XII Dossier Caritas 2022. La Caritas diocesana impegnata nel cammino sinodale.
[III] I LAVORI DEI GRUPPI SINODALI DELLA CARITAS DIOCESANA DI CAGLIARI
di Andrea Marcello – Segretario Commissione Sinodale della Caritas diocesana di Cagliari
Il presente articolo espone le riflessioni emerse nell’ambito dei gruppi sinodali promossi dall’Ufficio Pastorale per la Promozione della Carità al fine di stimolare ed acquisire ulteriore consapevolezza sulla sinodalità della Chiesa che, come scriveva San Paolo in vari passi delle sue lettere, ha realmente un corpo unico formato da membra diverse ma sinergiche. Una Chiesa capace di muoversi insieme e che si fa prossima verso il popolo di Dio in cammino. [segue] In considerazione dell’elevato numero di collaboratori e di volontari di cui gode la Caritas diocesana nei diversi ambiti di servizio, il percorso sinodale è stato orchestrato in otto gruppi ed in una commissione composta dal direttore, da un moderatore e da un segretario.
Di seguito, si riportano i gruppi sinodali che hanno avuto il piacere di prendere parte a tale lavoro di riflessione unitaria:
1) Gruppo sinodale composto dai consigli direttivi della Fondazione Caritas San Saturnino, Fondazione Antiusura Sant’Ignazio da Laconi, Impresa Sociale Lavoro Insieme, Associazione Beata Suor Giuseppina Nicoli;
2) Gruppo sinodale Ambulatorio Caritas;
3) Gruppo sinodale Centro di ascolto diocesano e Centro di ascolto per stranieri Kepos;
4) Gruppo sinodale Centri di accoglienza diurni e notturni per senza dimora e per stranieri;
5) Gruppo sinodale area educazione alla mondialità, area comunicazione, area giovani ed etnie minoritarie;
6) Gruppo sinodale Centro diocesano di assistenza;
7) Gruppo sinodale Cucina e Mensa Caritas;
8) Gruppo sinodale Area legale e volontari carcere.
1) I COMPAGNI DI VIAGGIO
L’occasione del lavoro sinodale, anzitutto, ha permesso ai partecipanti di (ri)scoprire se stessi nei gruppi. Un’opportunità privilegiata, dopo anni di condivisione dell’esperienza all’interno della realtà Caritas, caratterizzata dal fermarsi a riflettere sui rispettivi percorsi di vita, sul proprio modo di concepire il servizio quotidiano ed essere perciò fattivamente Chiesa che cammina insieme. La comunione che nasce dal riconoscimento di Cristo presente e vivo in mezzo a noi è stata affermata da tutti come la condizione necessaria di un’azione veramente feconda, senza la quale si corre il rischio di essere percepiti come una realtà che offre un servizio ai bisognosi. Ma Caritas non è e non può essere ciò. Il suo tratto distintivo deve essere il perché e, quindi, il modo di rapportarsi con l’altro, il come si offre e il come si riceve, perché riconoscere Dio nel volto dei fratelli e delle sorelle, è servire Dio stesso.
