italia, alla difesa del suo onore tra le nazioni, alla fondazione della Repubblica e all’approvazione della Costituzione. Tuttavia «l’altra Resistenza», quella di coloro che tornarono a casa pelle e ossa, stremati dal lavoro forzato, dalla fame e dalle vessazioni subite, ebbe una sua parte nel contrasto al nazismo e al fascismo e poi nella ricostruzione morale, civile, economica e democratica dell’Italia. Quando alla conferenza di pace a Parigi, il 10 agosto del ’46, Alcide De Gasperi usò quella straordinaria frase verso i suoi colleghi delle potenze vincitrici: «tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me», forse aveva presente che ci fu una parte del nostro Paese che in ogni caso autorizzava a tenere alta la fronte e rendeva possibile quella cortesia.
È giusto quindi che anche gli internati militari italiani nei campi di lavoro nazisti vengano ricordati, in questo giorno della memoria che certo allude ad altre situazioni di più radicale orrore. A cominciare da quanti hanno vissuto l’immane abominio della «soluzione finale», ai milioni di ebrei: bambini, donne, anziani, persone di ogni età ed estrazione sociale massacrati o gasati nei campi di sterminio. Una memoria che dovrebbe spingerci a costruire un cammino antropologico e politico di tabuizzazione della guerra, tanto più quando essa finisce per colpire soprattutto la popolazione civile. Uno sforzo lungo che merita la nostra energia e la nostra perseveranza.
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PS
Abbiamo voluto dedicare la copertina di questo numero a Biagio Conte, l’operatore di pace e di solidarietà palermitano morto in questi giorni, nella città dove, quasi contemporaneamente, si è manifestata la dimensione estrema del bene e del male. Per lui, come per Francesco d’Assisi da cui ha tratto ispirazione, si può parlare di una rottura epistemologica, di una spoliazione, di un cambiamento del punto di osservazione del mondo. Nell’abbraccio ai lebbrosi d’oggi Biagio ha sentito, come Francesco allora, una dolcezza d’animo e di corpo. Non è facile declinare la radicalità di questa scelta in termini politici. Anche la miglior politica deve costruire nuovi diritti sociali e civili mettendo in campo la forza di soggetti ben organizzati. Qui si va oltre, ci si fa carico dell’ultimo, del periferico, del senza forza, del malato, dello sventurato. È un punto-limite in cui la profezia sfida e indica un orizzonte a qualsiasi politica. Non è solo la logica del Vangelo ma soprattutto il suo paradosso. Mi viene in mente, proprio nel centenario della sua nascita, la lettera di don Lorenzo Milani al suo giovane amico comunista Pipetta: «Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò la con te. Io tornerò nella tua casetta piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso».

* Editoriale ROCCA 1 FEBBRAIO 2023
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f13cae62-ded5-4979-83a0-54a9039f4003Porsi Domande su di Dio.
di Giancarlo Morgante
Edith Bruck lo apprese dalla Madre, cremata nei forni di Auschwitz. Il pane preparato per la povera famiglia e mai cotto per l’irrompere all’alba dei nazisti. Questa fu l’inizio della via crucis di Edith.
Lettera a Dio, parte finale del libro “Il pane perduto”. Il libro narra i sentimenti (senza odio alcuno) e l’esperienza di una ragazza ebrea sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti.
[segue]
“Nella prima lettera che Ti avevo scritto con il pensiero all’età di nove anni, ne sono passati ottanta! E mi sono sentita arrossire sia allora che due notti fa per la stessa idea che non mi ha mai abbandonato. Mi pareva una bestemmia che non ho mai pronunciata, forse spudoratezza o lucida follia… Scrivo a Te che non leggerai mai i miei scarabocchi, non risponderai mai alle mie domande, ai miei pensieri di una vita…a Te ho pensato ogni sera della mia vita. Ti interrogavo su tante cose ma non ho mai udito la Tua voce come Mosè, non mi hai mai degnato di una sola risposta, come non hai degnato mia madre con la sua fede irremovibile in Te… Mi chiedo sempre e non ho ancora la risposta, a che servono le preghiere se non cambiano niente e nessuno…Oh Tu Grande Silenzio, se Tu sapessi delle mie paure, di tutto ma non di Te. Se sono sopravvissuta, avrà un senso. No? Ti prego, per la prima volta Ti chiedo qualcosa: la memoria che è il mio pane quotidiano, per me infedele fedele, non lasciarmi nel buio, ho ancora da illuminare qualche coscienza giovane nelle scuole e nelle aule universitarie dove in veste di testimone racconto la mia esperienza di una vita. Dove le domande più frequenti sono tre: se credo in Te, se perdono il Male e se odio i miei aguzzini. Alla prima domanda arrossisco come se mi chiedessero di denudarmi, alla seconda spiego che un ebreo può perdonare solo per se stesso, ma non sono capace perché penso agli altri annientati che non perdonerebbero me. Solo alla terza ho una risposta certa: pietà sì, verso chiunque, odio mai, per cui sono salva, orfana, libera e per questo Ti ringrazio, nella Bibbia Hashem, nella preghiera Adonai, nel quotidiano Dio”.

