XII Dossier Caritas 2022. Verso una nuova economia.

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Proseguiamo con la pubblicazione dei contributi contenuti nel XII Dossier Caritas 2022, ospitando quello di Franco Manca sulla situazione economico-sociale dell’Italia, con uno sguardo particolare sulla situazione sarda. Franco Manca parte dai dati che purtroppo registrano crescenti disuguaglianze e un pauroso aumento della povertà, per proporre soluzioni nuove, capaci di perseguire il superamento del neo capitalismo, dell’economia che uccide, verso un’economia basata sull’ecologia integrale al servizio dell’umanità e del creato. Lo fa appoggiandosi alla Dottrina sociale della Chiesa e alle sollecitazioni del magistero pontificio, che evidentemente lasciano all’attività politica le scelte concrete sul “che fare”. Si apre conseguentemente uno spazio enorme di rinnovato impegno dei cattolici in politica e nella società civile. Come? L’articolo di Franco Manca al riguardo rilancia un dibattito non più eludibile.
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9d09f2b5-c971-4551-a509-88c226fdf31dCrisi economica: crescono inflazione e povertà, ricchezza sempre più nelle mani di pochi. Quali misure mettere in campo?

di Franco Manca
Economista Referente Centro Studi Caritas Diocesana.

“L’attività dell’economia è al servizio dell’essere umano, non solo di pochi, ma di tutti, specialmente dei poveri, non è al di sopra della natura, ma deve prendersene cura, perché da questo dipendono le generazioni future”. (Papa Francesco)
“La povertà deve essere combattuta con il lavoro”. (Papa Francesco)

Qualche numero sulla condizione economica del nostro Paese
Una recente indagine (ottobre 2022) del Censis, in collaborazione con Confcooperative, stima che tra povertà assoluta e povertà relativa in Italia ci sono più di 4,8 milioni di famiglie pari a oltre 14 milioni di persone. Il numero di famiglie in povertà assoluta è 1.960.000, l’equivalente di 5.571.000 persone. Mentre sono 2.895.000 le famiglie (8.775.000 persone) che vivono in condizioni di povertà relative. L’indagine evidenzia che vi sono tantissime persone che, pur lavorando, non riescono ad arrivare alla fine del mese. Su un totale di 22.500.000, il 21,7% (pari a 4.900.000) svolge “lavori non standard” (lavoratori dipendenti a termine, part time, part time involontario, collaboratori). Sono soprattutto i giovani compresi tra i 15 e i 34 anni ad essere penalizzati. Rileva il fatto che il 38,7% di essi ha un basso livello di istruzione e risiede soprattutto al Sud.
Il lavoro nero è stimato in 3,2 milioni, e il 60 % dei pensionati non raggiunge i 10mila euro all’anno. Sul piano delle imprese, più di 100.000 sono a rischio default e 200.000 quelle considerate vulnerabili. Gli effetti sul piano occupazionale sarebbero pesantissimi, considerando che potrebbero coinvolgere circa 3 milioni di lavoratori.

L’ultima indagine pubblicata dall’Istat (ottobre 2022) sulle “Condizioni di vita e reddito delle famiglie in Italia”, ci dice che il 25,4% della popolazione è a rischio povertà o di esclusione sociale: si tratta di oltre un quarto dell’intera popolazione italiana. Naturalmente, la povertà non è distribuita in maniera uniforme. Nel Mezzogiorno, gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 41,2%. Il reddito delle famiglie tra il 2007 e il 2021 si è contratto del 6,2%, più al Sud che nel resto del Paese. Tutto ciò accade nonostante il massiccio intervento delle integrazioni salariali: nel 2020 ne hanno beneficiato circa 6 milioni di persone, per una spesa complessiva di 9 miliardi.
Questo accadeva tra il 2019 e il 2021. Ovviamente non tiene conto di quanto, in termini peggiorativi, è successo e sta accadendo. La guerra in Europa, la questione energetica, l’inflazione, tutte situazioni esplose nel 2022 che hanno contribuito e contribuiranno a rendere sempre più precarie le condizioni della popolazione non solo italiana, dato che direttamente o indirettamente è coinvolto tutto il mondo. È da anni che Papa Francesco parla della terza guerra mondiale in atto.
Considerate queste situazioni, non è difficile sostenere che il governo della politica, dell’ambiente, dell’economia, della salute e le loro conseguenze sulla società siano state un autentico fallimento. Naturalmente non per tutti, dato che la ricchezza continua a concentrarsi, grazie anche al ruolo che ha svolto e che continua a svolgere la finanza internazionale, la quale gestisce leve le cui manovre sono in grado di coinvolgere milioni di persone.
Nell’arco di questi ultimi decenni, gli interventi della Chiesa sul tema della povertà, della giustizia sociale, dell’economia e dell’ambiente sono stati diversi e hanno indicato anche dei percorsi alternativi che, però, hanno trovato poco ascolto e poca operatività anche tra i cattolici. Non è compito della Chiesa fornire nuove teorie economiche ma è compito dei cattolici, soprattutto dei laici, saper declinare operativamente le indicazioni che provengono dal Magistero.
La visione magisteriale, a mio modo di vedere, ci dice fondamentalmente che il modello capitalistico funziona male e si possono individuare altri percorsi che potrebbero, forse, meglio rispondere alle necessità dell’intera umanità. In cima a questi percorsi, l’ecologia integrale rappresenta lo scenario di base anche dell’agire economico, meglio se riferito o connesso con l’economia civile.