Dai lavori dei diversi gruppi sinodali è emerso che i nostri compagni di viaggio sono tutti gli esseri umani, indifferentemente dalla provenienza etnica, culturale e religiosa. Proprio per questo motivo è necessario che la Chiesa dialoghi con gli uomini in termini di prossimità e che promuova nelle persone riflessioni basate sull’importanza di un comune senso di responsabilità e di sostegno reciproco. Essere compagni di viaggio nella veste di volontari Caritas significa, senza dubbio, non limitarsi ad una prassi meramente assistenzialistica. Il servizio quotidiano consiste soprattutto nel valorizzare la dignità, favorire l’emancipazione dei più fragili, proprio perché nello sforzo pedagogico cerchiamo di rendere tutte le persone consce dei nostri stessi diritti e doveri. Ne consegue che non raramente accompagniamo i soggetti in questo percorso di consapevolezza e di ricucitura di un giusto rapporto con la società. Un discorso, dunque, di giustizia e di dignità da non sottovalutare e che peraltro non trascura, quando presenti, urgenti necessità di cura da parte nostra. Si è anche sottolineata la necessità di evitare atteggiamenti sia paternalistici sia autoritari, promuovendo, in uno stile di umiltà, la disponibilità ad imparare dall’altro, privilegiando, per l’appunto, l’ascolto di quanti con noi condividono con fiducia le proprie fragilità. Per quanto riguarda la qualità dei rapporti tra gli stessi volontari ed operatori, rileva che ci possono essere certamente margini di miglioramento: dobbiamo creare occasioni per conoscerci di più, per costruire uno spirito comune nel presentarci e nel porci in aiuto delle persone bisognose. Un ulteriore elemento positivo che è stato rimarcato dai gruppi, consiste nel rapporto rispettoso che vige tra gli operatori ed i volontari credenti e non credenti (che spesso cristiani lo sono nei comportamenti più dei credenti…).
2) ASCOLTARE
Come insegna l’esperienza della Caritas diocesana, l’ascolto è la prima forma concreta di sostegno. Chi desidera essere ascoltato non deve essere considerato come una mera pratica da evadere bensì come una persona che, oltre ad essere portatrice di bisogni, è un essere umano con una propria dignità da preservare. L’ascolto, oltre a far comprendere in modo integrale quali sono i bisogni dei diversi soggetti, ha anche una funzione liberatoria perché una persona che vive condizioni di disagio porta con sé il peso di fallimenti e paure.
Da questo punto di vista, sono state condivise osservazioni riguardo al servizio dei volontari soprattutto sul modo di rapportarsi con gli altri in termini di accoglienza e di ascolto di coloro che si trovano nella condizione del bisogno. Ascolto perciò non solo con l’orecchio, ma fatto anche con il cuore. Inoltre, la Chiesa dovrebbe comunicare efficacemente le proprie opere a sostegno dei più fragili, le testimonianze di vita delle persone, ma anche l’impiego delle risorse in modo trasparente, poiché tale criterio edifica la fiducia delle persone. La comunicazione è fondamentale sia a livello interno che a livello esterno: dal saper comunicare tra uffici pastorali al divulgare alla collettività quanto è stato ideato, proposto e realizzato a favore dei più fragili. I gruppi hanno definito l’ascolto come un’arte, cioè un qualcosa che si sviluppa non come uno studio teorico ma come una palestra in cui si affina l’arte dell’ascolto. Con esso, che precede l’atto del parlare, mettiamo in campo la nostra personalità, la nostra curiosità, la nostra voglia di conoscere i diversi da noi, arricchendoci in umanità. Sono state poste al riguardo molte domande: “Stiamo attenti a porre davvero al centro dell’attenzione la persona appena arriva?” “Come lo accogliamo?” “Lo guardiamo negli occhi?” “Gli sorridiamo?” “Come gli rivolgiamo la parola?” “Siamo consapevoli che la persona intuisce all’istante se davvero proviamo interesse?” “Siamo consapevoli che solo così la persona ascoltata impara a fidarsi e ad affidarsi a noi allorché ci permette di condividere le proprie fragilità?” “Stiamo attenti nel riconoscere e nel gestire le nostre emozioni, talora di stanchezza, di fastidio, di impazienza?” “E ancora, ci poniamo il problema di altri fragili che non riusciamo a raggiungere?”
Nell’ascolto reciproco ulteriori occasioni di crescita potrebbero essere offerte dalla conoscenza delle culture delle altre nazioni cui appartengono le persone più vulnerabili e anche dall’organizzazione di incontri su temi connessi alla grande letteratura, davvero maestra di vita, così come già avvenuto con la prof.ssa Contini su Dante e Dostoevskij.