Questa lettera che non può lasciare indifferenti, posta al termine di una memoria sconvolgente di umanità, mi è riecheggiata durante la visita nel campo profughi di Betlemme “Aida”. Dopo aver visto e sentito le testimonianze di alcuni palestinesi ho cercato una risposta al perché di tanto male.
“Tutto è colpa dell’uomo” diceva la madre di Edith, “Dove mette piede non cresce più neanche l’erba “. La piccola Edith chiedeva alla mamma : allora luomo è più forte di Dio?
Ecco, durante questo pellegrinaggio in Terra Santa (vedendo una umanita deportata, defraudata dei diritti fondamentali e della propria terra) anche io mi sono fatto queste domande.
“La soluzione di questi problemi al momento è insolubile”. Queste parole pronunciate dal Patriarca di Gerusalemme mons Pizzaballa, sconvolgenti ma reali nella loro drammaticità mi risuonano ancora nelle orecchie. Espressione dura ma in parte attenuata in una successiva riflessione di Don Marco : davanti a queste iniquità, noi come Cristiani(Caritas) , come Umanità, dobbiamo stare a guardare o dobbiamo essere di aiuto a questa popolazione sofferente?
Durante l’omelia di Natale in Gerusalemme il patriarca (Mos. Pizzaballa) ha introdotto una riflessione sul tema della violenza che imperversa quei luohi , ricordando il significato della loro presenza come Francescani in Terra Santa, che il cristianesimo è innanzitutto lo stile di vita di chi ha deciso di accogliere l’invito ad essere testimone credibile del disegno di salvezza che Dio ha per tutti.
Bisogna guardare con il cuore e non solo con gli occhi. Qui in Terra Santa, ha proseguito, vediamo che la violenza sembra essere diventata la nostra lingua principale. Il nostro modo di comunicare. Dopo aver ammonito i responsabili di questa politica dice: bisogna guardar la realtà con il cuore ,riconoscere che è illusorio pensare che la pace possa venire senza la giustizia. In ultimo ha manifestato la propria preoccupazione sull’aumento della tensione politica e del crescente disagio, soprattutto dei giovani, per la sempre più lontana soluzione del conflitto in corso. La questione Palestinese.
Per tornare alla mia esperienza come pellegrino in Terra Santa e alla domanda della Bruck bambina “l’uomo è più forte di Dio?” faccio questa considerazione : Adamo quando disubbidì a Dio cedendo alle tentazioni del maligno, non cercava di certo di sostituirsi a Lui?
Credo che oggi, non solo in Israele, ma in tutto il nostro pianeta con la “terza guerra Mondiale spezzettata” come la definisce Papa Francesco (un tempo pieno di iniquità, di squilibri, che generano conflitti più o meno palesi più o meno dimenticati) l’uomo abbia ancora da riflettere.
Un monito, quello del Papa, per nulla ascoltato.

One Response to 27 gennaio Giorno della Memoria. Memoria e Impegno

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