L’approccio all’economia
Attraverso la Dottrina Sociale (Dsc), la Chiesa è intervenuta ripetutamente riaffermando il proprio punto di vista circa il rapporto che i cristiani devono avere con l’economia. Non si è trattato di definire una nuova teoria economica, quanto la riaffermazione di quei valori che indicano ai cristiani il giusto modo di rapportarsi ad un fenomeno, quello economico, che sta assumendo dimensioni totalizzanti. Un primo elemento è rappresentato dalla considerazione che la razionalità dei fatti umani non è gestita da una qualche oscura mano invisibile suscettibile solo di regolazioni tecniche. Queste regolazioni mettono sempre in gioco la vita delle persone e i loro progetti. Per questo occorre, in una certa misura, rifuggire dalle tecnicalità dato che spesso le scelte tecniche creano disagi sociali ed economici a intere popolazioni e favoriscono poche persone che, grazie alle tecnicalità, continuano ad arricchirsi. I tecnicismi non possono essere la giustificazione del malessere di milioni di persone. D’altro canto, molte scelte giustificate su basi tecnico-scientifiche si sono rivelate sbagliate, non rispettose dell’ambiente, della difesa dei più fragili dei più poveri, anzi in molti casi hanno addirittura accentuato le sofferenze, come peraltro è stato riconosciuto nel caso della Grecia.
Ecco perché è necessario riscoprire chiavi di lettura diverse che facciano in primo luogo perno sulla persona umana e sulla condivisione dei problemi sociali ed economici. In questa direzione, le encicliche pongono alla riflessione approcci diversi che si declinano con la ricerca del bene comune, con la fraternità, con la gratuità, con il dono, con la solidarietà e costituiscono la cifra con cui guardare all’economia. L’economia non può essere identificata, come spesso accade, con l’obiettivo di incrementare il livello del reddito. “La vita economica è luogo di passioni, di ideali, di sofferenze e di amore; non solo di ricerca di interessi, di invidia, di avarizia, di speculazioni e di profitti”.1
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Lo sviluppo
La DSC affronta il tema dello sviluppo sotto diversi angoli visuali, fornendo suggestioni e percorsi molto alternativi rispetto a quanto l’economia ha fin qui proposto. “Lo sviluppo è il nuovo nome della Pace”, dice Paolo VI. “Nella DSC la parola sviluppo è intrinsecamente dinamica: non indica un punto di arrivo, ma un percorso che ha un senso che segue una precisa direzione in crescendo dal meno al più di realizzazione dell’umano”.2
Lo sviluppo si origina in un’esperienza stupefacente del dono (Caritas in Veritate CV). “O lo sviluppo è per tutti o non è veramente sviluppo” (Centesimus Annus). In tutta la Dsc il termine sviluppo non è mai legato o connesso a dimensioni di tipo quantitativo e ha al proprio centro l’Uomo nella sua singolarità ma anche nella dimensione sociale planetaria, dato che lo sviluppo deve essere per ciascun uomo e per tutti gli uomini. In questa configurazione antropologica, i sistemi economici vigenti non sono stati ancora in grado di concepire uno sviluppo adeguato alle esigenze dell’umanità. “Lo sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello di ogni singolo uomo” e “degenera se l’umanità confida solo nella tecnica per risolvere i suoi problemi”3, per queste ragioni lo sviluppo deve configurarsi come una “vocazione” che chiama in primo luogo i Paesi più sviluppati perché a loro consegna un triplice dovere: il dovere della solidarietà (sostenere lo sviluppo), della giustizia sociale (nelle relazioni economiche e finanziarie), della carità universale (nella promozione di un mondo più umano per tutti).
Il mercato
Oggi questa società è costruita prevalentemente su un modello culturale basato sull’ideologia del mercato che concepisce l’Uomo in modo individualista, materialista, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso. Una società incapace di pensare e tanto meno di attuare il bene comune, scopo della società giusta. «Il bene comune – dice il Cardinal Bagnasco – comporta tutte le dimensioni costitutive dell’uomo, quindi anche la sua dimensione religiosa che non costituisce un problema per la società moderna ma al contrario una risorsa e una garanzia [...] anche in relazione al fatto che i cristiani sono diventati nella società civile massa critica capace di visione e di reti virtuose per contribuire al bene comune [...] attraverso il patrimonio di dottrina e di sapienza che costituisce la terra solida e la bussola per il cammino indicati dalla dottrina sociale della Chiesa».4