3) PRENDERE LA PAROLA
L’atto di prendere la parola è certamente possibile in un contesto di accettazione e di non giudizio, in un clima di incontro fraterno e di condivisione di valori. Per prendere la parola è necessario senz’altro coraggio, e tale percorso deve essere costruito con un giusto accompagnamento alla luce del Vangelo e dell’accoglienza.
In un gruppo, ad esempio, è stato raccontato come nelle comunità africane pressoché tutti prendano la parola, mentre nei nostri contesti talvolta vi è silenzio da parte dei fedeli. È quindi fondamentale che la nostra Chiesa insegni ai propri fedeli l’importanza della corresponsabilità: idealmente, ognuno dovrebbe avere il proprio posto nella vita della Chiesa e quindi nella comunità. La parrocchia deve, infatti, rappresentare simbolicamente la casa incoraggiando il protagonismo della comunità. Inoltre rileva, in particolare, un ragionamento relativo ad una criticità che talvolta le realtà ecclesiali compiono nel modo di approcciarsi alla comunità: una carenza nel coinvolgimento attivo dei laici. La Chiesa dovrebbe quindi continuare a mettersi in atteggiamento di dialogo ed ascolto, ma per farlo occorre dare voce alle persone anche agendo in modo più efficace sul territorio. La criticità è emersa soprattutto nel periodo del lockdown, in quanto il Covid ha determinato una notevole diminuzione oggettiva della frequentazione dei fedeli nelle parrocchie. La Chiesa dovrebbe pertanto favorire un ritorno al protagonismo laicale, attraverso ad esempio le seguenti azioni:
1)le parrocchie devono essere il luogo principe dell’incontro dando voce alle esperienze delle persone, talvolta non pienamente ascoltate dalle istituzioni;
2)è necessario che le informazioni ecclesiali siano veicolate anche attraverso il mondo di internet e dei social network;
3)potenziare lo strumento divulgativo della stampa cattolica.
4) CELEBRARE
Prima del pensare e del fare è anzitutto basilare la preghiera. Ciò consente di attivare lo Spirito, all’inizio delle giornate di lavoro e di servizio che normalmente sono caratterizzate da agitazioni costanti. La preghiera rappresenta perciò la condizione essenziale che consente di creare un giusto clima spirituale e di cordialità. Talvolta, purtroppo, è emerso dai gruppi in maniera esplicita lo stile di vita odierno prevalente, ovverosia essere in continua emergenza. Solo con la preghiera e con la pazienza perseverante dell’ascolto reciproco e rispettoso, con il cercare di entrare in empatia con l’altro, si può camminare insieme.
Per camminare insieme, questo momento storico è una grande opportunità per tutti ma implica anche una responsabilità. È importante focalizzarsi sul valore del tempo: nonostante tutti gli sforzi, talvolta vi è l’opinione comune di non riuscire a far fronte a tutto. In questo senso, è stato posto l’accento sull’esperienza di un cammino di fede e sulla necessità di trovare degli spazi per se stessi e per la preghiera. Inoltre, in alcuni gruppi, specialmente in quelli vissuti dai più giovani, sul tema è emersa la percezione di assistere a celebrazioni ripetute come formule, mentre le persone innamorate di Gesù dovrebbero incontrarsi per condividere: il ritualismo ha creato forse troppa rigidità. La rigidità, talvolta, ha generato a sua volta un meccanismo di carente partecipazione nel contesto parrocchiale: basti pensare al momento in cui la Messa termina ed il celebrante annuncia: “la Messa è finita, andate in pace” e si assiste ad un fuggifuggi generale dei fedeli. La grande sfida è quindi tornare alla semplicità. È pertanto importante che la Chiesa promuova spazi dove il fedele sia realmente valorizzato, stimolando così anche i giovani. Ciò provocherebbe anche ad un maggior senso di comunione.
5) CORRESPONSABILI NELLA MISSIONE
In ordine a tale punto, si è sviluppata una riflessione sull’azione pastorale di ognuno dei gruppi nei quali i collaboratori ed i volontari sono impegnati e sul contributo che essi recano all’azione pastorale della Chiesa diocesana. Ci si è chiesti, in sintesi, se il lavoro svolto risulta efficace nella rappresentazione dei valori che la Chiesa esprime. Anche con la partecipazione di chi non è inserito nelle strutture ecclesiastiche. Se nelle attività quotidiane che si svolgono nell’approccio con l’esterno non prevalga il senso di responsabilità civile. Se, ancora, vi sia la consapevolezza del senso dell’attività di ciascuno.
È emersa, a questo punto, l’esigenza di spostare l’asse dell’impegno costruendo percorsi che consentano di fare rotta sia verso l’esterno che all’interno della Chiesa. Approfondendo il tema della comunicazione tra gli uffici pastorali, nella convinzione che il lavoro nel sociale debba coinvolgere tutti coloro che sono impegnati nell’evangelizzazione. L’operare nel sociale spesso accomuna, ma settorializza l’azione rispetto ad altri ambiti. L’esigenza è dunque quella di elaborare un percorso che coinvolga tutte le realtà che compongono l’operare dei vari campi di impegno. Approfondendo il rapporto dei vari aspetti dell’azione pastorale nella Chiesa di Cagliari e quello con le altre realtà che operano nel territorio. Ciascuno degli operatori è un pezzo di Caritas, ma l’attività complessiva non sempre viene percepita all’esterno come attività ecclesiale. Nel senso che viene riconosciuto il valore di attività tese a soddisfare bisogni essenziali ma non sempre ad operare nell’ambito dell’evangelizzazione. L’impegno dovrebbe tendere a percepire questa caratteristica dentro e fuori la Chiesa. Non solo aiuto sociale ma soprattutto impegno pastorale. La Caritas costituisce una delle tre dimensioni strutturali della Chiesa: sacramenti, liturgia, carità. È necessario impegnarsi per diffondere la conoscenza dell’attività svolta ma anche il senso dell’impegno. Occorre aprirsi ancora di più alla Consulta diocesana, come strumento di impegno comune, sia per una maggiore conoscenza della gamma dei servizi offerti da Caritas, sia per la conoscenza reciproca con chi opera in ambito ecclesiale. È indispensabile agire in sinergia favorendo la saldatura tra l’impegno nell’azione sociale tra parroci e Diocesi. Per riaffermare la percezione, anche tra i meno attivi, che la carità è un elemento fondamentale affinché la Chiesa possa realmente considerarsi in uscita.
6) DIALOGARE NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ
Durante i vari incontri è emerso che, alle volte, si sono riscontrate delle difficoltà ad entrare in contatto con gli uffici ecclesiali per motivi connessi ad una carente conoscenza degli stessi, cui si aggiunge la difficoltà ad accedervi a causa delle restrizioni legate alla situazione pandemica. Dalla discussione è emerso anche che la Chiesa e la società, talvolta, non risultino stare sulla stessa direzione seguendo traiettorie discordanti e con velocità differenti.
Se, ad esempio, per i giovani la libertà personale è essenza della vita, la Chiesa con alcune posizioni potrebbe risultare esternamente limitata occupando spazi che non aprono alla diversità, peculiarità sempre più presente nell’ambito della società odierna. Un esempio in tal senso, è stato fornito da una volontaria che racconta un episodio in cui ad una madre è stato negato il sacramento del battesimo per sua figlia in quanto non sposata in Chiesa. È dunque fondamentale accogliere l’altro per comprendere le sue motivazioni ed accogliere la sua dignità, in un incontro scevro da pregiudizi e stereotipi. È necessaria una Chiesa che esca nelle strade, che vada ad incontrare tutti, perché siamo tutti Chiesa, con una comunità di battezzati. Per cambiare, è altresì necessario il dialogo e avere il coraggio – come già evidenziato in precedenza – di prendere parola. Perché talvolta i cristiani che prendono parola sono giudicati per avere delle idee diverse da quelle della Chiesa più tradizionale. Alcuni temi che sono stati discussi nei gruppi con buona rappresentanza giovanile hanno, ad esempio, riguardato a tal proposito l’aborto e il DDL Zan. Inoltre, con l’arrivo degli anni 2000 e con l’esplosione del fenomeno della c.d. globalizzazione, la Chiesa è chiamata al cambiamento. In una società sempre più povera, sempre più anziana, sempre più sola, la sfida è anzitutto quella di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo in modo adatto a ciascuna generazione, cosicché essa possa rispondere concretamente alle fragilità umane con particolare attenzione ai poveri, ai deboli, agli sfruttati. Questo è l’impegno della Chiesa e, nello specifico, dell’Ufficio della Pastorale della Carità che non può prescindere dal dialogo, dall’ascolto e dalla coprogettazione con la società e le istituzioni per pianificare efficacemente metodi ed interventi che sappiano rispondere alle povertà.