“Non deve stupirci se il mercato, e la logica economica, oggi vengono visti come realtà che si collocano agli antipodi del territorio della gratuità, perché fondati sul calcolo strumentale (e) autointeressato”.5
Il mercato potrebbe funzionare bene se irrorato dalla linfa della gratuità. “Nella nostra società di mercato, disincantata e anoressica di ideali e di spiritualità, è molto difficile vedere nella vita economica, nelle imprese e nei mercati, qualcosa di più e di diverso da denaro, profitto e ricerca di un tornaconto sempre più individualista”.6 “Il mercato lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”. (CV)
La CV ci “offre la possibilità di prendere posizione a favore di quella concezione del mercato, tipica della tradizione di pensiero dell’economia civile, secondo cui si può vivere l’esperienza della socialità umana all’interno di una normale vita economica e non già al di fuori di essa o a lato di essa come suggerisce il modello dicotomico di ordine sociale”.
“L’economia civile si pone in alternativa nei confronti dell’economia di tradizione smithiana che vede il mercato come l’unica istituzione davvero necessaria per la democrazia e per la libertà. La Dsc ci ricorda invece che una buona società è frutto certamente del mercato e della libertà, ma ci sono esigenze, riconducibili al principio di fraternità, che non possono essere eluse, né rimandate alla sola sfera privata o alla filantropia”.7
La Dsc “propone piuttosto un umanesimo a più dimensioni nel quale il mercato non è combattuto o controllato ma è visto come momento importante della sfera
pubblica (che è assai più ampio di ciò che è statale) che, se concepito e vissuto come luogo aperto anche ai principi di reciprocità e del dono, può costituire la città”.8
Tuttavia, “la categoria del dono non andrebbe assunta come regolatrice del mercato, una sorta di fattore o quid etico interno al mercato in grado di equilibrarlo. Diversamente il dono appare come quella indispensabile dimensione del vivere che rende autenticamente umani i rapporti e di conseguenza, autenticamente umana l’esistenza”.9
Per costruire la città c’è perciò bisogno di fraternità, dato che la solidarietà non è elemento sufficiente. “Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità: non è capace di progredire quella società in cui esiste solamente il dare per avere oppure il dare per dovere. [...] Ecco perché né la visione liberal- individualista del mondo in cui tutto o quasi è scambio, né la visione statocentrica della società in cui tutto o quasi è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi impantanate”.10
Forse è anche questa la ragione per la quale negli ultimi 35 anni è rientrato prepotentemente, grazie soprattutto alla dottrina sociale della Chiesa, il concetto di bene comune che rappresenta la vera e propria guida etica della Chiesa stessa in ambito socioeconomico come Giovanni Paolo II ha, in più occasioni, rimarcato. In questa concezione, il mercato è dunque soltanto uno dei campi importanti dell’agire politico ma non è “il campo”. L’invito dunque è a non abbandonare questo terreno ai tecnici, ma impegnarsi per una riflessione che sia capace di porre l’Uomo e i suoi bisogni, anche quelli economici, al centro della società.
Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è anche la dignità di noi stessi. Le previsioni catastrofiche oramai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta. Lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già accadendo in molte aree.
La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale che accompagna quello ecologico. Si corre il rischio di diventare profondamente individualisti. Ciò dipende anche dal fatto che vi è una ricerca egoistica della soddisfazione immediata. Si è di fronte ad un consumo eccessivo alimentato anche dai modelli educativi e miopi che coinvolgono genitori e figli. Non perdiamoci ad immaginare i poveri del futuro, è sufficiente che ci ricordiamo dei poveri di oggi che non possono continuare ad aspettare.

Quale prospettiva
Pensare di fornire una linea guida circa le prospettive che attendono i cristiani impegnati nel sociale, è questione molto difficile e complessa e non abbiamo la presunzione di provarci. Possiamo fornire qualche chiave di lettura che parte dalla considerazione che il campo dell’economia non può e non deve essere lasciato ai tecnici. I quali, come abbiamo già sottolineato, non sono per così dire “neutri”. Dietro le tecnicalità sono sempre presenti interessi e gruppi di interesse il cui principale obiettivo è quello di garantire in primo luogo se stessi. È quindi necessario che i cristiani siano sempre più impegnati in economia, si potrebbe dire anche in politica, come Sua Santità Benedetto XVI ha più volte affermato e come anche la Conferenza episcopale italiana ha ampiamente ribadito. Il “manuale” per una presenza dei cattolici nella società e nelle questioni economiche è fornito dalla Dsc, che ci invita a contribuire a ritrovare radici profonde, valorizzare ogni risorsa umana e soprattutto dare senso all’attesa di futuro delle giovani generazioni, richiamare ciascuno alla fedeltà ai propri doveri personali, professionali, sociali, costruire a partire dal territorio e nell’ottica della sussidiarietà una società accogliente e non emarginante, a praticare l’esercizio del dono e della gratuità, a costruire una società fraterna rielaborando un nuovo umanesimo, sostenendo la solidarietà tra gli uomini.
Queste ed altre ancora sono le vie che contribuiscono a determinare il grado di civiltà di un popolo e che ci possono consentire di costruire la città nella carità e nella verità. Cosa tutt’altro che semplice.
Avvertiamo il disagio derivante anche dal nostro stare alla finestra, dal nostro mancato coinvolgimento nei processi che potrebbero portare a migliorare il rapporto con la sempre maggiore emarginazione di larghe fasce sociali. Potrebbe essere interessante lo sforzo di elaborazione e di approfondimento culturale su alcune tra le tematiche più importanti, come:
- le modalità di una più equa ridistribuzione della spesa pubblica (ruolo della politica);
- più equa ridistribuzione del lavoro;
- l’obbligo morale di operare investimenti;
- la più vasta partecipazione delle strutture sociali per favorire l’espansione dell’ideale democratico nei differenti campi della vita;
- promuovere dal basso sforzi sempre più ampi di iniziativa sociale e di cooperazione intesi al superamento dei modelli eccessivamente conflittuali-
competitivi delle società avanzate;
- favorire comportamenti concreti ed elaborazioni culturali che concorrano alla formazione di un senso di comunità e di destino comune della famiglia umana.
È evidente che vi è un carattere utopistico in queste indicazioni. Ma forse possono fornire una traccia per una ricerca coraggiosa e creativa in risposta anche alle sfide dell’innovazione. Tutto ciò implica uno sforzo profondo di revisione dell’esistente sia nella teoria che nella pratica economica, cercando di trovare un nuovo equilibrio “etico” delle nostre società. Uno sforzo che deve anche stimolare e osare nuovi esperimenti di democrazia economica. Non è certamente facile; fortunatamente, sono già presenti esempi virtuosi da imitare, e sappiamo che ci vorrà del tempo, dell’informazione, della formazione, ma svolgendo il proprio ruolo come cristiani forse si può provare. Non bisogna spaventarsi se si ha un progetto per governare i processi. Spaventa se questa progettualità è assente. La Dsc ci offre davvero tanti percorsi e tante indicazioni: sarebbe molto utile e importante cercare di renderle concrete, e questo penso sia uno dei compiti più sfidante per i laici cattolici.
La sorte di milioni di persone non può essere circoscritta solo a dispute riguardanti l’incremento o il decremento di mezzo punto percentuale del Pil. Il futuro è aperto e governabile, e chiama i cattolici ad impegni più coinvolgenti, di maggiore responsabilità, di sacrificio, insomma di portare anche noi la nostra croce per praticare il Vangelo nella nuova fase di ricristianizzazione che ci chiama come testimoni praticanti la parola di Gesù Cristo.
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Note
1 S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città nuova, Roma, 2007, pag. 15
2 S. Beretta ,in Amore e verità, cit.
3 S. Beretta, cit.
4 A. Bagnasco, Intervento di apertura del cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Italiana al Forum del mondo del lavoro, Todi lunedì 17 ottobre 2011.
5 L. Bruni, A. Smerilli, Benedetta economia, Città Nuova Editrice, Roma, 2009.
6 Ibidem
7 S. Zamagni in Amore e verità, cit.
8 S. Zamagni, cit.
9 S. Zamagni, cit.
10 S. Zamagni, cit.

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