7) CON LE ALTRE CONFESSIONI CRISTIANE
Nella nostra realtà locale si individua un buon livello di collaborazione tra le comunità cristiane presenti sul territorio si osserva un buon livello di integrazione con le diverse confessioni religiose. Tuttavia, risulta essere necessario un ulteriore lavoro di conoscenza e dialogo con le diverse realtà ecclesiali e non. Ancora, in alcuni gruppi è emerso anche un labile disagio percepito nell’essere volontari cristiani in un contesto multietnico e pluriconfessionale, sentendosi talvolta una minoranza timorosa, per non offendere la sensibilità altrui, di testimoniare, non solo con il comportamento ma anche con la preghiera. Ma la Chiesa, certamente, cresce per attrazione, quindi la difficoltà evidenziata non vuole negare l’importanza decisiva di testimoniare la nostra fede con un atteggiamento di vera condivisione nei confronti dell’altro, chiunque egli sia, contribuendo così alla conoscenza di Cristo e alla connotazione universale della Chiesa stessa.
8) AUTORITÀ E PARTECIPAZIONE
Essere autorevoli significa accompagnare con presenza e con l’esempio della testimonianza. Dai gruppi rileva come la Chiesa debba prendere decisioni sempre più condivise, superando la mera gerarchia. In taluni contesti, la Chiesa dovrebbe favorire occasioni di delega ai laici in modo compartecipato, in una prospettiva di sussidiarietà, con un atteggiamento perciò di fiducia e di libertà.
Il sentirsi parte di una comunità è la capacità di riuscire a pregare insieme, condividere, appartenere a qualcosa di bello che permette di unire e di condividere. Specialmente i giovani all’interno dei gruppi di lavoro hanno evidenziato che si deve cercare di innovare e di non avere sempre l’alibi del si è sempre fatto così, con una circolarità delle informazioni che arrivino a tutti. D’altro canto i giovani, sentendosi accolti nella Caritas diocesana, hanno divulgato positivamente la loro missione e il loro impegno nei confronti delle persone più bisognose. Tutto questo è possibile grazie al dialogo che permette di fare rete e di collaborare con altri enti ed associazioni per mettere in moto una macchina così preziosa come quella della Caritas. È in questo contesto che diventa rilevante e si qualifica la partecipazione al volontariato, quando esso è volto ad aiutare la persona ad essere artefice del proprio riscatto ed a disinnescare il meccanismo di assistenza perpetua. È necessario quindi promuovere una formazione continua e costante che consenta allo stesso tempo di curare e motivare i volontari affinché acquisiscano una maggiore presa di coscienza che sia propria di ogni battezzato, per agire sempre nel rispetto e valorizzazione del prossimo. Il cammino che ogni volontario intraprende è in evoluzione, legato ad un percorso di conversione: la carità è essa stessa manifestazione della conversione, alle volte forse non matura, ma sempre e comunque da sollecitare ed attivare.
9) DISCERNERE E DECIDERE
In alcuni gruppi è stata ripresa la riflessione di Padre Giacomo Costa sul tema del discernimento, sviluppato in occasione del percorso formativo recante il tema: “Fratelli e sorelle nella carità. Le Comunità Ecclesiali verso nuovi percorsi di discernimento e della pedagogia dei fatti”, che è stato promosso dalla Caritas diocesana in collaborazione con la Consulta diocesana delle associazioni di volontariato. Il discernimento è più che un processo decisionale: è la relazione vissuta con Dio, basata sulla fiducia che il Padre sta agendo in noi, sulla consapevolezza di far parte del Suo cammino.
La stessa Caritas è uno degli ambiti in cui ci impegniamo ad annunciare il Vangelo e a costruire il Regno di Dio, e anche le progettualità che portiamo avanti sono strettamente collegate alla nostra fede. Ancora, appare forte il richiamo ad una pedagogia radicata nei fatti, che parte dalla capacità di saper leggere e di lasciarsi toccare in profondità da ciò che stiamo vivendo. La stessa relazione con il povero è luogo dell’incontro con Dio, nella consapevolezza che proprio i poveri hanno molto da insegnarci. Inoltre, il discernimento individuale è strettamente connesso a quello comunitario, attraverso un procedimento partecipativo in cui le coscienze sono chiamate a confrontarsi ed ascoltarsi reciprocamente per capire insieme come la verità debba essere portata avanti, in modo da costruire un noi, ovvero un soggetto capace di riconoscere e valorizzare ciascuno dei suoi membri: è questa la prospettiva di una Chiesa che accoglie, situata nel mondo, nell’ottica di una sinodalità missionaria. Elemento sostanziale è la funzione pedagogica della Caritas e il suo metodo di lavoro basato sulla triplice azione di ascoltare, osservare e discernere per animare, resa possibile grazie ai diversi strumenti, dai Centri di ascolto – luoghi ripensati in tempi di pandemia attraverso una fantasia dell’incontro e dall’Osservatorio Povertà e Risorse fino al Laboratorio di Promozione Caritas. Discernere per decidere. Indispensabili per il discernimento sono alcune attività di base: la conoscenza, la consapevolezza, l’approfondimento e l’elaborazione delle scelte, coerenti con il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa, fino ad arrivare al momento esecutivo.
10) FORMARSI ALLA SINODALITÀ
Incontrarsi e condividere sono peculiarità che permettono di unire anche diverse culture e religioni, come è emerso dai racconti delle persone che hanno vissuto alcuni momenti di compartecipazione. Possiamo dire che il lavoro sinodale, il discernimento comunitario e la partecipazione attiva hanno permesso di conoscere e di avere una maggiore consapevolezza di sé e del camminare uniti nella Chiesa.
In conclusione, si sottolinea che la conoscenza reciproca permette di comprendere meglio persone e dinamiche ed è utile che essa non sia limitata ad un gruppo di volontari ma che si estenda all’intera comunità. Ciò è possibile, ad esempio, con una presenza inclusiva, con un minore senso di gerarchia e con una Chiesa realmente accogliente. I primi passi verso un cambiamento si stanno compiendo attraverso l’incontro sinodale che è risultato per tutti un momento formativo ed arricchente. Da compagni di viaggio abbiamo provato la gioia del raccontarsi perché la condivisione dell’uno è reale aiuto per l’altro, per andare avanti e fare un passo un gradino più su. Abbiamo compreso che nel cammino sinodale un forte ruolo è dato dall’ascolto sereno, unito alla discrezione, e dall’imparare ad accettarsi con rispetto e fiducia con l’aiuto dello Spirito Santo. Da questo punto di vista sentiamo l’esigenza di una Chiesa prossima, estroversa e fraterna che faccia sentire tutti quanti in famiglia così anche da superare le esperienze negative che magari hanno caratterizzato in qualche momento il nostro passato. In questo senso, si percepisce l’urgenza di essere propositivi perseguendo percorsi che ci facciano tornare a camminare insieme rimanendo radicati su valori basilari per la nostra vita.
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